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 2010  gennaio 08 Venerdì calendario

ARTICOLI SULLA RIVOLTA DEGLI EXTRACOMUNITARI A ROSARNO DI GIOVEDI’ 7 GENNAIO 2010

Condizioni di vita disumane e un atto di violenza razzista che ricorda quello avvenuto a Castel Volturno, dove un gruppo di immigrati senegalesi fu bersaglio del volume di fuoco malavitoso dei casalesi, sono stati la miccia di una rivolta senza precedenti a Rosarno. Centinaia di auto distrutte, cassonetti divelti e svuotati sull’asfalto, ringhiere di abitazioni danneggiate. Scene di guerriglia urbana a Rosarno, per la rivolta di alcune centinaia di lavoratori extracomunitari impegnati in agricoltura e accampati in condizioni inumane in una vecchia fabbrica in disuso e in un’altra struttura abbandonata. A fare scoppiare la protesta il ferimento da parte di persone non identificate di alcuni cittadini extracomunitari con un’arma ad aria compressa. I feriti, tra i quali c’è anche un rifugiato politico del Togo con regolare permesso di soggiorno, non destano particolari preoccupazione, ma la volontà di reagire che, probabilmente, covava da tempo fra i lavoratori ammassati nella struttura di Rosarno in condizioni ai limiti del sopportabile, e di altri nelle stesse condizioni a Gioia Tauro in locali dell’Ex Opera Sila, non ci ha messo molto ad esplodere. Armati di spranghe e bastoni, gli immigrati in larga parte provenienti dall’Africa hanno invaso la strada statale che attraversa Rosarno mettendo a ferro e fuoco alcune delle vie principali della cittadina. Tutto ciò che si è trovato alla portata dei manifestanti, dalle auto, in qualche caso anche con persone a bordo, alle abitazioni, a vasi e cassonetti dell’immondizia che sono stati svuotati sull’asfalto, nulla è stato risparmiato. Anulla è valso l’intervento di polizia e carabinieri schierati in assetto antisommossa davanti ai più agguerriti, un centinaio di persone tenute sotto stretto controllo. RINFORZI Nel corso della serata sono arrivati rinforzi e, in un clima di palpabile tensione, si è intavolata una trattativa nel tentativo di fare rientrare la protesta. Anche la popolazione ha reagito davanti alla situazione di caos venutasi a creare e, in queste ore, alcuni giovani di Rosarno, circa un centinaio, stanno seguendo l’evolversi della situazione ad alcune centinaia di metri dalle forze dell’ordine. Tra Rosarno, l’ex fabbrica in disuso, e Gioia Tauro in un immobile dell’ex Opera Sila sono circa 1.500 gli extracomunitari che lavorano come manodopera nell’agricoltura.
Felice Diotallevi, l’Unità 8/1;

Centinaia di auto distrutte, cassonetti divelti e svuotati sull’asfalto, ringhiere di abitazioni danneggiate. Scene di guerriglia urbana a Rosarno, nella Piana di Gioia Tauro, per la rivolta di alcune centinaia di lavoratori extraco­munitari impegnati in agricoltura e accampati in condizioni inumane in una vecchia fabbrica in disuso e in un’altra struttura abbandonata. A fare scoppiare la protesta il ferimento da parte di persone non identificate di alcuni cittadini extracomunitari con un’arma ad aria compressa. I feriti, tra i quali c’è anche un rifugiato politico del Togo con regolare per messo di soggiorno, non destano particolari preoccupazione, ma la volontà di reagire che, probabil­mente, covava da tempo nella colonia di lavoratori ammassati nella struttura di Rosarno in condizioni ai limiti del sopportabile, e di altri nel le stesse condizioni a Gioia Tauro in locali dell’Ex Opera Sila, non ci ha messo molto ad esplodere.
Armati di spranghe e bastoni, gli ex tracomunitari in larga parte prove nienti dall’Africa hanno invaso la strada statale che attraversa Rosarno mettendo a ferro e fuoco alcune delle vie principali della cittadina. Gli episodi di violenza non hanno risparmiato nulla: tutto ciò che si trovasse alla portata dei manifestanti, dalle auto, in qualche caso anche con delle persone a bordo, alle abitazioni, a vasi e cassonetti dell’immondizia che sono stati svuotati sull’asfalto.
