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 2010  gennaio 10 Domenica calendario

Scusate, ci siamo scordati dell’Aids Erano gli ultimi mesi del 1980 quando un ricercatore californiano, Michel Gottlieb (e chi lo ricorda più?) notò per la prima volta che un raro tipo di polmonite colpiva soprattutto i giovani bianchi omosessuali

Scusate, ci siamo scordati dell’Aids Erano gli ultimi mesi del 1980 quando un ricercatore californiano, Michel Gottlieb (e chi lo ricorda più?) notò per la prima volta che un raro tipo di polmonite colpiva soprattutto i giovani bianchi omosessuali. La scoperta dell’ Aids’ i primi articoli scientifici furono pubblicati nell’81 – ha dunque trent’anni e nacque con un "peccato originale": il fatto la malattia fosse stata individuata nella popolazione omosessuale, tanto da essere originariamente battezzata Grid (Gay related immuno deficiency) creò da subito il pericoloso equivoco che il virus non si trasmettesse anche in altri modi, attraverso le siringhe infette (in Italia furono particolarmente colpiti i giovani tossicodipendenti), attraverso le trasfusioni di sangue e soprattutto attraverso i rapporti eterosessuali. Per combattere questo equivoco, per scardinare lo stigma impresso sui gay prima e su tutti i sieropositivi poi, ma soprattutto perché l’informazione appariva l’unica prevenzione possibile, le autorità sanitarie, in Italia e in tutto il mondo, si affidarono per la prima volta in modo massiccio ai mezzi di comunicazione di massa. Si può dire anzi che tutta la comunicazione di salute sia ancora oggi in qualche modo "figlia" dell’Aids. Col diffondersi di questa pandemia la salute conquistò la prima pagina dei giornali e i primi titoli dei telegiornali, superando tra non poche polemiche i tabù che quel tipo di informazione implicava. Con le campagne sull’Aids nacquero i grandi eventi dedicati a una malattia, si diffuse l’uso di testimonial, fu adottato per la prima volta persino un marchio, il nastrino rosso. E’ stata la più massiccia mobilitazione mediatica mai effettuata nella prevenzione di una malattia. Ma qual è stato il risultato? Un parziale fallimento, perché se nei Paesi più evoluti le campagne servirono ad arginare il virus, le popolazioni più povere non furono raggiunte da quei messaggi e un intero continente, l’Africa, fu dimenticato. Nello stesso tempo la scienza riusciva a mettere in campo i farmaci per curare, o meglio controllare, la malattia, ma falliva clamorosamente nel prevenirla. «Ci vorranno dieci anni per trovare un vaccino», dicevano allora i ricercatori. E dieci anni sembravano troppi. Ora, dopo trent’anni, il vaccino non c’è ancora. E oggi la lettera di una studentessa di Milano, che racconta di essersi scoperta per caso sieropositiva e di sapere poco o niente dell’Aids, e protesta perché nessuno ne parla ai giovani, ci dice che siamo come in Africa. Si sono dimenticati dell’Aids i mass media, perché "non fa più notizia" e perché "tanto ormai c’è la cura". Ma se ne sono dimenticate anche le autorità sanitarie, che hanno allentato la presa, e la medicina di base e territoriale, troppo distratta sui temi della prevenzione. Evidentemente la prevenzione, almeno in questo delicato campo, non si trasmette di generazione in generazione. Il vecchio slogan diceva "Aids, se la conosci la eviti". Dopo trent’anni dobbiamo ricominciare daccapo.