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 2010  gennaio 09 Sabato calendario

AL DRAGONE L’ESCLUSIVA DEL NOSTRO FUTURO HI-TECH


Terbio, disprosio, neodimio, lantanio, ytterbio, europio, prometio, cerio. Sono i metalli rari, la chiave che apre alla Cina la cabina di controllo di buona parte dei mercati del futuro, complici green economy ed alta tecnologia. Le proprietà di questi minerali - il gruppo conta 17 elementi: i ree, rare earth element - sono indispensabili per produrre le batterie delle auto elettriche, i cavi in fibra ottica, i superconduttori, le lampadine a basso consumo, le turbine eoliche, i magneti che fanno funzionare motori e generatori elettrici verdi. Senza metalli rari niente Iphone, niente computer di ultima generazione, niente televisori ultrapiatti e niente maxischermi. Niente macchine radiografiche, in ospedale o in aeroporto. Addio alle reflex digitali e alle linee telefoniche ultraveloci. La batteria dell’ultimo motore ibrido di Toyota contiene 15 chili di reee quest’anno sarà prodotta in un milione di esemplari: Toyota s’è comprata una miniera in Vietnam firmando un contratto di fornitura esclusiva, ma potrebbe non bastare.
Il 97% dei metalli rari esce da miniere cinesi: prima fra tutte quella di Batou, nella Mongolia interna. Fino a una quindicina di anni fa, una delle tante industrie estrattive destinate soprattutto all’esportazione. Poi la Cina ha cominciato la sua corsa, ha aperto produzioni ad alto contenuto tecnologico e ha cominciato a tenere una parte sempre maggiore di metalli per sè. Negli ultimi sette anni si è arrivati alla soglia dell’allarme: Pechino ha bisogno dei suoi minerali e non ha nessuna intenzione di dividerli con il resto del mondo. Le esportazioni sono state tagliate del 40%, e a questo ritmo nel 2012 il paese della Grande Muraglia produrrà solo per sé, lasciando il resto del mondo a gingillarsi con il suo bravo 3% di produzione. Nuove miniere? Capita la portata del fenomeno s’è scatenata la caccia ai ree in Groenlandia, in Sudrafrica e in Sudamerica.
Peccato, dicono gli esperti, che manchino ancora come minimo cinque o sei anni (ma potrebbero essere dieci) prima che le nuove miniere comincino a produrre. I numeri fanno impressione: in tutto il mondo le industrie che dipendono dai metalli rari valgono il 5% del Pil. Negli ultimi dieci anni la domanda è triplicata, passando da 40 a 120 mila tonnellate l’anno, ma già nel 2014 si potrebbe arrivare a 200 mila con l’impulso dato negli ultimi mesi ai motori verdi.
Jack Lifton, uno degli esperti più accreditati della materia, ha le idee chiare: «Il mondo occidentale non sembra aver capito che sta arrivando una crisi vera. Cercare fornitori fuori dalla Cina è un’emergenza che va affrontata subito. Pechino esportava il 75% dei metalli, oggi è scesa al 25 e, soprattutto, pensa di non aver nessun obbligo di garantire le forniture ad altri paesi». Un timido tentativo di aprire una discussione è arrivato, in realtà, dal ministro del Commercio britannico, che ha annunciato un «monitoraggio» per verificare «se la Cina rispetti le regole del commercio internazionale». Anche il Dipartimento dell’economia americano s’è fatto sentire: «Stiamo lavorando con l’Organizzazione mondiale del commercio per valutare l’impatto della domanda sul lungo termine». Puoi capire il panico a Pechino, dove il ministero dell’Industria ha prodotto un rapporto con cui consiglia al governo di vietare le esportazioni per almeno cinque metalli e di contingentare quelle degli altri. Quando la notizia s’è diffusa - ai primi di settembre - Pechino s’è affrettata a smentire che quel documento rappresenti la linea ufficiale del governo. Fosse anche solo ufficiosa, preoccupa.L’interscambio tra Italia e Cina si fa beffe della crisi e segna un nuovo record: 40 miliardi di dollari nel 2009. Ieri lo ha reso noto l’ambasciatore cinese a Roma, Sun Yuxi (foto), secondo cui il volume d’affari tra Roma e Pechino è cresciuto di due miliardi di dollari rispetto al 2008. E ancora devono maturare gli accordi siglati a luglio in occasione della visita di una delegazione di un centinaio di imprenditori cinesi al seguito del presidente Hu Jintao. In quell’occasione, ha aggiunto l’ambasciatore, «furono firmati accordi per due miliardi di dollari per progetti che da allora vanno avanti tranquillamente».