Per iportare la normalità è dovuto intervenire un forte contingente di polizia e carabinieri schierati in assetto antisommossa davanti ai più agguerriti. Polizia e carabinieri hanno fatto una carica di alleggerimento verso gli immigrati. Alcune persone, cinque o sei, sono state fermate. Sul posto è arrivato il commissario prefettizio Francesco Bagnato che regge il Comune dopo lo scioglimento per infiltrazioni mafiose avvenuto alla fine del 2008. Sono stati gli immigrati a chiedere di parlare con Bagnato. Nel corso della serata sono arrivati ulteriori rinforzi e, in un clima di palpabile tensione, si è intavolata una trattativa nel ten tativo di fare rientrare la protesta e di ritrovare una calma seppure preca ia. Anche la popolazione ha reagi to davanti alla situazione di caos venutasi a creare e alcuni giovani di Rosarno, circa un centinaio, stanno seguendo l’evolversi della situazione ad alcune centinaia di metri dalle forze dell’ordine. A Rosarno sono arrivati tutti i dirigenti dei commissariati di Pubblica sicurezza e i dirigenti delle compagnie di carabinieri della Piana. Tra Rosarno, l’ex fabbrica in disuso, e Gioia Tauro in un immobile dell’ex Opera Sila sono circa 1.500 gli extracomunitari che lavorano come manodopera nell’agricoltura spesso sfruttati e sottopagati. «Mi preoccupa molto quello che sta avvenendo a Rosarno. il frutto di un clima di intolleranza xenofoba e mafiosa alimentata dalla criminalità » Questo il commento del presidente della Regione Calabria Agazio Loiero. la seconda volta che esplode la rabbia degli ’schiavi’ di Rosarno. Il 12 ottobre 2008 due di loro furono feriti a colpi di pistola in maniera grave da due persone che furono arrestate e risultarono legate alle cosche della zona. La rivolta portò alla chiusura della ex cartiera dove gli immigrati si rifugiavano.
Auto distrutte, cassonetti rovesciati e incendiati, sei persone fermate dalle forze dell’ordine.
Giulio Isola, Avvenire 8/1;

la Repubblica
 La rivolta degli ultimi, la rivolta dei neri che vagano per la nostra Italia. Quelli che si spostano sempre, che sono in movimento perenne. Stagione dopo stagione, mese dopo mese e campo dopo campo. Per raccogliere arance o uva, olive o pomodori. Vivono per la terra e vivono nella terra. Senza una casa, senza niente. A settembre erano in Sicilia, intorno alle vigne di Marsala. A novembre erano in Puglia fra gli ulivi più belli del Mediterraneo. A primavera migreranno in Campania a spezzarsi la schiena negli orti. Oggi erano qui: nella Piana dove è padrona la mafia più feroce del mondo.
Sono ghaneani, sudanesi, ivoriani, senegalesi. Vengono dal Togo, dalla Mauritania, dal Congo. Ma da anni sono tutti ”italiani´. Per sopravvivere. Per resistere. Per sfamarsi. Ogni giorno riescono a prendere quasi 20 euro, per dodici anche quattordici ore piegati in due a raccogliere le arance più profumate della Penisola e i mandarini - le clementine - più dolci.
Dicono che sono tremila, qualche volta diventano quattromila e forse anche di più. A Rosarno i calabresi sono appena in quindicimila. Quasi il novanta per cento del popolo nero che si trasporta come gli animali in branco non ha ancora trent´anni. Sono uomini, solo uomini.
Gli ultimi sono ultimi perché non hanno mai avuto un tetto tutto per loro. Dormono nelle fabbriche abbandonate della Calabria degli sperperi e delle ruberie di mafia e di Stato. Scheletri in mezzo al nulla. Si accampano fra i pilastri arrugginiti di cemento sulla costa, nelle masserie, in riva al mare. Rosarno è come Castelvolturno. Come Campobello di Mazara. Come tutta l´Italia che hanno sempre conosciuto. Il campo e il sonno.
 dal 1992 che vengono in questa Piana quando la zagara, il fiore dell´arancio, stordisce con il suo profumo. Non hanno mai freddo e non hanno mai caldo. Non hanno mai un contratto. I ”caporali´ li prendono all´alba sui furgoncini, come al mercato del bestiame scelgono i più forti. Ogni 20 euro guadagnati ce ne sono 5 per loro: per i soprastanti che li fanno lavorare. il pizzo che si fanno pagare i miserabili. E poi loro, per tre o quattro settimane racimolano il loro gruzzolo per non morire.
Non hanno documenti, non hanno passato. Solo la giornata conta: la giornata nel giardino di aranci.
Quelli del Magreb hanno trovato sette case pericolanti fuori dal paese, sulla strada per San Ferdinando. I sudanesi stanno da un´altra parte, sotto un grande tendone dove hanno sistemato i sedili squarciati di vecchie auto e i copertoni di un camion come comodini. E i senegalesi stanno ancora più in là, vicino all´inceneritore, in uno stabilimento che un tempo raffinava l´olio d´oliva. «Io dormo qui», raccontava un anno fa Stephan, un ragazzino di vent´anni. Qui è l´oblò di un silos dove una volta conservavano l´olio. Un cilindro metallico dove Stephan ha portato tutta la sua vita: la coperta, un paio di scarpe, un corano, un fornello dove ogni tre o quattro sere riesce a far cuocere qualche pezzo di agnello e un pomodoro. Stephan non ha acqua. Stephan non ha un bagno. Ce ne sono tanti come lui acquartierati anche verso Gioia Tauro e il suo porto, altri si sono dispersi verso Rizziconi.
