Francesca Nunberg, Il Messaggero 8/1/2010, 8 gennaio 2010
Quando gli ebrei salutavano il Papa Era un onore ma anche un onere: partecipare al gaudio per l’elezione del nuovo Papa come cittadini romani a pieno titolo, ma essere costretti a prender posto sotto l’Arco di Tito, simbolo delle memorie più infami, del tempio distrutto e dell’inizio della diaspora
Quando gli ebrei salutavano il Papa Era un onore ma anche un onere: partecipare al gaudio per l’elezione del nuovo Papa come cittadini romani a pieno titolo, ma essere costretti a prender posto sotto l’Arco di Tito, simbolo delle memorie più infami, del tempio distrutto e dell’inizio della diaspora. C’erano anche gli ebrei lungo il percorso della solenne cavalcata che dal Medioevo in avanti il nuovo pontefice compiva dal Vaticano al Laterano per ”prendere possesso” della basilica; una processione festosa, con musiche e colori, lungo la quale le arti, le corporazioni, ma anche nobili romani e potenze straniere erano chiamati ad abbellire le strade e le facciate dei palazzi. E oggi dal nulla, o meglio dagli archivi della Comunità ebraica romana, sepolti dalle scartoffie e dall’oblio, sono venuti alla luce 14 di questi preziosi pannelli decorati (erano più di ottocento) che avranno la settimana prossima Benedetto XVI quale visitatore d’eccezione. Sarà infatti il Papa a inaugurare assieme al rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni la mostra Et ecce gaudium. Gli ebrei romani e la cerimonia di insediamento dei Pontefici che aprirà i battenti il 17 gennaio in occasione della storica visita in Sinagoga. «Si chiamano ”apparati effimeri” in quanto fatti di carta e dipinti con le tempere, esposti alle intemperie e destinati a durare solo per una cerimonia spiega Daniela Di Castro, direttore del Museo ebraico, che ci ha concesso una visita in anteprima Pensavamo fossero andati perduti ma ne abbiamo recuperati 14 che partono col pontificato di Clemente XII (1730) e si concludono con quello di Pio VI (1775). In mostra vedremo tabelle decorate con figure umane, animali e oggetti, motti, citazioni dei Salmi e del Pentateuco scritte in ebraico fiorito con traduzione in latino, molti i riferimenti ai cognomi dei pontefici. Ma ho il terrore che Ratzinger voglia sapere i nomi e gli anni di tutti i papi...». Ecco una giovane donna che inneggia a papa Corsini dicendo ”nel cor s’innalza la letizia mia”, le civette che trainano il carro di Minerva, un pellicano che si svena per nutrire i suoi figli, si vedono arcobaleni, colonne, api, aquile, l’Aurora Rospigliosi, una corsia d’ospedale dove i malati si alzano dal letto risanati dal suono di una cetra. E negli archivi sono stati trovati anche i libri mastri, con i nomi e le paghe dei miniatori, dei calligrafi, dei selezionatori di citazioni, dei mercanti che fornivano i tessuti. Le aggraziate figure dipinte, che saranno in mostra nella sala della Guardaroba, strappano un sorriso, ma fanno anche riflettere sul rapporto che la comunità ebraica aveva con la città di Roma. «Il Settecento fu un secolo denso di travagli spiega Daniela Di Castro Dal 1555 era stato istituito il ghetto e nel 1682 chiusero i banchi di pegno. Anche se gli ebrei erano dediti a ”strazzaria seu cenceria”, ossia facevano gli straccivendoli, dovevano contrastare il fenomeno delle conversioni forzate, erano privati di molti diritti civili ed era loro vietato leggere e studiare il Talmud, la partecipazione al corteo papale è una prova della loro inclusione nella società, non certo di sottomissione alla Chiesa». Tra gli oggetti e i documenti che vengono esposti assieme ai pannelli (il Museo compie 50 anni e comincia a festeggiarli così) ve n’è uno assai misterioso. Si tratta di un anello, recentemente donato da un’antiquaria: trattasi di un gioiello d’oro da uomo col ”doppio fondo”; il cammeo rappresenta Pio VII Chiaramonti, Papa dal 1800, inciso su conchiglia, ma con un meccanismo segreto l’anello si apre e all’interno si può leggere ”Immanuel” in ebraico. «Emanuele è uno degli appellativi di Gesù nel Vangelo di Matteo ma allora perché è nascosto? si chiede il direttore del Museo Potrebbe invece essere il nome di un ebreo convertito; l’anello rispecchierebbe così la situazione di quei tempi: le radici ebraiche vanno celate, l’omaggio al pontefice deve essere esibito». E se poi Benedetto XVI volesse trattenersi nel Museo dieci minuti in più, cerimoniale permettendo, il direttore gli mostrerebbe la collezione di argenti e tessuti, i manoscritti del 300, i marmi scampati alla demolizione delle Cinque Schole nel ghetto, i preziosi talled di seta del 600; e proprio uno di questi mantelli di preghiera sarà indossato dal rabbino capo in occasione della visita del 17 gennaio.