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 2010  gennaio 08 Venerdì calendario

IL LITIO, PER VOCE ARANCIO


Se la carica dei nostri telefonini, computer portatili, navigatori satellitari, lettori mp3 oggi dura tanto il merito è del litio. Se il mondo può sperare di riuscire, finalmente, a costruire un’auto elettrica che possa diffondersi davvero, il merito è, ancora e in gran parte, del litio. Passa da questo metallo argentato gran parte del presente e del futuro energetico dell’umanità.
Il litio è un metallo alcalino, il più leggero che ci sia. Ha un peso specifico di 0,535 (quasi la metà di quello dell’acqua) e il suo numero atomico è 3: significa che un atomo di litio ha solo 3 protoni, ne hanno meno solo gli atomi di idrogeno e quelli di elio. Nella sua forma pura è altamente infiammabile e corrosivo. In natura, il litio non si trova allo stato metallico, ma è sempre legato ad altri elementi. presente, anche se in minima parte, in quasi tutte le rocce ignee (quelle originate dal magma) e in molte salamoie naturali.
Il nome litio deriva dal greco lithos, cioè pietra. Fu il chimico svedese Jöns Jakob Berzelius a battezzare così l’elemento che uno scienziato del suo laboratorio, Johann Arfwedson, aveva scoperto mentre stava analizzando dei minerali sull’isola di Utö, in Svezia. Era il 1817. Arfwedson tentò, senza riuscirci, di isolare il litio dai suoi sali. Ci provò, invano, anche il suo collega Christian Gottlob Gmelin, un anno dopo. Ci riuscì finalmente William Thoms Brande, che applicò l’elettrolisi all’ossido di litio, secondo un processo sviluppato dal chimico Sir Humphry Davy per isolare i metalli alcalini dal potassio e dal sodio.
Qualche decennio dopo, nel 1855, Robert Bunsen e Augustus Matthiessen riuscirono a produrre larghe quantità di litio attraverso l’elettrolisi del cloruro di litio. Un processo utilizzato anche dalla tedesca Metallgesellschaft Ag, che dal 1923 avviò la produzione industriale per il commercio di litio allo stato metallico. Il litio prodotto su scala industriale veniva utilizzato per due scopi principali: nel processo di produzione dell’alluminio e, come lubrificante ad alte temperature, nei motori degli aerei durante la Seconda guerra mondiale.
In campo medico, fin dagli inizi del Novecento, alcuni sali di litio sono stati usati per trattare chi soffre di disordini bipolari dell’umore, dato che hanno un effetto ”calmante” sia per combattere le manie che le depressioni. Il litio veniva anche impiegato per curare la gotta, il mal di testa, l’emicrania a grappolo, il diabete. Come medicinale, il litio ha molti effetti collaterali sgradevoli: tremori muscolari, aritmie cardiache, atassia, danni alla tiroide.
Secondo uno studio del 2009 condotto dall’università giapponese di Oita e pubblicato sul British Journal of Psychiatry, le comunità che bevono acque con alti contenuti di litio hanno tassi di suicidio significativamente inferiori alla media.
La domanda di litio si mantenne elevata anche al termine del conflitto. Perché, con l’inizio della Guerra fredda, iniziò la corsa agli armamenti nucleari. Il tritium, uno degli ingredienti chiave nel processo di fusione, si ottiene dall’irraggiamento del lithium-6. Tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta gli Stati Uniti diventarono il primo produttore mondiale di litio, mettendo assieme una riserva da 42mila tonnellate trasformate, per il 75%, in litio 6.
Finita la guerra fredda, il litio ha trovato una nuova vita lontano dal nucleare. Il merito è delle batterie agli ioni di litio, chiamate Li-Ion. Sono batterie ricaricabili dove il catodo (l’elettrodo positivo) contiene il litio, mentre l’anodo (l’elettrodo negativo) è fatto di uno speciale carbone poroso. Ideata in una prima versione negli anni Settanta da Michael Stanley Whittingham, chimico statunitense ancora vivente che allora lavorava alla Exxon, la batteria agli ioni di litio è stata perfezionata nella seconda metà degli anni Novanta soprattutto grazie agli studi di John Goodenogh e Aksahaya Pandhi.
Il risultato sono le batterie attuali, che hanno tre volte l’energia della generazione precedente, quella degli accumulatori a nickel e metallo, e producono il doppio di potenza. Già nel 2005, il litio alimentava 50 milioni di portatili, 800 milioni di telefonini, 80 milioni di macchine fotografiche. Oggi, qualsiasi nuovo prodotto di elettronica in mobilità usa batterie al litio.
Oltre ad essere più potenti, le batterie al litio non soffrono dell’effetto memoria, che faceva perdere alle vecchie batterie gran parte della loro capacità. Gli accumulatori al litio hanno anche un basso ritmo di auto-scarica, approssimativamente del 5% mensile (contro il 30% delle batterie precedenti). Hanno invece lo svantaggio di un degrado progressivo anche se non vengono utilizzate: ad un livello di carica del 100%, una tipica batteria Li-Ion per calcolatore portatile caricata al 25% e conservata a 25° C perderà irreversibilmente circa il 20% della sua capacità all’anno. Questo tipo di degrado peggiora con l’aumento della temperatura di conservazione e dello stato di carica.
