Massimo Gaggi, Corriere della Sera 8/1/2010, 8 gennaio 2010
Usa, ora i senza tetto sono del ceto medio Lawanda Madden, una bella signora nera di Pontiac, nel Michigan devastato dalla crisi dell’auto, una trentanovenne laureata che fino all’inizio del 2009 aveva un appartamento confortevole e un lavoro da 35 mila dollari l’anno, in poco tempo ha perso lavoro, casa, assistenza sanitaria e si è ridotta a dormire in auto coi suoi due bambini, quando non trova qualche amico disposto ad ospitarla per qualche giorno
Usa, ora i senza tetto sono del ceto medio Lawanda Madden, una bella signora nera di Pontiac, nel Michigan devastato dalla crisi dell’auto, una trentanovenne laureata che fino all’inizio del 2009 aveva un appartamento confortevole e un lavoro da 35 mila dollari l’anno, in poco tempo ha perso lavoro, casa, assistenza sanitaria e si è ridotta a dormire in auto coi suoi due bambini, quando non trova qualche amico disposto ad ospitarla per qualche giorno. A New York Carlos Ruano, un operaio giornaliero venuto dal Guatemala che non riesce più a trovare i lavori provvisori ma ben pagati di un tempo, tiene duro, manda ancora qualche dollaro alla famiglia, ma è costretto a passare la notte in quello che i latinos chiamano «hotel ambulante»: le carrozze sempre in movimento della metropolitana della linea E. A Chicago Maria Maior guarda il figlio dodicenne che salta sul divano e gioca con la playstation collegata a un grande schermo piatto appeso al muro: una bella scenetta da famiglia media americana se non fosse che non siamo a casa Maior, ma in un pezzo di deposito abbandonato che Maria ha trasformato in abitazione provvisoria dopo essere stata sfrattata. A Los Angeles a vivere e pernottare in un vecchio Suv è un’intera famiglia, madre e due figli. Sembra la storia di una delle tante ragazze-madri, soprattutto nere, che fanno mille acrobazie per allevare i figli. Ma la famiglia Berger è bianca, i due «ragazzi», Larry e Charlie, sono ultrasessantenni che hanno smesso di lavorare perché disabili, mentre la madre, Bessie Mae, ha 97 anni. E lei a racimolare i dollari che servono per sopravvivere: chiede l’elemosina alle pompe di benzina e davanti ai supermercati. Da noi, anche quando l’Italia era più povera, «senzatetto» è sempre stato sinonimo di persona senza casa per una catastrofe naturale. Non negli Usa dove gli «homeless» hanno rappresentato l’altra faccia di un sistema efficiente, meritocratico, ma poco generoso con chi cade per suoi errori, disavventure o malattie. Ma quello che fino alla Grande Recessione era un fenomeno tutto sommato contenuto, che i Comuni tamponavano con gli «shelter» (alloggi pubblici provvisori) limitando il numero di persone – soprattutto alcolizzati e malati di mente – abbandonate sui marciapiedi o sotto i viadotti, nell’ultimo anno è esploso come una vera emergenza sociale. Sindaci e governatori, a loro volta con le spalle al muro per il crollo delle entrate fiscali, non riescono più a contrastare il fenomeno. Mentre i media, che un tempo raccontavano soprattutto l’epopea dei self made men, si riempiono di storie dell’America degli sconfitti, per il governo stretto tra terrorismo, guerre e crisi economica, si materializza un’altra sfida: salvare dal naufragio un pezzo di ceto medio che ha perso il lavoro e ora rischia di perdere anche il tetto. Per la bolla immobiliare, non per gli uragani.