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 2010  gennaio 10 Domenica calendario

L´arte di combattere in un paese-museo Nel 1943 la guerra stava devastando l´Europa. L´avanzata della possente macchina da guerra nazista si era infranta a Stalingrado ma i destini finali del conflitto mondiale erano ancora tutti da scrivere

L´arte di combattere in un paese-museo Nel 1943 la guerra stava devastando l´Europa. L´avanzata della possente macchina da guerra nazista si era infranta a Stalingrado ma i destini finali del conflitto mondiale erano ancora tutti da scrivere. Si moriva ogni giorno, sui campi di battaglia o nelle città martellate dai bombardamenti, in un massacro senza fine che coinvolgeva soldati e popolazione civile. In questo teatro di distruzione e di morte un gruppo di ufficiali anglo-americani iniziò quell´anno a combattere una battaglia che nei libri di storia non viene raccontata; una delicata missione di guerra in cui le uniche armi con cui si poteva combattere erano quelle dell´intelligenza e della cultura: provare a salvare i monumenti e le opere d´arte in Italia. Al comando alleato e nei dispacci ufficiali erano conosciuti come "Monuments Officers", gli ufficiali dei monumenti, o "Monuments Men". La truppa, perplessa su quei soldati che non combattevano, li battezzò scherzosamente con un soprannome che gli sarebbe rimasto addosso: i "Venus Fixers", letteralmente gli "aggiusta Venere" o i "salva Venere". Nella vita civile erano storici dell´arte, architetti, artisti, bibliotecari, alcuni venivano da prestigiose università (Oxford, Yale, Harvard), vestivano con eleganza l´uniforme, sapevano apprezzare un buon bicchiere di vino, amavano la poesia, la letteratura, l´arte. La loro storia, gli sforzi che fecero per preservare il patrimonio artistico italiano è adesso raccontata in un bel libro (The Venus Fixers-The remarkable story of the allied soldiers who saved Italy´s art during World War II - Ferrar, Straus and Giroux) scritto da Ilaria Dagnini Brey, una giornalista e scrittrice italiana, padovana di nascita e americana di adozione (il marito è primo violoncellista alla New York Philharmonic), che il 18 maggio verrà pubblicato in Italia da Mondadori. Fare la guerra in Italia è come combattere «in un maledetto museo d´arte», si era sfogato il generale Mark Wayne Clark, comandante delle forze alleate nel nostro Paese. Non che l´uomo che diede l´ordine di bombardare Monte Cassino, radendo al suolo la secolare abbazia, non capisse l´importanza dei monumenti, ma lui, come molti altri ufficiali, aveva come primo obiettivo quello di vincere le battaglie sul campo cercando di perdere meno uomini possibile. E nell´Europa del 1943 preoccuparsi di edifici, per quanto antichi, di dipinti o statue era l´ultima cosa che i comandanti militari avessero a cuore. Salvare quel «maledetto museo d´arte» era un problema che si pose anche Dwight "Ike" Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate e futuro presidente degli Stati Uniti. Non di facile risoluzione, come ammise lui stesso alla vigilia dello sbarco americano in Sicilia, scrivendo al generale George Marshall che occorreva fare il possibile «senza ostacolare le operazioni militari» per «evitare la distruzione» di opere d´arte «irremovibili». In una lettera indirizzata a tutti i comandi il 29 dicembre 1943, "Ike" sarà ancora più esplicito: «Oggi stiamo combattendo in un Paese che ha contribuito molto alla nostra eredità culturale, un paese ricco di monumenti che dalla loro creazione hanno testimoniato la crescita di una civiltà che è la nostra. Siamo obbligati a rispettare questi monumenti per quanto la guerra permette. Se dobbiamo scegliere tra distruggere un famoso edificio o sacrificare i nostri soldati, la vita dei nostri uomini conta infinitamente di più dell´edificio. Ma la scelta non è sempre così netta. In molti casi i monumenti possono essere salvati senza alcun detrimento per le operazioni». La chiave della missione dei "Venus Fixers" è tutta in quell´ultima frase. Quando entrano in azione, la distruzione di molti monumenti, di chiese rinascimentali, di conventi medievali è in gran parte già avvenuta, ed altre ne seguiranno, inevitabilmente, anche durante la loro azione. Ci furono devastazioni irreparabili, autorizzate dalla «necessità della guerra» anche quando in realtà avevano un valore strategico nullo; tanti errori vennero commessi, sculture e quadri dal valore inestimabile