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 2010  gennaio 08 Venerdì calendario

Francesco Jori, Dalla Liga alla Lega, Marsilio, 157 pagine, 16 euro. «Veneti da oltre tremila anni, italiani da poco più di cento» (slogan della Liga Veneta, fondata nel 1980)

Francesco Jori, Dalla Liga alla Lega, Marsilio, 157 pagine, 16 euro. «Veneti da oltre tremila anni, italiani da poco più di cento» (slogan della Liga Veneta, fondata nel 1980). «Liga Veneta è la madre di tutte le leghe» (il leader di Liga Veneta Franco Rocchetta). Franco Rocchetta, nel 1992, allo studioso francese Marc Lazar, in un’ampia intervista su Politique Internationale: «Noi siamo gli eredi di un popolo che da 3500 anni risiede sul medesimo territorio, al quale ha dato il proprio nome». Nel 1983 la Liga veneta stupì l’Italia approdando in Parlamento. «Se Bossi è il leader che ha saputo dare peso politico a una realtà frantumata e complessa, irritata e delusa, è dal Nordest che è partita la prima scintilla. E’ da quest’area, in particolare dalla fascia pedemontana che va da Verona a Pordenone, che si è innescata la slavina in cui è confluita la multiforme realtà di piccola, spesso addirittura micro-impresa, sempre più protagonista sul piano economico e sepre meno rapppresentata su quello politico. Antagonista di Roma, in quanto apparato pubblico; ma anche di Torino, in quanto espressione di quell’asse tra grande impresa e sindacato che veniva visto come una santa alleanza dei tutelati, contrapposta alla schiera dei non garantiti». Tra i vari movimenti sia pure effimeri che germogliano in Veneto, l’apparizione, nel 1979, di una «Armata Dolomitica Indipendentistica» che annuncia di battersi per creazione di uno Stato indipendente per la Provincia di Belluno, con azioni anche forti tipo attentati ai tralicci come nel vicino Sudtirolo. L’8 maggio 1945 nasce a Bolzano la Südtiroler Volkspartei, che sceglie come simbolo la stella alpina e raccoglie immediate massicce adesioni (50 mila iscritti già a settembre). Tuttora su 116 sindaci della provincia di Bolzano 100 sono del partito della stella alpina. L’atto costitutivo della Liga Veneta viene sottoscritto nello studio di un notaio di Padova nel gennaio 1980; ma già un mese prima si è tenuto il primo congresso, in un caffè di Recoaro, nel Vicentino. La scelta del posto non è un caso: privo di mezzi, il movimento si basa totalmente sul volontariato, con volantini e manifesti scritti a mano con i pennarelli, attacchinaggio clandestino, propaganda porta-a-porta, riunioni in bar o trattorie alcuni dei quali entreranno nella storia della Liga: come il Bassanello a Treviso, la Stella d’Oro a Quinto, la Chiocciola a Quero, il Piave e la Rondine a Belluno. Nel nucleo dirigente del movimento ci sono anche due persone che nel maggio 1997 saranno tra i protagonisti della scalata al campanile di San Marco a Venezia: Luigi Faccia e Flavio Contin. Alle politiche del 1983, tra la sorpresa pressoché generale, la Liga elegge due parlamentari (Achille Tramarin alla Camera e Graziano Girardi al Senato), ottenendo i consensi più elevati nelle zone dove più forte è la Democrazia Cristiana. Non è un caso: quei voti arrivano proprio da settori di elettorato democristiano che cominciano a non sentirsi più rappresentati soprattutto sul piano dell’identità e della tutela degli interessi veneti. Un problema avvertito, nella «balena bianca», dal solo Toni Bisaglia, che già l’anno precedente ha denunciato, in un’intervista a Ilvo Diamanti, la sordità romana e ha lanciato l’idea di una Dc veneta autonoma e federata con quella nazionale, sul modello della Csu bavarese con la Cdu tedesca. Sempre Bisaglia, un mese dopo il voto del 1983, spiega