Tutti hanno visto per la prima volta l´Italia dagli scogli di Lampedusa. Imbarcati come merce ad Al Zuwara, nella Libia più vicina alla Sicilia. E sbarcati come clandestini in Europa. Ci sono i neri più fortunati, quelli che hanno trovato un capannone come tetto per la notte. Ogni capannone ha una scritta di vernice che ricorda il luogo di partenza di ogni gruppo: Dakar, Rabat, Fes, Mombasa. Nei capannoni i letti sono di cartone. Anche Yasser ha il suo letto di cartone fradicio. L´aveva in Puglia due mesi fa, ce l´ha qui a Rosarno. «Ci dormo poco», racconta. All´alba è già fra gli aranceti. E solo al tramonto torna nel capannone dove c´è la scritta Casablanca. E dice: «Vivo nella paura, la paura di far sapere alla mia famiglia come vivo qui in Europa».
 da quasi vent´anni che il popolo degli ultimi vaga di terra in terra per l´Italia. Nel silenzio, nell´indifferenza. Nessuno lo dice mai chiaramente ma sono le ”ndrine, le famiglie della mafia calabrese, che più di tutte succhiano il sangue agli ultimi. Le ”ndrine che hanno le arance, che hanno tutto nella Piana. I mafiosi li aspettano al passo, dopo Natale. Quando è tempo di raccolta.
Attilio Bolzoni, la Repubblica 8/1;

Questa volta hanno reagito, devastando tutto quello che capitava loro a tiro. Hanno distrutto ogni cosa dopo aver subito l´ennesima provocazione. Gli extracomunitari della piana di Gioia Tauro si sono ribellati ed è stato il panico per un´intera serata. La rabbia è esplosa dopo che due di loro sono stati feriti da alcuni balordi che gli hanno sparato addosso con un fucile ad aria compressa. Senza un´apparente ragione, forse solo per divertimento. Circostanza che ha fatto montare la rabbia dei braccianti neri e che li ha portati a reagire in maniera violentissima. Rosarno, ieri sera, era una città presa d´assalto. Sei dei manifestanti sono stati fermati.
Centinaia di auto distrutte, cassonetti divelti e svuotati sull´asfalto, ringhiere di abitazioni strappate via. Scene di guerriglia urbana di cui si sono resi protagonisti alcune centinaia di lavoratori extracomunitari. Gente che a Gioia ci arriva in pieno inverno per lavorare nei campi dove si raccolgono gli agrumi. Stagionali che si fermano solo pochi mesi e che, anche per questo, trovano riparo ovunque: casolari di campagna, baracche e vecchie fabbriche abbandonate. Quelli che hanno devastato Rosarno vivono accampati in condizioni disumane in alcune strutture in disuso della periferia. Dove i caporali passano la mattina per portarli negli aranceti per lavorare a 20-25 euro al giorno, dall´alba al tramonto.
A fare scoppiare la protesta, dunque, il ferimento di un nigeriano irregolare e di un rifugiato politico del Togo con permesso di soggiorno. Le loro condizioni non destano particolare preoccupazione, ma la volontà di reagire, che probabilmente covava da tempo nella colonia di lavoratori, è comunque esplosa appena si è diffusa la notizia. Armati di spranghe e bastoni, gli extracomunitari, in larga parte provenienti dal centro e sud dell´Africa, hanno invaso la strada statale che attraversa Rosarno mettendo a ferro e fuoco alcune delle vie principali. Gli episodi di violenza non hanno risparmiato nulla. Ogni cosa è stata presa di mira, a partire dalle auto, in qualche caso anche con delle persone a bordo. A nulla è valso l´intervento di polizia e carabinieri schierati in assetto antisommossa davanti ai più agguerriti, un centinaio di persone tenute sotto stretto controllo. Nel corso della serata sono arrivati rinforzi e, in un clima di palpabile tensione, si è intavolata una trattativa nel tentativo di fare rientrare la protesta. Anche la popolazione ha reagito di fronte alla situazione di caos venutasi a creare e, in queste ore, alcuni giovani di Rosarno, circa un centinaio, stanno seguendo l´evolversi della situazione. Cosa preoccupante per le forze di polizia, che ora temono la reazione dei locali che, a loro volta, mal tollerano gli stranieri.
Un caso analogo si registrò nel 2008. Il 12 dicembre di quell´anno un bracciate fu ferito gravemente da alcuni colpi di pistola esplosi da un´auto in corsa. Anche in quell´occasione ci fu la protesta degli extracomunitari che, però, si limitò ad un blocco stradale e alla richiesta di giustizia. Cosa che avvenne, poche settimane dopo, con l´arresto del presunto autore dell´agguato. A tarda serata, anche il governatore Agazio Loiero si è detto preoccupato per quanto sta accadendo a Rosarno.
g. b., la Repubblica 8/1;

«Ridevano, tre ragazzi su una macchina scura. Ridevano e urlavano: "Oggi non si lavora?". Dalla statale la macchina ha cominciato ad accelerare e dai finestrini due si sono messi a sparare».
