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 2010  gennaio 09 Sabato calendario

Campi in nero. Straniero il 10% dei lavoratori Al Sud due terzi sono irregolari ROMA. Sono un pilastro dell’agricoltura italiana

Campi in nero. Straniero il 10% dei lavoratori Al Sud due terzi sono irregolari ROMA. Sono un pilastro dell’agricoltura italiana. In Italia almeno un lavoratore su dieci, nei campi e nelle stalle, è straniero. Speso con­trattualizzato, a tempo determinato più che in­determinato. Ma questa è la media nazionale: se al Nord nove su dieci hanno versamenti e con­tributi, al Sud i lavoratori regolari sono poco più di un terzo. Ed è qui, come documentano Con­fagricoltura, Inea e Dossier Caritas-Migrantes, che si concentrano le situazioni di sfruttamen­to più brutale, gestite da un caporalato spesso sotto il controllo della criminalità organizzata. Braccianti che come nomadi si spostano se­guendo le stagioni del raccolto. E vivono in con­dizioni igienico sanitarie spesso peggiori – è stata la denuncia di Medici senza frontiere nel 2004 e nel 2007 – di quelle dei campi profughi nel Dar­fur. Una forza lavoro a prez­zi irrisori, spiega Franco Pittau, coordinatore del Dossier statistico sul­l’immigrazione di Cari­tas e Migrantes: « solo grazie a questi stranieri in nero – spiega l’esper­to – che molte aziende a­gricole meridionali non modernizzate riescono ad essere competitive a livello nazionale». I lavoratori extracomunitari nel settore agricolo sono circa 75mila, contando i 64mila contratti a tempo determinato e gli 11mila stagionali. Altri 15mila lavoratori sono a tempo indeterminato. In tutto circa 90mila braccianti immigrati, che ar­rivano però a superare quota 130mila se si con­tano anche i lavoratori stranieri neo-comunita­ri, come romeni e polacchi. Una fetta importante del milione e passa di occupati del settore. Gli stranieri nei campi arrivano dai paesi dell’A­frica subsahariana (Malawi, Senegal, Sudan, E­ritrea, Etiopia) e dal Maghreb (Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto). Del sud est asiatico (India e Sri Lanka) sono molti stallieri impiegati al Nord e nell’Agro pontino. Macedoni molti pastori. Nu­merosi anche gli albanesi, i bulgari e i romeni. Al Nord gli stagionali sono più di frequente polac­chi e dei paesi dell’ex-Jugoslavia. Secondo il rapporto 2007 dell’Inea, l’Istituto na­zionale dell’economia agraria, la quota dei la­voratori regolari tocca il 70% a livello naziona­le. Con grossi squilibri però tra Nord e Sud. L’I­nea stima infatti nel 90% i contratti regolari al settentrione, dato che scende al 36% al Sud. «Il lavoro in campagna, meno esposto ai controlli, favorisce una certa quota di irregolarità anche al Nord – spiega Pittau – ma non è paragonabi­le al sommerso che c’è al Sud, da Castel Voltur­no, a Caserta, da Foggia, a Lecce, in Calabria e Sicilia. Possiamo stimare tra i 20 e i 30mila i la­voratori in nero. Il che non equivale automati­camente a stranieri irregolari perché al Sud la­vorano migliaia di immigrati col permesso che hanno perso il posto al Nord». L’analisi sul cam­po di Msf rivelava che il 72% degli intervistati e­ra irregolare, mentre il 28% aveva un permesso di soggiorno per lavoro, motivi umanitari, sta­tus di rifugiato. Che la situazione fosse esplosiva a Rosarno lo metteva nero su bianco l’Inea già due anni fa, sottolineando situazioni di totale violazione dei diritti umani. Lavoratori senza diritti, braccian­ti nomadi che si spostano stagionalmente dalla Sila alla piana di Gioia Tauro o a quella di Sibari. «Le ore di lavoro sono tutte quelle possibili di lu­ce, minimo 8 o 10 al giorno – spiegava Giuliana Paciola della sede regionale Inea Calabria – e il capolarato, in genere, è effettuato da calabresi, ai quali spesso è corrisposta anche la paga», su cui trattengono una percentuale. Un sistema di sfruttamento perfettamente funzionale ad un’e­conomia distorta. Che qualche volta, come a Ro­sarno, si inceppa. Momentaneamente.