in un’intervista a Panorama che «quelli della Liga sono tutti voti democristiani, voti persi dal commerciante che si è ribellato ai registratori di cassa, dalla famiglia coltivatrice diretta che ha un figlio laureato ma disoccupato da anni, dal giovane che nei concorsi s’è visto soffiare il posto di impiegato alle Poste da un candidato che viene dal Sud». Al debutto in Parlamento, Tramarin inizia il suo intervento, alle 9 di sera, in dialetto veneto: «Sior marìgo (il presidente dell’Assemblea, ndr), siuri deputai de’l Stado Talgiàn, a sen chive par la prima olta te la storgia pa’ fhar aldir la oxe era de’l popolo veneto. A sen nasesti tel Veneto, na nation de la Europa, che da co la xe sta dhonta co’l inbrogio a’l Stado marson e savoiardo tel 1866 la xe sta pestona’ e thapega’ te i so deriti de popolo libaro…». Lo interrompe quasi subito il vicepresidente che guida la seduta, Oddo Biasimi (Pri) invitandolo a continuare in italiano. Scrive il ”Giornale nuovo” nella seduta della cronaca: «In aula qualcuno commenta: abbiamo un matto in più». Il direttore, Indro Montanelli, bolla l’episodio come «un rigurgito di anti-Risorgimento, che la democrazia mi impone di sopportare, non di condividere». «L’identikit di questo elettore leghista di prima generazione identifica un soggetto prevalentemente di sesso maschile, adulto ma non anziano, con un livello di istruzione poco elevato, proveniente dalle componenti sociali medio-basse: operai e ceti medi autonomi delle aree industriali». Ilvo Diamanti dietro all’insorgenza leghista individua un filone che andrà prendendo consistenza nel tempo: «La frustrazione che attraversa un contesto sociale che si sente economicamente centrale e politicamente periferico, sottorappresentato all’interno dei processi di collocazione delle risorse economiche, alla cui produzione partecipa in maniera crescente». «Giganti economici e nani politici», slogan tra i più diffusi in Veneto nel passaggio di Millennio. La Liga compromette quasi da subito il successo del 1983, con una serie di liti politiche e giudiziarie destinate a sfociare in una serie di scissioni. In quello stesso anno se ne va dal movimento Luigi Faccia, che anni dopo spiegherà: «Io ed altri (tra cui Contin, ndr) l’abbiamo fatto ritenendo che la Liga non difendesse più i valori per cui era nata, e si fosse trasformata in un partito come tutti gli altri». Quattro anni dopo, nel gennaio 1987, i due avrebbero partecipato alla nascita di quel Veneto Serenissimo Governo che dieci anni dopo, il 12 maggio 1997, duecentesimo anniversario della caduta della Serenissima, sarebbe stato protagonista dell’assalto al campanile di San Marco, suscitando con quel gesto un’eco mondiale. Bossi nel 1980 dà vita all’Unolpa, Unione nord occidentale lombarda per l’autonomia; ma ben presto accantona un’iniziativa «improbabile fin dal nome» e a cavallo tra il 1981 e il 1982 fnda la Lega autonomista lombarda, scegliendo come simbolo il profilo stilizzato della regione sormontato da Alberto da Giussano con la spada insanguinata: il leggendario condottiero che che alal testa della Compagnia della Morte sconfisse il 29 maggio 1176 l’imperatore Federico Barbarossa a Legnano. Nel marzo 1982 Bossi pubblica sulla rivista Lombardia autonomista le finalità del nuovo movimento. Al primo punto, «l’autogoverno della Lombardia superando lo Stato centralizzato con uno Stato federale che sappia rispettare tutti i popoli che lo costituiscono». Si chiede inoltre, tra le altre cose, la precedenza ai lombardi nell’assegnazione di lavoro, casa e assistenza; un sistema finanziario sul tipo di quello del Trentino-Alto dige; amministrazione pubblica e scuola gestite dai lombardi; lotta a