Kamal non smette di piangere mentre è spinto da un fiume di uomini che adesso urlano a squarciagola lungo la via Nazionale, che è la strada principale di Rosarno ma non riesce a contenere tutti.
«Siamo qui solo per lavorare», urla un giovane del Ghana con l´accento bergamasco. «Non siamo bestie», dice un marocchino che imbraccia un bastone. «Non siamo bestie», ripete e rompe i finestrini di tutte le auto che sono parcheggiate in strada.
Kamal ha ancora negli occhi quei ragazzi che sparavano dal finestrino: «Ero appena tornato dalla raccolta con i miei compagni - racconta - stavo per entrare nella fabbrica. E´ successo tutto così all´improvviso. Io sono riuscito a scappare, a buttarmi sotto una catasta di legna».
«Un mio compagno - continua - è stato colpito alla gamba. Un altro al petto. Io urlavo, chiedevo aiuto. Ma nessuno poteva sentirci. C´erano delle macchine che passavano poco distante: come facevano a non vedere? Come facevano a non fermarsi - si chiede Kamal - ma nessuno si è fermato, nessuno ha chiamato la polizia. E quei ragazzi ridevano».
Kamal ha 25 anni, è marocchino di Casablanca, è arrivato da appena un mese nell´inferno della fabbrica della Rognetta. «Ma io mi sento italiano - dice - anche se sono un clandestino. Adesso io sto cercando di fermare la rabbia dei miei compagni. Ma la rabbia è davvero tanta. Perché molti hanno il permesso di soggiorno, si sentono più italiani di me. E non sono più disposti a sopportare».
La voce di Kamal non è isolata. Qualche altro compagno tenta di mediare. Ma la ferita del dicembre 2008 è ancora viva. Anche quella volta qualcuno sparò dentro la fabbrica dormitorio, due giovani ivoriani rimasero feriti gravemente. Anche quella volta scoppiò la protesta dei disperati della Rognetta. «Niente di quello che è stato promesso è mai arrivato», dicono i più duri del movimento che ha invaso nel giro di un´ora il centro di Rosarno.
Il fiume della protesta avanza con decisione. « stata un´azione organizzata»: le notizie corrono da un capo all´altro del paese ormai occupato. «In contemporanea hanno sparato alla fabbrica della Rognetta e all´ex Opera Sila», spiega Kamal. Ogni notizia che arriva dal passaparola in tante lingue rinfocola ancora di più la rabbia.
Altre vetrine spaccate, altre macchine distrutte. Kamal ha adesso preso coraggio. Quando già a Rosarno è buio e le squadre antisommossa di polizia e carabinieri presidiano le vie di accesso al paese si forma un piccolo comitato per la mediazione. In dieci vanno incontro ai funzionari di polizia. Chiedono garanzie. Chiedono protezione contro le scorribande.
«Ma i miei compagni sono ancora arrabbiati - dice Kamal - hanno paura. E io stesso questa notte non tornerò alla fabbrica. Perché è successo l´anno scorso, è successo oggi. E può succedere ancora». Kamal sussurra che vorrebbe andare via. «Non vale la pena rischiare la vita a raccogliere mandarini, per venticinque euro al giorno». Si ferma un attimo a pensare, poi dice: «Lo so che adesso daranno tutta la colpa a noi. E quei ragazzi che si divertivano a utilizzarci come tiro al bersaglio chissà dove sono a spassarsela».
Rosarno è devastata. «Io sono dispiaciuto - dice ancora Kamal - perché qui, in fondo, la gente non è razzista. E tanti volontari ci aiutano. Ma adesso |saranno esasperati anche tut-|ti quelli che hanno subito dei danneggiamenti». Kamal di-|ce che andrà via da Rosarno: «Io ho paura. Quei ragazzi che sparavano dalla macchina e ride-|vano non riesco proprio a dimenticarli».
Salvo Palazzolo, la Repubblica 8/1;

Qui è un macello, un macello», dicono i poliziotti da Rosarno che va a fuoco mentre a Reggio Calabria, 70 chilometri più a Sud, va in scena la parata dello Stato che fa lo Stato con centoventi agenti e sei magistrati in più contro la ’ndrangheta. Una città italiana brucia, i calabresi sparano agli immigrati e ne feriscono alcuni, gli extracomunitari mettono a ferro e fuoco il paese, danno l’assalto alle auto con donne e bambini, feriscono gli italiani. E quando fa buio ancora proseguono saccheggi, devastazioni, incendi di auto, infissi sventrati, con nove italiani e sei stranieri feriti, la gente terrorizzata e in fuga che incita gli agenti contro gli stranieri: «Sparategli addosso!», le donne in lacrime, «una cosa mai vista anche se qui di rivolte di immigrate ne vediamo spesso».
