Luigi Grassia, La Stampa 12/1/2010, 12 gennaio 2010
vero che siamo tutti più poveri. Che cos’è il potere d’acquisto, che per le famiglie cala dell’1,6%? Questa grandezza misura la capacità complessiva delle famiglie italiane di acquistare beni e servizi, e così intesa è praticamente sinonimo di reddito
vero che siamo tutti più poveri. Che cos’è il potere d’acquisto, che per le famiglie cala dell’1,6%? Questa grandezza misura la capacità complessiva delle famiglie italiane di acquistare beni e servizi, e così intesa è praticamente sinonimo di reddito. La sua variazione da un anno all’altro può essere calcolata in termini nominali (cioè senza tener conto dell’inflazione) o in termini reali, al netto dell’aumento dei prezzi. Quindi calo del potere d’acquisto dell’1,6% significa calo dei redditi annuali in quella misura al netto dell’aumento dei prezzi. successo altre volte che il potere d’acquisto diminuisse in Italia? Soltanto in tempo di guerra, mentre nelle crisi economiche del passato repubblicano, per quanto dure, al massimo c’è stato un rallentamento della crescita del reddito in termini reali, o perché il Paese si sviluppava poco, o perché l’inflazione si mangiava quasi tutto (negli Anni 70 l’incremento annuo dei prezzi era a due cifre). Ma la crescita negativa è una novità. Questo dice quanto dura sia l’attuale recessione indotta dai disastri finanziari internazionali. Ma variazioni di 1 o 2 punti percentuali incidono sulla vita delle persone? Moltissimo. Il contraccolpo di un eventuale piccolo calo del potere di acquisto si fa già sentire psicologicamente perché delude l’aspettativa, implicita in tutti noi, che la nostra situazione economica migliori poco a poco, con il progredire della carriera o semplicemente dell’anzianità lavorativa. Inoltre il calo di 1,6 punti percentuali è una media che comprende arretramenti sostanziali, e non solo psicologici, per centinaia di migliaia di persone. Piccole variazioni sui tempi lunghi sono importanti, assumendo il punto di vista opposto, anche in positivo: considerando che i tassi di sviluppo sono composti, se una grandezza aumenta del 2% all’anno raddoppia non in 50 ma in circa 35 anni, e questo spiega come mai il reddito degli italiani sia esploso durante il miracolo economico degli Anni 50 (quando i tassi di espansione del prodotto lordo erano quasi asiatici) ma abbia continuato a moltiplicarsi, sul lungo termine, anche nei decenni di crescita lenta che sono seguiti. Quali categorie di lavoratori stanno soffrendo di più per la crisi? Senza dubbio sta peggio di tutti chi il lavoro lo ha perso, o non lo ha mai avuto, o ha visto il suo reddito pesantemente decurtato dalla cassa integrazione. Ma a parte questa ovvietà, i lavoratori dipendenti a reddito fisso e i pensionati, che di solito sono svantaggiati, possono trovarsi, paradossalmente (ma solo per breve tempo) in una condizione non sfavorevole, perché i loro redditi (essendo appunto fissi) non calano, mentre i prezzi si bloccano, o in certi casi diminuiscono addirittura, a causa del regresso della domanda complessiva di beni e servizi in tempo di crisi. Invece i lavoratori autonomi subiscono subito un calo di introiti. Ma allora ha ragione chi sostiene che i dipendenti patiscono di meno? Questa affermazione va temperata da almeno due considerazioni. Primo: i redditi fissi sono tali per modo di dire, perché in realtà quando c’è recessione tendono a ridursi gli straordinari e le altre voci variabili che compaiono anche nelle loro retribuzioni «fisse». Secondo: se la stasi si prolunga e coinvolge i rinnovi dei loro contratti di lavoro, anche i dipendenti si vedono decurtare i redditi. Ci sarebbe da aggiungere, senza voler offendere nessuno e senza etichettare gli evasori in maniera sommaria, che per i lavoratori dipendenti c’è la ritenuta alla fonte di tasse e contributi, mentre gli autonomi hanno almeno la possibilità pratica di evadere una quota (e a volte c’è chi ne approfitta). Inoltre i livelli di reddito tassabili degli studi di settore delle singole categorie di autonomi possono essere concordati al ribasso in tempo di crisi, visto che vengono definiti in una trattativa fra i rappresentanti di categoria e il Fisco. Le eventuali misure fiscali a favore dei dipendenti, tipo la detassazione dei premi di produttività e degli straordinari, non riguardano tutto il loro reddito ma solo alcune porzioni. Quando ci sarà la ripresa economica il rimbalzo dei redditi sarà automatico? Ci sarà una tendenza generale alla ripresa di questa voce, ma potrebbe essere lenta. Diversi comparti produttivi stimano che saranno necessari due o tre anni prima di tornare ai livelli di produzione pre-crisi e questo potrà comportare degli aggiustamenti anche in negativo, in particolare nei settori che chiudono le fabbriche e le spostano all’estero. Inoltre, se i mercati finanziari venissero colti da dubbio di aver corso troppo e di aver anticipato troppo la ripresa potrebbero esserci delle nuove fasi calati in Borsa, pur nell’ambito del generale recupero, e questo potrebbe limitare di nuovo il reddito disponibile. Ma in linea di massima le previsioni sono di risalita del potere d’acquisto.