delinquenza, mafie, racket. «A differenza dei colleghi veneti, Bossi non crede nella capacità di resa della rivendicazione di un regionalismo etnico: dopo averlo cavalcato per qualche tempo nella fase iniziale, lo abbandona molto presto, preferendo puntare più pragmaticamente sullo sperpero di risorse pbbliche al Sud, sulla contrapposizione tra Roma eperiferia, e sulla difficile situazione socioeconomica italiana». Alle politiche del 1987, i veneti perdono (per poco meno di 1.500 voti) la rappresentanza parlamentare conquistata quattro anni prima dalla Liga, e vengono rimpiazzati dai «cugini» anche nel numero di seggi. Il movimento lombardo ttiene 186.255 voti alla Camera, pari al 3%. Un’indagine della Cattolica di Milano traccia l’identikit del leghista lombardo tipo: relativamente giovane, scolarizzato, con posizione professionale medio-alta, reddito superiore alal media regionale, politicamente moderato, più attaccato al valore del lavoro che a quello della solidarietà, cattolico praticante». Il 4 dicembre 1989, nello studio del notaio Giovanni Battista Anselmo a Bergamo, nasce il Movimento Lega Nord. Segretario del movimento è Bossi, presidente è Marilena Marin della Liga Veneta. Obiettivo: «la pacifica trasformazionedello Stato italiano in un moderno Stato federae, attraverso metodi democratici ed elettorali». Commento sconfortato di Flaminio De Poli: «Ancora una volta il veneto ha fatto la figura del Veneto: sono andati in Lombardia con il cappello in una mano e la ”sporta coi ovi” nell’altra». E proseguendo in dialetto spiega che quel cesto con le uova «Rocchetta lo ha già verto davanti a Bossi; e queo, oltre ai ovi, el gà vossùo anca la galina; e a noialtri veneti non ne resta che piansàr». Dal 7 al dicembre 1989 si svolge al Jolly Hotel di Segrate il «congress nassjonal» dei lombardi. In quella sede Bossi dice tra l’altro che non ci si deve fermare al Po e inaugura il filone della polemica contro l’immigrazione denunciando i «gorghi invisibili del melting-pot» e sostenendo che «la società multietnica e multirazziale è una società che per sua natura è contro l’uomo: «distruggendo il processo di identità etnica la società multirazziale provoca il declino della morale, va incontro alla disgregazione, sviluppa i comportamenti dell’omosessualità, della devianza giovanile, della droga, crea condizioni patoogiche che favoriscono ad esempio la sterilità». Altri obiettivi: autonomia ipositiva a livello regionale, sgravi fiscali per el famiglie numerose e monoreddito, giustizia amministrata da magistrati lombardi, insegnati lombardi nelle scuole, agevolazioni fiscali per i lavoratori autonomi, ecc. Il congresso viene anche presentato l’inno lombardo. Lavori si concludono con l’elezione del senatùr per acclamazione. Il 20 maggio 1990, dopo le lezioni regionali, Umberto Bossi convoca i suoi a Pontida. Da festeggiare c’è il successo della Lega, che la sera del 7 maggio si trova ad essere il secondo partito in Lombardia con il 18,9 per cento dei consensi (qusi 1 milione 200 mila voti). La scelta del luogo corrisponde a un richiamo specifico: lì, il 7 aprile 1167, nell’abbazia benedettina fondata un secolo prima da Alberto da Prezzate, si è tenuto il giuramento dei dei Comuni riuniti ella Lega Lombarda contro l’impreatore Federico Barbarossa. Circa 5 mila i partecipanti, tra slogan contro la capitale («Roma ladrona, la Lega non perdona») e contro il capo dello Stato («Cossiga, Cossiga, la lega ti castiga»). Questo il testo su cui i neoletti giurarono solennemente: «Oggi in Pontida gli anni del nostro impegno per la libertà dei nostri popoli, si saldano ai sacrifici degli avi che scelsero questo luogo per giurare il loro impegno