Carlo Fusi, Il Messaggero 8/1/2010, 8 gennaio 2010
Epifani: «Il governo abile a gestire la crisi ma manca un vero piano strategico» «Giusto non aver aumentato il deficit, così non pagheranno le nuove generazioni» ROMA Guglielmo Epifani non ci sta a banalizzare
Epifani: «Il governo abile a gestire la crisi ma manca un vero piano strategico» «Giusto non aver aumentato il deficit, così non pagheranno le nuove generazioni» ROMA Guglielmo Epifani non ci sta a banalizzare. Quando Tremonti sostiene che l’azione di governo ha prosciugato l’acqua dell’antiberlusconismo, oppure quando esalta il fatto di non aver usato per fronteggiare la crisi strumenti del passato cari alla sinistra come le politiche di deficit o di spesa facile, dice cose forse condivisibili. Ma parziali, questo è il punto. «Il governo - ragiona il segretario della Cgil - ha avuto la capacità di governare la crisi perdendo poco consenso, questa è la vera particolarità italiana. Gli riconosco una abilità di fondo nel modo con il quale ha agito, una straordinaria capacità di ingegneria finanziaria. Tuttavia il prezzo di queste scelte è salato». Al dunque segretario l’analisi di Tremonti la convince a metà. «Diciamo che non mi convince e basta. Riconosco al governo una dose di abilità nell’aver affrontato la crisi. Che poi abilità significhi costruire un vero progetto per il futuro del Paese, beh ce ne corre». E dove sta, a suo giudizio, l’elemento di maggiore criticità? «Semplice: il governo ha sostanzialmente galleggiato sulla crisi. Ha provato a ridurre i conflitti sociali, questo è vero, puntando a salvaguardare il proprio blocco sociale di riferimento. Tuttavia la modalità con cui tutto ciò è avvenuto non disegna alcun progetto per il futuro del Paese. Il galleggiamento sta qui. E’ stata fatta una politica tutta a breve, priva di uno sforzo strategico: ciò che manca è il rapporto tra come stare nella crisi e come costruire il dopo. Senza dimenticare che molte modalità usate per ridurre l’area del conflitto non danno risposte alla parte del Paese che è in sofferenza. Non si è costruita una risposta al problema della povertà. Che infatti tende ad aumentare». Però sugli ammortizzatori sociali l’impegno è stato rilevante... «E’ vero che si sono usati gli ammortizzatori in deroga, prendendoli prevalentemente dai soldi delle regioni, per risolvere i problemi delle casse integrazioni. Ma anche qui con strumenti che non sono andati al cuore del problema. Noi abbiamo denunciato che i precari sostenuti dalle misure del governo erano poco più di mille rispetto ai 150 mila che hanno perso il lavoro. Quanto alla disoccupazione abbiamo chiesto il raddoppio del periodi di indennità perchè con una crisi come questa un lavoratore che perde il lavoro non può avere una indennità solo per otto mesi perchè non trova il lavoro al nono mese. Una misura che non costava molto, Tremonti ha detto ci rifletto, al dunque non si è fatto nulla. Insisto: ci sono cose con cui il governo ha cercato di venire incontro all’area della sofferenza ma lo ha fatto con strumenti che non raccolgono la vera dimensione del disagio sociale e occupazionale». Tuttavia non è stata usata la politica della spesa facile. E’ un merito o no? «La questione del deficit è un problema vero: non è certo la Cgil a disconoscerne l’importanza. Tuttavia l’Italia aveva una grande opportunità perchè a differenza degli altri Paesi europei noi non abbiamo messo soldi per salvare il sistema bancario. Quando Tremonti dice che da noi il deficit cresce meno, lo fa a ragion veduta perchè gli altri hanno dovuto mettere miliardi di euro per salvare il sistema creditizio dalla bancarotta. Una parte di quei soldi si dovevano usare per l’economia reale: sostenere gli investimenti, avere un po’ più di politica industriale, salvaguardare redditi e consumi. Il che non è stato fatto. Con un risultato non buono: siamo andati indietro molto più degli altri, la spesa corrente è salita, il deficit è aumentato seppur lievemente e si è fatto poco per l’economia reale». Insomma poche luci e molte ombre. «Il giudizio sul Paese deve essere più attento ai dati della realtà. Non basta dire: abbiamo evitato la catastrofe; bisogna