Un anno dopo, ci risiamo, in questo paese dannato da una specie di guerra etnica carsica, con cinquemila immigrati di 23 diverse nazionalità su una popolazione di 16 mila abitanti, la terza zona d’Italia per densità di stranieri dopo Napoli e Foggia. Arrivano per lavorare la terra, per lo più raccogliere gli agrumi della piana di Gioia Tauro. Si stabiliscono in inverno, sono stagionali, poi si sposteranno a nord, direzione Puglia e Campania, per la raccolta dei pomodori.
Qui vivono in condizioni disumane, accampati nelle fabbriche dismesse o mai completate (qui non mancano entrambe), buttati per terra senza nemmeno un materasso, con un bagno chimico fatiscente per duecento persone, assistiti solo da Libera, Caritas, Medici senza frontiere. E devono sottostare al ricatto della ’ndrangheta, che in fondo c’entra sempre: li taglieggia come fa con i commercianti, li paga 20 euro per una giornata di lavoro e ne chiede indietro 5 come «tassa di soggiorno», altrimenti sono guai.
In questo contesto, con migliaia di immigrati irregolari ricattati e incapaci di darsi condizioni di vita accettabili («Abbiamo provato a spiegare che devono pulire il posto in cui vivono, non c’è stato niente da fare», racconta un volontario), è inevitabile che prima o poi la bomba scoppi. Ieri alcuni immigrati sono stati feriti a colpi di carabina ad aria compressa in due differenti «spedizioni», organizzate nei pressi di due capannoni in cui vivono gli immigrati. Probabilmente un atto punitivo, spiegano i testimoni, come reazione a un mancato pagamento, all’ennesimo sopruso o a un affronto non consentito. Un episodio analogo a quello di un mese e mezzo fa: cose che capitano «in un posto in cui abbiamo più pistole che persone», dice don Pino Masi, anima dell’associazione Libera.
Tra gli immigrati feriti, anche uno dei pochi regolari: arriva dal Togo, è un rifugiato politico. Un altro viene ricoverato nell’ospedale di Polistena (le condizioni non destano preoccupazioni), un terzo torna indietro nell’accampamento dove vive con altri settecento e convoca la rivolta. Nel dicembre del 2008, invece, gli extracomunitari avevano reagito all’aggressione a colpi di pistola da parte di un gruppo di ragazzi inscenando una manifestazione pacifica fino al Comune, che aveva raccolto la solidarietà dei rosarnesi. Questa volta no, «hanno fatto la rivoluzione» si sente dire in paese.
In centocinquanta si muovono e raggiungono la statale 18 che porta a Gioia Tauro. Primo blocco stradale. Poi alcuni marciano verso il centro cittadino e comincia il dramma: sassaiole, saccheggio di negozi, di abitazioni danneggiate, cassonetti ribaltati e fuoco a centinaia di auto, anche con persone a bordo. Distruggono tutto quello che trovano davanti, dai vasi di fiori alle vetrine dei negozi. Poi bloccano ancora la statale dall’altra parte, così creando due fronti di guerriglia. Le auto vengono fermate e assaltate senza alcuna remora, nemmeno quando al volante c’è una donna che sta tornando a casa con due figli. Lei viene colpita in testa, costretta a scendere e ad assistere all’incendio rituale della sua vettura. Finirà all’ospedale di Gioia Tauro, il referto parla di una ferita lacero contusa.
Armati di spranghe e bastoni, gli africani invadono le strade della città. Arrivano poliziotti e carabinieri, si schierano davanti ai più agguerriti, provano a tenerli sotto controllo come avevano fatto altre volte ma con scarsi risultati. Sono pochi, lanciano lacrimogeni. Chiedono rinforzi, ecco da Reggio Calabria gli agenti del reparto mobile in tenuta anti sommossa, nella tarda serata cercano di concordare una tregua, mentre la gente li invita a sparare sugli immigrati e un centinaio di rosarnesi si organizza in gruppo e segue l’evoluzione della trattativa a distanza, pronto a intervenire.
Improvvisamente dal fronte della rivolta parte una sassaiola: è il momento della tensione massima, le forze dell’ordine usano la forza. Una carica disperde gli immigrati nel centro cittadino, sei di loro vengono fermati e altrettanti contusi vengono portati al pronto soccorso, mentre restano le barricate e il fuoco sulla statale. Gli immigrati chiedono di parlare con il commissario prefettizio Francesco Bagnato, che regge il Comune dopo lo scioglimento per infiltrazioni mafiose di due anni fa.
Il governatore Agazio Loiero parla di «clima di intolleranza xenofoba e mafiosa, che non riguarda ovviamente la popolazione di Rosarno, giustamente allarmata per la situazione di tensione che si è determinata con la rivolta degli extracomunitari sfruttati, derisi, insultati e ora, due di loro, feriti con un’arma ad aria compressa». Dalla collina che domina questo inferno, le strette di mano, le foto di gruppo e i sorrisi delle autorità a Reggio Calabria sembrano lontanissime. Qui la notte deve ancora passare.