in difesa della libertà. Io che ho voluto candidarmi nelle liste della Lega Lombarda - Lega Nord per diventare alfiere attivo nella lotta per l’autonomia del popolo lombardo, veneto, piemontese, ligure, emiliano, romagnolo e toscano, unisco il mio giuramento a quello degli avi: giuro fedeltà alla causa dell’autonomia e della libertà dei nostri popoli che oggi, come da mille anni, si incarnano nella Lega Lombarda e nei suoi organi dirigenti democraticamente eletti». Le regionali e le amministrative di quella primavera portarono tra l’altro a casa il primo sindaco della storia leghista: quello di Cene, paesino della Val Seriana, 4 mila nime. Si chiama Franco Bortolotti, ha 41 anni, è titolare di una piccola ditta di trasporti: la lista di cui è a capo raccoglie il 43%, la notizia finisce persino sul New York Times. Al congresso costituivo della Lega Nord, che si tiene dall’8 al 10 febbraio 1991 all’hotel Ripamonti Due di Pieve Emanuele (Milano) Bossi lancia il celebre slogan «la Lega ce l’ha duro», che sarà poi tradotto in un neologismo che entra nei vocabolari di italiano («celodurismo»). Bossi viene eletto segretario per acclamazione. Viene istituita la carica di presidente assegnata a Franco Rocchetta: «Un riconoscimento della primogenitura dei veneti nella battaglia autonomista; ma anche un ruolo più di facciata che di sostanza, visto che le decisioni che contano è e sarà sempre Bossi a prenderle». (nell’autunno 94 Rocchetta, messo nell’angolo, abbandenerà la Lega). Nel 1992 (ultime elezioni col sistema proporzionale) in Veneto la Dc sprofonda dal 43,5 % del 1987 al 31,5. La Lega diventa il secondo partito in Veneto con il 17,8 %. Il 4 ottobre 1991 il Wall Street Journal, due milioni di copie stampate, definisce il movimento di Bossi come «il più influente agente di cambiamento della scena politica italiana». A Pontida, il 10 maggio, Bossi lancia la disobbedienza fiscale, tema caro a Miglio: «Non lo seguirà praticamente nessuno, ma il tema è popolare e fa presa». A luglio il carroccio presenta la sua moneta, la ”Lega”, in tagli da 1 e da 5. Il 20 giugno 1993 viene eletto sindaco di Milano (battendo il candidado del centrosinistra Nando Dalla Chiesa) il leghista Marco Formentini. Sua moglie, la signora Augusta, fu subito ribattezzata «first sciura». Nel 1993 la Lega viene coinvolta in Tangentopoli: il 29 novembre, al processo Enimont, Carlo Sama (Cognato di Raul Gardini) dice di aver versato l’anno precedente, in vista delle politiche, 200 milioni ad Alessandro Patelli, segretario amministrativo del Carroccio. Patelli viene arrestato, e nella sede della Lega in via Bellerio si organizza una colletta, utilizzando una damigiana di vetro; in breve vengono raccolti i 200 milioni che Bossi in persona, il 20 dicembre, porta all’allora sostituto procuratore di Milano Antonio Di Pietro. Nell’ottobre 1995 Bossi viene condannato a 8 mesi per finanziamento illecito, sentenza poi confermata dalla cassazione. Intanto la Lega si trova a dover fronteggiare Silvio Berlusconi, concorrente che in larga misura gli contende il suo stesso elettorato. Berlusconi lavora all’idea di Forza Italia dalla primavera del 1993, e l’ha formalizzata a giugno da un notaio prendendo il nome dallo slogan utilizzato dalla Dc nella campagna elettorale del 1987, curata da Marco Magnani, il creativo inventore dello slogan della «Milano da bere». Il 18 gennaio 1994 nasce ufficialmente il movimento politico Forza Italia, il 26 il cavaliere dà il famoso annuncio tv della discesa in campo. Agli inizi di febbraio Bossi sigla con Berlusconi l’accordo per dare vita al Polo delle libertà. Però i sondaggi dicono che la Lega perde consensi, e allora Bossi in campagna