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 2010  gennaio 11 Lunedì calendario

Dove gli stranieri sono contadini integrati E’ un fenomeno in costante crescita quello dell’impiego degli extracomunitari in agricoltura

Dove gli stranieri sono contadini integrati E’ un fenomeno in costante crescita quello dell’impiego degli extracomunitari in agricoltura. Nel periodo 1989-2007 l’incremento a livello nazionale è di oltre 7 volte, con un passaggio dalle 23 mila alle 172 mila unità circa. Ma esiste un’evoluzione anche nella qualità dei rapporti di lavoro? Oppure il lavoro «nero» e malpagato continua a prevalere, alimentando conflitti sociali come quello esploso a Rosarno? Secondo il recente «Rapporto sugli immigrati nell’agricoltura italiana», pubblicato dall’Inea (Istituto nazionale di economia agraria), soprattutto dopo il 2000 si rileva un importante spostamento dalle tradizionali attività di raccolta (sempre prevalenti con quasi il 46% nel 2007) a quelle zootecniche e soprattutto a operazioni colturali caratterizzate da una maggiore integrazione nell’intero ciclo produttivo. Dunque a una minor stagionalità. Fermo restando perciò «il persistere di sacche importanti di non regolarità» nelle relazioni tra lavoratori e imprenditori, secondo Inea, nel periodo 1990-2006 c’è stato «un significativo miglioramento sia in termini di regolarizzazione dei rapporti lavorativi che di riconoscimento di retribuzioni conformi alle tariffe normate», assai più contenuto nel Mezzogiorno. Tra le novità c’è anche l’utilizzo di lavoratori extracomunitari in attività agrituristiche, nonché nella trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli. Per le prime, al 2007 si stimano circa 3 mila unità, prioritariamente nel Nord e nel Mezzogiorno. Quanto alle seconde, hanno coinvolto più di 8.200 unità, per oltre la metà concentrate nel Nord, specie nella lavorazione delle carni. Nel resto d’Italia si lavora anche in cantine, oleifici e prima lavorazione dell’ortofrutta, e in operazioni di semplice facchinaggio e movimentazione delle merci. Gli immigrati agricoli nel Nord e nel Centro dal 1989 al 2007 sono più che decuplicati, con punte in Regioni quali la Lombardia, la Toscana, l’Emilia-Romagna, il Lazio, il Veneto e il Trentino Alto-Adige, dove si riscontrano positivi casi d’integrazione. «Si pensi alla raccolta delle mele in Trentino – osserva Romano Magrini, responsabile lavoro Coldiretti ”. Oa quella delle barbatelle a Rauscedo (Pd), dove gli immigrati hanno cominciato a acquistare immobili». Negli allevamenti bufalini di Latina i lavoranti del Punjab sono una risorsa fondamentale: accudiscono il bestiame e qualcuno comincia a lavorare anche nei caseifici. In Piemonte, dove gli immigrati sono decuplicati in un decennio (1 ogni 10 occupati), una quota notevole è assorbita nelle vendemmie ma anche dalle imprese zootecniche. In questo settore cechi, rumeni, pachistani e indiani, dei quali è apprezzata la bravura nel governo della stalla, nella mungitura, nella vigilanza e cura del bestiame, sono ricercati dagli allevatori del cuneese e del torinese e contesi da quelli della pianura Padana. Per questo, sostiene Inea, i rapporti di lavoro sono per lo più regolari, mentre si moltiplicano le iniziative per fare incontrare domanda e offerta. Ad esempio, per reperire manodopera in campagne di breve e brevissimo periodo, è stato sottoscritto un protocollo d’intesa tra le parti sociali della provincia di Cuneo e gli enti preposti, affinché il passaggio di manodopera da un’azienda ad un’altra (con successivo ritorno a quella primitiva) avvenga senza interrompere il rapporto di lavoro originario. Diverso è il «modello toscano» applicato a Siena, Arezzo, Firenze e Grosseto, dove maggiore è la concentrazione di immigrati nei campi e negli agriturismi. Data la carenza di manodopera locale, il lavoro extracomunitario è sempre più indispensabile e tende a specializzarsi in alcune particolari operazioni che richiedono anche un intervento formativo da parte dei datori e spesso si tramuta in svolgimento di attività in proprio, offerta di servizi, crescita di richieste di contrattazione specifica alle rappresentanze sindacali. Nascono servizi specifici come agenzie sociali per la casa, che offrono servizi di orientamento e consulenza agli immigrati, a prezzi contenuti. L’Emilia-Romagna si distingue per aver affrontato con maggiore attenzione i temi dell’inserimento degli extracomunitari con iniziative finalizzate alla formazione professionale e alla programmazione e gestione del lavoro degli immigrati. Tra i diversi progetti, quello di formazione di lavoratori stagionali del Marocco, selezionati nelle cooperative della Lega, cui è stato offerto un corso di formazione per divenire «tecnici di campagna», cioè esperti in agricoltura biologica e integrata. Il progetto contempla anche un aiuto economico per sostenerne il reinserimento attivo nel Paese di origine. Nel Sud, dal 1989 al 2007, il valore complessivo degli immigrati si è di poco triplicato, con partecipazione maggiore di Regioni agricole come la Campania, la Puglia e la Calabria. Quest’ultima è passata da valori inferiori al migliaio di unità del 1989 alle 8-9 mila, a fronte di un incremento decisamente più significativo della Puglia: oltre 20 mila unità, soprattutto nel foggiano. In questa Regione il costo della manodopera extracomunitaria è tendenzialmente più basso di quella locale e i contratti sono irregolari per il 70%. In uno scenario così difficile, negli ultimi anni l’unico elemento in controtendenza è dato dal forte utilizzo di lavoratori extracomunitari anche in attività dove è richiesta una certa professionalità, conseguita a volte anche attraverso formazione diretta a cura dei datori di lavoro.