Da qualche anno le aziende automobilistiche stanno studiando la possibilità di usare le batterie al litio per alimentare l’auto elettrica. La Toyota ci lavora con Panasonic (cioè con se stessa), la Gm con Lg, la Nissan con Nec, la Mercedes con Johnson Control-Saft, Volkswagen con Sanyo. Anche la Fiat si è mossa. A settembre la Magneti Marelli (controllata dal Lingotto) ha firmato un accordo con Faam, azienda marchigiana con un fatturato di 85 milioni di euro, tra i leader nella produzione di accumulatori: l’intesa prevede di sviluppare e commercializzare, già entro il 2010, nuove batterie al litio per autotrazione. L’obiettivo è un valore commerciale di 1,5 miliardi di euro in 10 anni.
Secondo il numero uno di Renault e Nissan, Carlos Ghosn, nel 2020 per le strade un’automobile su dieci sarà elettrica.
Ci sono società, come la californiana Green Vehicles, di San José, che ha invece annunciato l’avvio della vendita, per circa 20mila dollari, di automobili elettriche a tre ruote capaci di sfiorare i 130 Km/h. La General Motors conta di fare esordire nel 2010 l’attesissima Chevrolet Volt, un’auto che utilizzare l’energia elettrica come fonte primaria di alimentazione grazie ad una batteria agli ioni di litio da 16 kWh, a forma di ”T”. A batteria completamente carica, la Volt può percorrere 60 km utilizzando solo energia elettrica, dopodiché entra in funzione un motore ausiliario (alimentabile con benzina o bioetanolo E85 ) che genera ulteriore energia elettrica per ricaricare la batteria. Per ricaricarla serviranno 3 ore. Chi usa l’auto per 100 chilometri al giorno, con la Volt risparmierà 2.100 litri di carburante all’anno.
All’ultimo salone di Francoforte tutte le case hanno mostrato i loro ultimi prototipi elettrici. Un rapporto di un istituto americano, Lux Research, calcola che, se Obama riuscirà davvero a lanciare l’auto elettrica negli Usa, nel 2012 si potrebbe arrivare fino a 5 milioni di macchine vendute, che richiederebbero batterie per un controvalore di almeno 14 miliardi di dollari. Significherebbe, solo all’inizio, aumentare d’un colpo quasi del 20 per cento il mercato globale attuale. Per creare le batterie necessarie a far funzionare 25 milioni di auto, però, occorrerebbero 25 mila tonnellate di litio, il 42 per cento della produzione annuale.
Il generatore di energia, in un’auto elettrica, è tutto. Massimiliano di Gioia di Microvett: «Il 99% della questione auto elettrica sta nel pacco batterie: da solo è circa il 50% del costo del veicolo, da 8mila a oltre 10mila euro. Pesa 180-250 kg. E la sua vita reale garantita dal costruttore, ad oggi, non supera i due anni».
Mentre la tecnologia avanza, c’è un altro problema all’origine. il litio prodotto oggi non è molto. Precisamente, nel mondo, ce ne sono circa 11 milioni di tonnellate. Tre milioni sono in Cile, 1,1 in Cina, il Brasile ne ha 910mila tonnellate, gli Stati Uniti 410mila, il Canada 360mila e l’Australia 220mila. Cile, Cina, Argentina e Australia sono oggi i maggiori produttori mondiali di litio. La regina del metallo del futuro, però, è la Bolivia.
Quasi il 50% delle riserve disponibili di litio, commercialmente sfruttabili, si trovano in Bolivia, nei laghi salati prosciugati delle Ande. Secondo il servizio geologico statunitense, il Paese possiede il 47% delle riserve mondiali. Le stime parlano di circa 5,4 milioni di tonnellate di metallo puro. Un patrimonio concentrato nel lago prosciugato di Uyuni e in altri piccoli salares fra Potosí e Oruro, a sud di La Paz.
I 12 chilometri quadrati di Uyuni, a 3.200 metri sul livello del mare, sono la maggior riserva mondiale di litio. Nel 1992 l’allora presidente Paz Zamora firmò un contratto con la statunitense Lithium Corporation ma una rivolta della popolazione locale fece scappare gli ”yankees”. Oggi il presidente indio Evo Morales vuole costruire sul litio la riscossa del più povero dei paesi sudamericani.
Morales ha fatto approvare una nuova Costituzione che stabilisce questo principio: «Le risorse naturali sono di proprietà e dominio diretto, indivisibile e imprescrittibile del popolo e spetta allo Stato la loro amministrazione in funzione del bene collettivo». Tutto ciò vale per i «minerali, gli idrocarburi, l’acqua, l’aria, il suolo e il sottosuolo, i boschi, la biodiversità, lo spettro elettromagnetico e tutti gli elementi e forze fisiche che possono essere sfruttate». Quindi anche il litio.
Ma la Bolivia non è in grado di costruire batterie. Non ha i mezzi economici, le risorse umane e le capacità industriali per farlo. I boliviani non sono ancora nemmeno capaci di sviluppare il procedimento chimico per estrarre il litio dai minerali. Sono proprio agli inizi: stanno realizzando una fabbrica di carbonato di litio, con un investimento iniziale di circa 6 milioni di dollari. In un secondo momento intendono investire tra i 150 e i 250 milioni per allargare il progetto. Fra due o tre anni la fabbrica dovrebbe sfornare 40 tonnellate di litio al mese.
Alla Bolivia occorre un partner straniero che la appoggi con soldi e competenze. A La Paz si sono presentati per trattare i rappresentanti di diverse ditte automobilistiche: Toyota, Sumitomo e Mitsubishi ma anche coreani, iraniani, russi e i francesi del gruppo Bolloré. Tutti a cercare un accordo col governo. Morales valuta le proposte. Ha spiegato il ministro delle Miniere Luis Echazu: «Noi parliamo con tutti ma facciamo capire che qui non si regala niente. Lavoreremo con chi ci assicura di processare il litio in loco e con un’equanime divisione degli utili».