andarono perduti per sempre; molti sono stati solo parzialmente ricostruiti partendo da pezzi, calcinacci o piccoli frammenti. Il libro ci fa però capire come senza i "Venus Fixers" sarebbe stato tutto molto peggio e come diversi capolavori che oggi possiamo ammirare sarebbero andati persi per sempre se la visionaria missione di questo pugno di ufficiali non fosse stata portata a termine. Nell´Europa del �42-43 l´Italia era un caso speciale. Nel nostro Paese i nazisti non avevano demolito siti storici per motivi razziali (come accadde in Unione Sovietica), né era stato distrutto il mercato artistico (come avvenne nella Francia dei collaborazionisti) con le migliaia di quadri saccheggiati dai beni delle famiglie ebree. Non era accaduto perché l´Italia fascista era alleata della Germania di Hitler, perché il governo di Mussolini si era impegnato, fin dall´inizio della guerra, a proteggere e mettere al sicuro (dai futuri bombardamenti alleati) monumenti ed opere d´arte. Alla fine del 1943, con la caduta di Mussolini e l´occupazione nazista, il cambiamento è radicale. Nella loro avanzata dalla Sicilia e da Anzio verso il Nord le armate alleate non risparmiano monumenti che in secoli di guerre erano rimasti intatti, così come nella loro ritirata le truppe naziste lasciano una scia di distruzione, saccheggi e bottini. Il libro è fatto di personaggi e di storie, di luoghi e di memorie, libro di guerra e libro d´arte, un racconto dettagliato in cui sullo sfondo del più grande dramma del secolo scorso si intrecciano azioni militari, descrizioni di capolavori, vicende umane. Tutto ruota attorno a loro, i "Venus Fixers": uomini come Deane Keller, in tempo di pace professore di pittura e disegno alla Yale School of Fine Arts, spesso il primo ad entrare nelle città toscane e del Lazio distrutte dalla guerra; come Basil Marriott, architetto e critico d´arte che partecipa al restauro della Basilica del Palladio a Vicenza; come l´archeologo e storico dell´arte Ernest De Wald; come Frederick Hartt, il fotointerprete che scoppia a piangere quando vede le immagini dei raid aerei su Padova che hanno distrutto la Cappella Ovetari e gli affreschi del Mantegna. Non sono gli unici protagonisti. Accanto si muovono altre figure, personaggi italiani come gli ex funzionari del regime fascista in decomposizione, preti, carpentieri, ragazzi, tutta gente che si mette a disposizione degli ufficiali anglo-americani per salvare il salvabile. Li vediamo in azione lontano dal fronte, intenti a collezionare e catalogare capolavori sepolti nelle rovine di Napoli o della Sicilia, distrutti dal passaggio di una macchina da guerra mai così potente, non importa se tedesca o alleata. Li vediamo intenti a ricostruire i muri delle chiese, rimettere in sesto i tetti dei conventi distrutti, impacchettare o nascondere (quando le operazioni di guerra sono ancora in corso) dipinti e affreschi. Li seguiamo mentre danno la caccia agli uomini di Goering che si sono dati alla fuga con duecento dipinti, compresa quella Danae, capolavoro di Tiziano, che il gerarca nazista voleva come regalo di compleanno. Al centro del libro la Toscana e i suoi capolavori, l´assedio di Firenze, che al contrario di Roma non venne dichiarata "città aperta". Le assicurazioni naziste che i monumenti sarebbero stati risparmiati lasciano il tempo che trovano, il comando tedesco fa esplodere tutti i ponti sull´Arno con l´eccezione di Ponte Vecchio, le strutture medievali della città vengono demolite. «Questo libro nasce una quindicina di anni fa», spiega a Repubblica Ilaria Dagnini Brey, «quando avevo deciso di scrivere un articolo sulla ricostruzione "virtuale" della cappella degli Ovetari nella chiesa degli Eremitani a Padova, la mia città di nascita. Nel fare la ricerca per l´articolo mi sono imbattuta per la prima volta in questo strano gruppo di ufficiali alleati; ho chiesto in giro, nessuno ne aveva mai sentito parlare. Mi sono incuriosita, ho fatto altre ricerche, ho approfondito l´argomento, ho cercato di capire chi fossero. Non erano uomini noti, ed erano tutti morti, fatta eccezione per Mason Hammond, un professore di latino ad Harvard ormai novantenne. Sono andata a parlare con i loro familiari, e anche loro sapevano poco o nulla di questa storia che aveva visto protagonisti i loro padri, fratelli, zii. Da queste ricerche e solo nel corso degli ultimi anni ha preso corpo il libro: posso dire che ha avuto una gestazione molto lunga».