elettorale non esita a definire l’alleato «costola del vecchio regime», «traghettatore del ceto politico tradizionale», «riciclatore delle forze di governo». Alle elezioni del 27 marzo la Lega si assesta sull’8,4% con una leggera flessione rispetto al 1992. «Il significato profondo di quelle elezioni, che porterà di lì a poco alla rottura dell’alleanza e alla fine del governo Berlusconi, viene messa in luce da Ilvo Diamanti (2003): ”La parabola della Lega di governo si conclude perché, mentre arriva al governo, la Lega non interpreta più l’intero Nord, ma una sola parte di esso: quella da cui aveva tratto origine e sostegno”». Alle Europee di giugno la Lega perde colpi: poco più di due milioni di voti, pari al 6,6%. Il 21 dicembre la Lega toglie la fiducia al governo: una decisione che provoca la fine dell’esecutivo Berlusconi dopo soli otto mesi. Al Congresso del febbraio 1995 per la prima volta Bossi parla di secessione e annuncia il varo di un parlamento del Nord. A fine mese viene iscritto nel registro degli indagati per le dichiarazioni secessioniste fatte durante la seduta del ”parlamento”. Alle elezioni del 21 aprile 1996 la Lega ottiene il risultato più alto di sempre malgrado il sistema maggioritario che tendenzialmente penalizza chi corre da solo: 10,8 %, 4.038.239 di voti, 87 seggi tra Camera e Senato. Dal 13 al 15 settembre si svolge la famosa marcia sul Po, destinata a concludersi con la proclamazione solenne della nascita della Padania. L’idea originaria del senatùr era quella di dare vita a una gigantesca catena umana sulle sorgenti del Po, sul Monviso a Pian del re, lungo il corso del «grande fium» fino a Venezia dove sarà celebrato il momento conclusivo. Il presidente federale del Carroccio Stefano Stefani alla fine convince Bossi che l’operazione, considerando la natura geografica del territorio, è impossibile. E lo convince a puntare su una marcia (anche se tutt’oggi il sito ufficiale della lega afferma che «per l’occasione si svolge una catena umana che coinvolge migliaia di persone»). Secondo la Lega i partecipanti furono quattro milioni, secondo le fonti ufficiali decine di migliaia. Il 15 settembre 1996, in riva degli Schiavoni a Venezia, Bossi dà l’annuncio della «dichiarazione di indipendenza e sovranità della Padania». Le trattative col Governo italiano per sottoscrivere un trattato di separazione consensuale non dovranno protrarsi oltre il 15 settembre 1997, dunque tempo un anno, dopodiché «la dichiarazione di indipendenza e sovranità acquisterà piena efficacia e la Padania diverrà a tutti gli effetti una Repubblica federale indipendente e sovrana». Come bandiera viene scelto il sole celtico in campo verde, come moneta la lira padana. Il primo numero del quotidiano La Padania esce l’8 gennaio 1997. A maggio radio Varese diventa Radio Padania libera. Nel maggio 1996 il Veneto Serenissimo Governo (sigla nata nel 1987) in occasione del duecentesimo anniversario della caduta della Serenissima organizzano l’assalto al campanile di San Marco. Un gruppo di otto persone, denominato Veneta Serenissima Armata, si muove alle 8 di sera di giovedì 8 maggio col Tanko ”Marcantonio Bragadin” (un autocarro trasformato in mezzo blindato), sale sul campanile e issa la bandiera col leone marciano. Alle 8 di mattina di venerdì 9 maggio intervengono i Gis, che, nel giro di mezz’ora, arrestano tutti. La vicenda del campanile ad ogni modo fa il giro del mondo, e spiazza i movimenti autonomisti, a partire dalla Lega. «Otto persone qualunque, con mezzi artigianali, sono riuscite a mettere in allarme la politica italiana e le istituzioni (nelle settimane successive si registra un autentico pellegrinaggio in Veneto di alte