dire che avere ancora oggi una produzione industriale che segna un meno 23-24 per cento dell’anno precedente, avere settori industriali di punta come la metalmeccanica col segno meno 30 per cento, vuol dire che, come del resto ha sottolineato Confindustria, per tornare a prima del 2007 serviranno 7 o 8 anni. Dire che è passato il pericolo maggiore non vuol dire che siamo a posto perchè siamo un paese da punto di vista dell’economia reale più vulnerabile degli altri. I dati dell’aumento spaventoso della cassa integrazione sono una conferma. La crisi è più profonda di quello che governo dice». Segretario al dunque: cosa c’è da salvare dell’analisi tremontiana? «Io una politica di attenzione la condivido perchè non posiamo gettare sulle nuove generazioni il peso di un debito fuori controllo. Cos’è che critico? Per esempio i tagli indiscriminati. Il fatto che si sono portate le risorse al centro e sono state tagliate quelle in periferia: una politica centralista fatta da un governo che si dice attento al federalismo. Per la serie: si dice una cosa e se ne fa un’altra». Però il ministro dell’Economia afferma che è stata salvaguardata la spesa sociale. Tutte bugie? «Bisogna distinguere. Se penso alla spesa sociale dei comuni, come ho detto, il taglio c’è stato eccome. Certo non è stata toccata la spesa previdenziale, però dal primo gennaio partono nuovi coefficienti che renderanno le pensioni del sistema contributivo già da ora più basse del 6-7 per cento. Anche sulla vicenda sanitaria riconosco a Tremonti una sensibilità positiva verso le regioni e dunque dopo un negoziato difficile si è trovato un accordo, ma il finanziamento di questo accordo diciamo così è ancora aperto. Insomma si è scelto di dare un po’ di ossigeno per evitare lo sgretolamento della coesione sociale. Ma sono rimasti fuori in tanti: le area della povertà, i pensionati, il Mezzogiorno, i più colpiti come i precari». Ma è vetro o no che il governo di destra si è appropriato di parole e concetti cari alla sinistra come compassione, solidarietà eccetera?. Si sente spiazzato? «Già ma ne mancano altre: diritti, uguaglianza, libertà, pluralismo. Possiamo spezzettare corporativamente i diritti di tutela del mercato del lavoro? Oppure possiamo lasciare solo alla Chiesa di occuparsi degli immigrati? L’opposizione ha un problema analogo a quello della maggioranza: come affrontare la crisi preparando il futuro. E’ un tema che riguarda tutti, sinistra e Cgil comprese. E’ una questione che in altri tempi si sarebbe definita di egemonia, cioè della capacità di saper interpretare e dare rappresentanza a diritti e interessi». E sulla riforma fiscale? Lei crede si farà o no? «Non basta dire studiamo, vediamo. Quest’anno i lavoratori dipendenti hanno pagato più fisco rispetto all’anno scorso. E perchè i proventi dello scudo fiscale non sono andati a forme di riequilibrio dell’imposizione? Sul fisco vogliamo aprire una vertenza da subito, non si può più aspettare perchè già nell’immediato i lavoratori dipendenti pagano più tasse. Mentre altri ne pagano meno. Dalla crisi usciremo con più disuguaglianze. Non si toccano le rendite e le grandi ricchezze, però si tocca il lavoro». Per realizzare la riforma fiscale secondo Tremonti occorre grande consenso. Quindi vi chiama in causa... «Rispondo così: è chiaro che per noi riforma significa ridurre le tasse sui lavoratori. Certo che serve grande consenso ma Tremonti deve anche capire che alcuni interessi vanno toccati. Se lui o il governo vogliono lasciare tutto a tutti, vuol dire che la volontà di ridurre le tasse è fittizia. Voglio sfidare il ministro su questo terreno. Il risparmio familiare ci ha salvato dal disastro ma non si può continuare a tassare solo chi produce reddito: cioè il lavoro e l’impresa. Questo è inammissibile». E’ vero che alla sinistra resta solo l’antiberlusconismo ad personam e questo la porterà a perdere ancora? «Come Cgil quel concetto non l’abbiamo mai cavalcato. Bisogna sempre stare al merito dei problemi, rigettando la personalizzazione. Ma per capirci: il conflitto d’interessi è un tema che c’era, c’è e ci sarà indipendentemente da chi oggi è a capo del governo».