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 2010  gennaio 10 Domenica calendario

I padroni dei campi: non c’è lavoro, vadano via ROSARNO (Reggio Calabria)’ Tutta colpa della recessione globale

I padroni dei campi: non c’è lavoro, vadano via ROSARNO (Reggio Calabria)’ Tutta colpa della recessione globale. La rivolta dei «neri» a Rosarno viene letta da alcuni imprenditori agricoli di questa zona anche in questa chiave. «La mancanza di lavoro ha condizionato la permanenza degli extracomunitari in tutta la Piana di Gioia Tauro e questo potrebbe aver alimentato la loro rabbia, sfociata nella guerriglia di giovedì scorso», spiega Antonio Lupini, produttore agricolo e vicepresidente di Confagricoltura della provincia di Reggio Calabria, l’organizzazione che raggruppa più di 5.000 aziende. «Per loro qui non c’è futuro, finché l’economia agricola in questa regione non si riprenderà, la loro presenza è inutile. giusto, quindi, che si cerchino lavoro altrove». Sfruttati e abbandonati, dunque. «Macché sfruttati, da queste parti gli extracomunitari sono stati sempre trattati con garbo e rispetto. Siamo un popolo ospitale, da sempre. Abbiamo accolto i migranti come se fossero nostri fratelli. Oggi, purtroppo per loro, non c’è più spazio in questa parte di Calabria. Devono andare via perché, tra l’altro, il loro comportamento ha innescato un odio nei loro confronti tra i cittadini, che non potrà mai più conciliare le due anime». Nessun problema di xenofobia? «Abbiamo sempre convissuto con chi ci ha permesso di portare avanti le nostre aziende. Oggi, però, non è più possibile e loro devono anche farsene una ragione». E forse è stata questa la loro rabbia. Constatare che dopo aver contribuito a fare le fortune di molti possidenti agricoli, nessuno tra loro è più disposto a trattenerli, perché anche loro oggi hanno dei costi. Che siano tutti irregolari i migranti-braccianti non c’è nessuno che lo giuri. pure vero, però, che dal rapporto dell’ente regionale Azienda Calabria Lavoro risultano contrattualizzati solo i cittadini provenienti dai Paesi dell’Est Europa. In passato l’utilizzo dei migranti è stato favorito dal facile ricorso al lavoro illegale. « vero, molti di noi hanno approfittato delle loro braccia per offrire lavoro a costi ridotti, cosa impossibile da fare con i bianchi’ ammette Lupini ”. Era però una condizione imprescindibile allora, perché altrimenti non si sarebbe potuto affrontare il mercato i cui costi non agevolavano la produzione locale. Nonostante tutto, esistevano ancora le condizioni per dare lavoro. Oggi non li possiamo neanche più "sfruttare"», dice l’imprenditore. Ma un loro ritorno da queste parti lo ritenete possibile? «Se l’economia ripartirà, credo proprio che un posto di lavoro toccherà ai nostri concittadini». Secondo chi offre lavoro da queste parti, venticinque euro al giorno per Abu e i suoi «fratelli» sono una paga ottima, che consente loro di vivere degnamente anche nel nostro Paese. «Dispiace doverlo affermare, ma per noi imprenditori agricoli gli africani sono stati una vera scoperta perché sono abilissimi nel lavorare la terra, certamente più bravi dei locali», spiega Lupini. La crisi del settore agrumicolo, quindi, potrebbe aver indebolito anche il mercato delle forti braccia di questo popolo di lavoratori. Da decenni questa fetta di territorio calabrese era considerato il bacino più produttivo della regione, soprattutto in questa specifica produzione. Oggi sta, in effetti, attraversando la crisi più profonda degli ultimi cinquant’anni. «Ottocentomila quintali di agrumi stanno marcendo sugli alberi – dice Lupini ”. Il nostro frutto è per l’80% utilizzato nella trasformazione. Il prodotto sul mercato ha una valutazione che si aggira sui sei centesimi al chilo. Per produrre un chilo di succo concentrato ci vogliono 1,70 euro al chilo. Al porto di Gioia Tauro, la stessa quantità di succo, che arriva dal Brasile, costa 1,20 euro. Le imprese perdono competitività e non è più conveniente investire nel settore».