Jenner Meletti, La Rupubblica 1/1/2010, 1 gennaio 2010
L´inferno al Sud, pasti caldi al Nord e nei campi c´è una doppia Italia Alla sera, sia Cheikle il senegalese che Jaroslaw il polacco sono stanchi morti
L´inferno al Sud, pasti caldi al Nord e nei campi c´è una doppia Italia Alla sera, sia Cheikle il senegalese che Jaroslaw il polacco sono stanchi morti. Cheikle ha raccolto le arance nella piana di Gioia Tauro, Jaroslaw ha raccolto le mele nella Val di Non. Ma soltanto i gesti e la fatica sono uguali. Cheikle lavora per un euro all´ora, otto o dieci euro al giorno, tutto ciò che gli lascia in mano il caporale. Quando il buio interrompe la raccolta, per lui ci sono il viaggio a piedi verso un capannone abbandonato, un materasso fra pareti di cartone, una pentola con il riso da dividere con altri disgraziati. Jatoslaw guadagna 7 euro netti all´ora, 56 al giorno, e sia a pranzo che a cena (in ogni autunno) si siede a tavola assieme ai padroni delle mele Melinda. Per il riposo, una stanza con il bagno e un fornello per il primo caffè della giornata. Non è tutta uguale, l´Italia che "offre" lavoro a chi arriva da lontano, e per fortuna non è solo un inferno. « qui da noi - dice Pietro Molinaro, presidente della Coldiretti Calabria - lo sfruttamento della peggior specie. I caporali, per ogni lavoratore straniero portato nelle campagne, incassano dai venti a trenta euro al giorno. Ma all´operaio agricolo vanno al massimo i dieci euro. Il caporale non si accontenta. Dice all´immigrato anche dove andare a fare la spesa e dove, pagando altri soldi, può trovare da dormire. Non dobbiamo immaginarci il caporale di una volta, quello che reclutava i braccianti nelle piazze. Il caporale moderno conosce bene le leggi o si fa aiutare da chi è esperto. Riesce a organizzare cooperative fasulle che forniscono giornate di lavoro ad aziende altrettanto fasulle così, oltre alla speculazione sulla pelle di immigrati veri, riesce anche a ottenere denaro con i sussidi di disoccupazione». «Rosarno è solo la punta dell´iceberg. Qui da noi ci sono altre aree a rischio. Lo sfruttamento degli immigrati mette in crisi anche le tante imprese oneste che subiscono una concorrenza sleale. In Calabria non ci sono soltanto le "case di carta" dei lavoratori stranieri. Ci sono anche "l´olio di carta" e le "arance di carta", vale a dire aziende che non hanno né ulivi né aranci ma riescono a farsi consegnare i contributi Cee e incentivi con registrazioni e fatture false. Lavorare rispettando le regole è la nostra salvezza, ma diventa ogni giorno più difficile. Al porto di Gioia Tauro arrivano cisterne di succo d´arancia dal Brasile e carghi di arance dalla Spagna, spacciati poi come prodotti italiani. Mettere l´etichetta di origine e, come propone il ministro Zaia, porre un "marchio etico" sui prodotti sarebbe un modo per distinguere gli onesti dai farabutti. Il mercato è già difficile anche senza concorrenza sleale. Le arance da tavola sono state pagate 27 centesimi al chilo e vendute a 1,55, con un aumento del 474%. Per le arance da succo sono stati offerti al produttore 6 centesimi al chilo». C´erano in tutto il Paese, le "enclave" dei nuovi schiavi. Nel Trentino, al tempo delle mele, arrivavano dal Sud gli africani che avevano appena raccolto i pomodori. Nel mantovano c´erano le file per poter trovare un lavoro nei campi di fragole e di meloni... «Qui in Val di Non - ricorda Danilo Merz, direttore della Coldiretti trentina - i volontari avevano montato tendoni per accogliere i raccoglitori stranieri. Dopo tre giorni, o avevano trovato un ingaggio o dovevano ripartire. Loro avevano bisogno di noi, noi avevamo bisogno di loro, e così ci siamo dati da fare. Non è sempre stato facile. Quando è uscita la Bossi-Fini la polizia veniva a prendere le impronte agli stagionali stranieri. Non è stata una bella esperienza. Ma da anni la situazione è tranquilla. Gli stranieri - e sono sei, settemila - hanno contratti che per la raccolta delle Melinda prevedono un salario di 7 euro all´ora e l´organizzazione di vitto e alloggio: 3, 4 euro per un letto, 5 per un pasto. Ma nessun coltivatore si fa pagare. Si creano anche amicizie. In inverno ci sono trentini che vanno in Romania o Polonia a trovare i raccoglitori che, ormai "fidelizzati", torneranno per la prossima raccolta. Anche per noi il problema è il mercato. Per un chilo di Melinda siamo stati pagati 50 centesimi al chilo. Controllate voi i prezzi nel vostro negozio». Ci sono lavori che gli italiani hanno ormai dimenticato. «Negli allevamenti - dice Mauro Donda, che dirige i coltivatori bresciani - ci sono 2000 stranieri. Quasi mille gli indiani nelle stalle con i bovini. Stipendi da 1200 a 1600 euro al mese, per 6 ore e mezzo di lavoro. Sei giorni la settimana. Ma ci si alza prima delle 4 e si torna in stalla nel pomeriggio». Meloni e cocomeri per la prossima estate non sono nemmeno stati seminati. Ma nel prossimo giugno arriveranno nel mantovano migliaia di raccoglitori. Anche per loro 7 - 8 euro all´ora, più vitto e alloggio. «Se qualcuno non riesce a venire - dice Giovanni Benedetti - si preoccupa di mandare un fratello o un amico. C´è solo un problema burocratico: a volte le quote di ingresso sono decise quando i meloni sono già maturi». Rauscedo, in Friuli, è l´unico luogo del nord dove anche in questi giorni si trovano centinaia di stranieri impegnati in agricoltura. Sono 700 uomini e donne che lavorano in una grande coop che fa crescere le "barbatelle", le nuove viti. Arrivano anche dalla Bielorussia, per selezionare i 60 milioni di piantine che saranno inviate in tutto il mondo. Per l´operaio comune, 63 euro netti al giorno. La paga di una settimana, per Cheikle il senegalese, a Gioia Tauro. Sempre che il caporale mantenga la parola data.