Giuseppe Salvaggiulo, La Stampa 8/1;

Sappiamo da tempo che l’immigrazione è il fenomeno che forse più inciderà sul futuro dell’Europa. Conteranno sia la quantità dei flussi migratori che la qualità delle risposte europee. In Italia sembriamo tuttora impreparati ad affrontare in modo razionale e convergente un fenomeno col quale conviviamo ormai da anni. Ci sono almeno tre temi su cui non c’è consenso nazionale e, per conseguenza, mancano codici di comportamento e pratiche comuni fra gli operatori delle principali istituzioni. Non c’è consenso, prima di tutto, su che cosa si debba intendere per «integrazione» degli immigrati. A parole, tutti la auspicano ma che cosa sia resta un mistero. Ad esempio, si può ridurla alla questione dei tempi per la concessione della cittadinanza? O ciò non significa partire dalla coda anziché dalla testa?
Poiché nulla meglio delle micro-situazioni getta luce sui macro-fenomeni, si guardi a che cosa davvero intendono per «integrazione» certi operatori istituzionali. Ciò che succede, ormai da diversi anni, in molte scuole, durante le feste natalizie (e le inevitabili polemiche si infrangono contro muri di gomma) è rivelatore. Ci sono educatori (è inappropriato definirli diseducatori?) che hanno scelto di abolire il presepe e gli altri simboli natalizi, lanciando così agli immigrati non cristiani (ma anche ai piccoli italiani) il seguente messaggio: noi siamo un popolo senza tradizioni o, se le abbiamo, esse contano così poco ai nostri occhi che non abbiamo difficoltà a metterle da parte per rispetto delle vostre tradizioni. Intendendo così il rispetto reciproco e la «politica dell’integrazione», quegli educatori contribuiscono a preparare il terreno per futuri, probabilmente feroci, scontri di civiltà. E lasciamo da parte ciò che possiamo solo immaginare: cosa essi raccontino, sulle suddette tradizioni, nelle aule, ai piccoli italiani e stranieri.
C’è poi, in secondo luogo, la questione dell’immigrazione islamica. Tipicamente (le critiche di Tito Boeri - 23 dicembre - e di altri, alle tesi di Giovanni Sartori - 20 dicembre - sulla difficoltà di integrare i musulmani, ne sono solo esempi), la posizione fino ad oggi dominante fra gli intellettuali liberal (e cioè politicamente corretti) è stata quella di negare l’esistenza del problema. Come se in tutti i Paesi europei, quale che sia la politica verso i musulmani, non si constati sempre la stessa situazione: ci sono, da un lato, i musulmani integrati, che vivono quietamente la loro fede, e non rappresentano per noi alcun pericolo (coloro che, a destra, ne negano l’esistenza facendo di tutta l’erba un fascio sono altrettanto dannosi dei suddetti liberal) ma ci sono anche, dall’altro, i tradizionalisti militanti, rumorosi e assai numerosi, più interessati ad occupare spazi territoriali per l’islam nella versione chiusa e oscurantista che a una qualsiasi forma di integrazione. E lascio qui deliberatamente da parte i jihadisti e i loro simpatizzanti. Salvo osservare che i confini che separano i tradizionalisti militanti contrari all’uso della violenza e i simpatizzanti del jihadismo sono fluidi, incerti e, probabilmente, attraversati spesso nei due sensi. Negare il problema è, francamente, da irresponsabili. Ultima, ma non per importanza, c’è la questione dell’immigrazione clandestina, che porta con sé anche i fenomeni legati allo sfruttamento da parte della criminalità organizzata (e il caso di Rosarno ne è un esempio). Non c’è nemmeno consenso nazionale sul fatto che i clandestini vadano respinti. Da un lato, ci sono settori (xenofobi in senso proprio) della società che non hanno interesse a tracciare una linea netta fra clandestini e regolari essendo essi contro tutti gli immigrati. Ma tracciare una linea netta non interessa, ovviamente, neanche ai fautori dell’accoglienza indiscriminata.
Non ci sono solo troppi prelati e parroci che parlano ambiguamente di accoglienza senza mettere mai paletti (accoglienza verso chi? alcuni? tutti? Con quali criteri? Con quali risorse?). Ci sono anche operatori istituzionali che ci mettono del loro. Un certo numero di magistrati, ad esempio, ha deciso che il reato di clandestinità è in odore di incostituzionalità. Immaginiamo che la Corte costituzionale si pronunci domani con una sentenza favorevole alla tesi di quei magistrati. Bisognerebbe allora mandare a memoria la data di quella sentenza perché sarebbe una data storica, altrettanto importante di quelle dell’unificazione d’Italia e della Liberazione. Con una simile sentenza, la Corte stabilirebbe solennemente che ciò che abbiamo sempre creduto uno Stato non è tale, che la Repubblica italiana è una entità «non statale». Che cosa è infatti il reato di clandestinità? Nient’altro che la rivendicazione da parte di uno Stato del suo diritto sovrano al pieno controllo del territorio e dei suoi confini, della sua prerogativa a decidere chi può starci legalmente sopra e chi no. Se risultasse che una legge, regolarmente votata dal Parlamento, che stabilisce il reato di clandestinità, è incostituzionale, ne conseguirebbe che la Costituzione repubblicana nega allo Stato italiano il tratto fondante della statualità: la prerogativa del controllo territoriale. Né si può controbattere citando il trattato di Schengen, che consente ai cittadini d’Europa di circolare liberamente nei Paesi europei aderenti. Schengen, infatti, è frutto di un accordo volontario fra governi e, proprio per questo, non intacca il principio della sovranità territoriale.