cariche istituzionali e di alcuni dei principali leader nazionale) molto più di quanto abbiano fatto in tanti anni tutte le sigle localiste messe assieme, Lega in testa. Ne è scosso lo stesso Umberto Bossi, che a caldo parla addirittura di un «coinvolgimento dei servizi segreti italiani». Nel 1998, giudicando improduttiva la linea della secessione, Bossi comincia a correggere il tiro. Domenica 31 maggio, a Pontida, vine fuori la devolution, «ovvero la creazione di due parlamenti, uno al Nord e uno al Sud, cui siano devoluti gran parte dei poteri che fino ad oggi sono accentrati a Roma». In vista delle regionali del Duemila si riapre il dialogo con il Polo. «L’accordo con l’ormai ex acerrimo nemico Berlusconi verrà raggiunto nel gennaio successivo, a valere non solo per le regionali ma anche per le politiche (2001). Una virata che Ilvo Diamanti (2003) interpreta così: ”Bossi, sentendosi minacciato dall’interno dalle spinte regionalistiche, e dall’esterno dalla fuga dei ceti produttivi, riporta la Lega in pochi mesi nell’antica alleanza con il Polo; per forza, più che per amore; per sfuggire alla marginalità ma anche all’estremismo cui l’avrebbe spinto la strategia della paura dell’immigrazione e dell’Europa, alimentata dai militanti più fedeli”». Nonostante l’accordo con Berlusconi, il 5 dicembre si svolge la «marcia su Roma»: 100 mila padani secondo il conteggio del Carroccio confluiscono nella Capitale in una giornata che il sito ufficiale del movimento definisce indimenticabile, commentando che «i discendenti dei longobardi, 1.500 anni dopo, tornano a casa del nemico, dimostrando che la città non è inespugnabile». Il senatore Giuseppe Leoni, a bordo di un piccolo aereo da turismo, sorvola il corteo trainando uno striscione con la scritta ”Padania libera”. Il senatore Roberto Castelli annoda un fazzoletto verde alla statua di Alberto da Giussano, nei giardini del Pincio. Alla fine vengono consegnati al Quirinale i documenti con le proposte in tema di di devolution. Fini, il 21 dicembre 1994: «Con Bossi non andrei mai a prendere neanche un caffè». Il 7 dicembre 1999: «E’ impossibile qualsiasi intesa con la Lega». Casini, il 9 aprile 1999: «Credo che Berlusconi abbia forzatamente seguito Bossi una volta sola, ed è un errore che non farà più». Il 13 febbraio Bossi annuncia che con Berlusconi è stato siglato un patto d’acciaio». Le urne premiano in tutta Italia la Casa delle Libertà, al punto da indurre il presidente del Consiglio D’Alema a dimettersi. La Lega, che non raggiunge nemmeno il quorum del 4, ottiene nel governo Berlusconi tre ministeri: uno per Bossi alla Riforme istituzionali e devoluzione, uno per Castelli alla Giustizia, uno per Maroni al lavoro e politiche sociali. L’11 marzo 2004 Bossi viene ricoverato d’urgenza per un attacco cardiaco. Il 19 ottobre lascia la clinica. Nel 2008 grande affermazione della Lega, che avanza a Nord a spese degli alleati del Pdl recuperando le posizioni del 1992 e sfiorando quelle del 1996, con l’8,3% e 60 seggi alla Camera, e l’8,1% e 25 seggi al Senato. Nel complesso oltre tre milioni di voti, raddoppiando l’esito di due anni prima. Nel rapporto sul voto 2008 dell’Italian National Election Studies, lo studioso Roberto D’Alimone scrive: «Quella del 1996 era una Lega diversa e conflittuale, quella del 2000 è una Lega diversa e cooperativa». Bossi incassa quattro ministri e cinque sottosegretari. Nel settembre 2008, sul Sole 24 Ore, Marco Alfieri fa il punto sul radicamento leghista basato tra l’altro su 150 mila iscritti-militanti «che fanno il porta a porta, vanno nelle scuole, nelle palestre, nei bar: la chiave per capire il successo elettorale del Carroccio in fondo è tutta qui».