roberto Giovannini, La Stampa 12/1/2010, 12 gennaio 2010
Vivere senza futuro nella città low cost. INVIATO A ROSARNO Dal belvedere di Largo Bellavista, in alto, puoi ammirare il mare, le Eolie, Vulcano
Vivere senza futuro nella città low cost. INVIATO A ROSARNO Dal belvedere di Largo Bellavista, in alto, puoi ammirare il mare, le Eolie, Vulcano. Più sotto, la Piana di Rosarno, verdissimi giardini di agrumi fin dove arriva l’occhio. E puoi vedere cosa hanno portato i decenni folli degli anni ”70 e ”80, che hanno trasformato un borgo potenzialmente splendido in un incubo lisergico: una immensa, demenziale, colata di cemento. Grigio cemento di cui sono fatte le case, da cui in alto fioriscono tondini di acciaio rugginosi, facciate di nudi foratini, marciapiedi sbrecciati e pieni di buche. Cemento di opere pubbliche, quasi tutte abbandonate e cadenti. Cemento e tettoie metalliche delle fabbriche dai cancelli sbarrati. Un delirio che non ha portato lo sviluppo e il benessere che tutti speravano. E che invece ha lasciato in eredità un’economia reale che al di fuori dell’agricoltura e di uno stentato commercio non esiste, di pura sussistenza, in cui non c’è lavoro e quando c’è è finto. «Persino il Municipio è in affitto», ci spiega il signor Francesco. Per fare le riunioni del Consiglio Comunale (ora sciolto per infiltrazioni mafiose, chissà quando si voterà) si noleggia un auditorium. Ma qui non c’è una cosa che vada come deve andare. Il Palazzetto dello Sport è stato progettato male: «Si sono sbagliati, il campo è troppo piccolo». L’ufficio postale sulla piazza, ornato da un murales in cui accanto alle figure del Quarto Stato si notano anche gli inconfondibili baffoni di Josif Vissarionovic Stalin, è aperto solo quattro ore al giorno. Deve servire una popolazione di 13.000 abitanti: immaginatevi che file, quelle sì «sovietiche». Una illuminata giunta di sinistra pensò di costruire un Teatro Greco di cemento armato, ma all’incrocio di due strade trafficatissime: sulle gradinate non si siede nessuno da anni ad ascoltare Sofocle o Euripide. Torniamo in alto, passando per il Corso dello «struscio», pochi negozi, due banche. Si arriva all’Ospedale. O meglio, l’edificio rugginoso degli anni ”70 che avrebbe dovuto ospitare l’ospedale di Rosarno. Non aprì mai, e negli anni sono spariti persino i sanitari. Alla salute ci pensa il poliambulatorio dell’ASL 10: tre oculisti e tanti medici, ma non si può fare una radiografia. Una volta Rosarno aveva l’Ufficio delle Entrate: chiuso. Lo sportello dell’Enel: chiuso. Il cinema: chiuso. E chiuse sono anche le poche fabbriche che davano un po’ di lavoro. Alcune, giù alla «zona industriale» non hanno mai nemmeno aperto: «Imprenditori del Nord che si volevano mangiare i soldi della 488», lamenta amaro un anziano. Nella «zona industriale» di fabbriche ora ce ne sono solo due attive: una che lavora gli agrumi e una piccola piccola che produce le «gabbiette», le cassette di legno per i frutti. Dall’altra parte della città, vicino al fiume Mesima, giacciono uno di fronte all’altro due relitti industriali, stabilimenti chiusi dopo l’esplosione dello scandalo delle «arance di carta»: la Conagros e la Agricola Sud. E di che vive, dunque, tutta questa gente, che persino accoglieva - più male che bene - due-tremila migranti africani? Vive di agricoltura. Di quel che è rimasto dell’industria agroalimentare. Qualcuno fa l’autotrasportatore, con il suo camion. Si campa di edilizia, con un po’ di aziendine rigorosamente al nero. Chi può lavora al porto di Gioia Tauro, come carrellista o «rizzatore», ovvero imbragando (lavoro faticosissimo) i container scaricati dalle navi per 1.300 euro al mese. Si vive di pensioni, anche di invalidità, anche fasulle. E tanti ragazzi e ragazze sono stati assunti nei supermercati e discount alimentari, che come tutti qui sanno sono intestati a prestanome che coprono i veri proprietari: i Bellocco, la famiglia della cosca ”ndranghetista che comanda a Rosarno. Che gestisce anche quasi tutti i molti, carissimi, benzinai. Beh, si dirà, almeno c’è qualcuno che prende uno stipendio. No, purtroppo. Come racconta Valerio Romano, della Cgil della Piana, tanti hanno un contratto a part-time da 600 euro al mese. Peccato che debbano lavorare a tempo pieno, 37 ore alla settimana, senza ricevere né straordinari né festivi. Peccato che molti ricevano insieme a una regolarissima busta paga soltanto la metà dello stipendio indicato, 350-400 euro mensili. Protesti? Ti licenziano, c’è la fila di gente pronta a sostituirti. Come si fa a vivere con 400 euro al mese? Ce lo spiega Giuseppina, 32 anni. Primo, non si spende per la casa: il 90 per cento l’ha di proprietà, magari autocostruita negli anni alla bella e meglio. Secondo, c’è la famiglia allargata che aiuta e sussidia. Terzo, si fa la spesa con giudizio. Eccoci allo Spaccio Alimentare, un grande supermercato di recente apertura. Prezzi fantastici: tutta la frutta e verdura sta a 89 centesimi al chilo. Un pacco da un chilo di pasta si trova a 59 centesimi, tre litri di Nero d’Avola a 3,49, il tacchino a 3 euro al chilo, le fettine 8 euro. Servono vestiti? Si va dai tanti commercianti cinesi: da «Jin Rui Xiang, abbigliamento uomo e donna», un paio di scarpe stanno a 10 euro, un jeans da donna a 15, una felpa a 7 euro. Ti devi fare la barba? Costa 3 euro, 10 se vuoi anche fare i capelli. Vuoi una pizza con la birra? Ti bastano 6 euro. E dopo cena, per fare qualcosa, si prende la macchina e si va a bere un bel caffè all’Autogrill sulla Salerno-Reggio Calabria. E poi a casa, a dormire.