La questione dell’immigrazione ricorda quella del debito pubblico. Il debito venne accumulato durante la Prima Repubblica da una classe politica che sapeva benissimo di scaricare un peso immenso sulle spalle delle generazioni successive. In materia di immigrazione accade la stessa cosa: esiste un folto assortimento di politici superficiali, di xenofobi, di educatori scolastici, di intellettuali liberal, di preti (troppo) accoglienti, di magistrati democratici, e di altri, intento a fabbricare guai. Fatta salva la buona fede di alcuni, molti, probabilmente, pensano che se quei guai, come nel caso del debito, si manifestassero in tutta la loro gravità solo dopo un certo lasso di tempo, non avrebbe più senso prendersela con i responsabili.
Angelo Panebianco, Corriere della Sera 8/1;

ROSARNO (Reggio Calabria)’ La rivolta dell’insofferenza. Stanco dei continui soprusi e delle misere paghe, di vessazioni e insulti di ogni tipo, di agguati a colpi di fucile, il popolo degli immigrati di Rosarno si è ribellato. E proprio dopo l’ennesima sparatoria, avvenuta ieri pomeriggio, nei pressi di due distinte strutture che ospitano gli extracomunitari, che si è scatenata la guerriglia. Durata per tutta la notte. Due immigrati sono stati feriti da sconosciuti con pallini da caccia. Entrambi sono stati ricoverati, ma le loro condizioni non destano preoccupazione. La notizia ha scatenato l’ira di circa 120 connazionali. Rosarno è una colonia di immigrati, ne ospita circa 1.500, tutti impiegati nella raccolta degli agrumi e degli ortaggi. Divisi in tre gruppi, ieri sera, hanno prima bloccato la statale 18, quella che collega Rosarno a Gioia Tauro, costringendo gli automobilisti a fermarsi. Armati di spranghe, bastoni e pietre, hanno iniziato un tiro a bersaglio contro le auto. Le schegge dei vetri hanno ferito all’orecchio destro un bambino, che si trovava in auto con i genitori. Il bimbo è stato medicato e subito dimesso. Venti le auto danneggiate. Gli immigrati hanno anche cercato di aggredire gli stessi automobilisti, molti dei quali si sono dati alla fuga abbandonando l’auto.
La protesta poi si è trasferita al centro di Rosarno. Qui gli extracomunitari hanno iniziato a svuotare i cassonetti dell’immondizia e poi gli hanno dato fuoco. Moltissime le auto danneggiate e capovolte. Gli immigrati, quasi tutti di nazionalità africana, hanno poi preso di mira le vetrine dei negozi del centro e le hanno distrutte a colpi di bastone e spranghe. Sono stati attimi di terrore. Qualcuno è riuscito a salire anche sui balconi delle abitazioni tirando giù piante e oggetti di varia natura. La gente si è chiusa in casa. Le persone che si trovavano in giro in quel momento hanno trovato riparo nei bar o nei negozi e si sono sbarrati dentro.
Il primo intervento di polizia e carabinieri, non è servito a tranquillizzare i dimostranti. Anzi l’arrivo delle forze dell’ordine ha reso ancor più incandescente il clima. Rosarno per qualche ora è diventata una piccola Beirut. La violenza degli immigrati avrebbe potuto avere conseguenze ancor più tragiche. Alcuni cittadini, infatti, hanno cercato di reagire, anche con le maniere forti, ma sono stati costretti alla ritirata. Il questore di Reggio Calabria ha inviato decine di squadre del reparto anticrimine per fronteggiare la rivolta. Sono stati lanciati anche i lacrimogeni per cercare di disperdere i dimostranti, sei dei quali sono rimasti contusi. Due anni fa, il ferimento di due africani aveva fatto esplodere la protesta degli immigrati. Quella volta, però, i migranti, che vivono in un’ex cartiera, in condizioni disumane, erano scesi per le strade pacificamente. Il corteo, allora, dopo aver attraversato Rosarno, si era fermato sotto il palazzo del Comune e aveva chiesto al commissario prefettizio la garanzia per un trattamento più umano e dignitoso. Da parte del popolo bianco.
Carlo Macrì, Corriere della Sera 8/1;

Arrivano a ottobre o a novembre, quando i mandarini sono quasi pronti, e se ne vanno amarzo, terminata la raccolta delle arance. Negli ultimi anni si presentano in 1.500, anche 2.000 persone: tutti uomini, quasi tutti africani, quasi tutti senza documenti, vivono accampati in condizioni disastrose e lavorano in nero.
A Rosarno, nella Piana di Gioia Tauro, questa è la norma: va avanti così dai primi anni Novanta, anche se allora i numeri erano diversi. Il mondo, però, di tutto questo si è accorto solo il 12 dicembre del 2008. Quel giorno in paese due braccianti irregolari vengono feriti. Ahamed Hagi, 21 anni, cittadino della Costa D’Avorio, rimane a terra con un paio di pallottole nell’addome e in ospedale lo salvano asportandogli la milza. Allora cinquecento fantasmi escono dalle catapecchie dove abitano durante la stagione degli agrumi e manifestano per le strade. Un semplice corteo di protesta, nulla al confronto di quello che è successo ieri. Ma abbastanza perché nel piccolo centro calabrese si precipitino gli inviati di Canale 5, seguiti da vari giornalisti europei. Siamo ai primi mesi del 2009. Il quotidiano britannico Guardian, dedicando al caso una doppia pagina, titola «Raccolto amaro». I media raccontano di una «città di cartone» costruita dentro una vecchia cartiera, e delle storie dei braccianti a giornata che ci vivono: la sveglia all’alba e l’attesa per strada, lungo via Nazionale, che passi il furgoncino di chi offre lavoro in nero per 25 euro. « l’inferno sulla terra» dice il cronista della Bbc documentando l’assenza di acqua, elettricità, riscaldamento. I team di Medici senza frontiere, che qui lavorano da tempo, denunciano le terribili condizioni igienico-sanitarie nelle stamberghe degli immigrati. Poi i giornalisti vanno via.
Un anno dopo gli agrumi sono di nuovo maturi e a Rosarno la scena è più o meno quella di sempre. Nella cartiera non c’è più nessuno perché l’estate scorsa un incendio l’ha quasi distrutta. I braccianti irregolari vivono alla Rognetta, una ex fabbrica dentro il paese, e hanno occupato l’area che anni fa ospitava l’Opera Sila, a Gioia Tauro. Le condizioni igieniche sono le stesse di prima: pessime. Intorno ai braccianti, però, qualcosa si è mosso. L’anno scorso è uscito «Gli africani salveranno Rosarno», un libro curato da Antonello Mangano; ricostruisce quello che succede in questo pezzo d’Italia, in una cittadina che ha un enorme bisogno di mano d’opera, dà lavoro a centinaia di irregolari, ma si ritrova a convivere con situazioni di disagio insostenibili per tutti, rosarnesi e africani.
Il paese ormai è diviso, e non a metà. La stragrande maggioranza dei cittadini vede gli immigrati come una minaccia e li accusa di portare via posti di lavoro. Ma i padroni degli agrumeti, figli e nipoti di quei rosarnesi che a suo tempo si batterono per le occupazioni delle terre dopo il fascismo, continuano ad assoldarli. Fra liti e proteste, qualcuno cerca anche di assistere i braccianti. Nel 2009 la Regione Calabria ha stabilito che questa era un’emergenza di Protezione civile e ha stanziato 50 mila euro. Una goccia nel mare. Ma molto più di così le istituzioni non possono fare, visto che si tratta di clandestini. A qualcosa pensano i volontari di «Osservatorio migranti Africalabria», che raccolgono e distribuiscono aiuti e hanno dato vita a un gruppo su Facebook che riprende il nome del libro (Gli africani salveranno Rosarno). L’ultimo messaggio inviato porta la data del 6 gennaio e s’intitola « Coppa d’Africa 2010». Dice: «I ragazzi vanno letteralmente matti per il calcio e tra qualche giorno inizia la Coppa d’Africa. Vedere la partite sarebbe per loro una gioia immensa e allora abbiamo pensato a un bel regalo: dare loro la possibilità di guardare le partite in tv! Grazie ad alcuni benefattori abbiamo una somma di circa 600 euro, qualche centro assistenza ci ha promesso dei televisori e un negozio ci ha offerto i generatori a prezzo di costo circa 120 euro per un generatore da 1,5 kw. Il generatore permetterebbe loro di accendere anche qualche lampadina e caricare le batterie dei cellulari (cosa che oggi fanno grazie alla gentilezza di molti negozianti di Rosarno)». Sempre su Facebook, però, ben prima che la situazione in paese esplodesse, ha visto la luce anche il gruppo «Gli africani hanno rotto il c... a Rosarno». Insomma, la situazione è pesantissima da molto prima dei disordini di ieri. E il fatto che il Comune di Rosarno sia commissariato non aiuta.
Il 15 dicembre 2008, a tre giorni da quella prima sparatoria contro i braccianti, il Capo dello Stato firma il decreto che dispone lo scioglimento del Consiglio comunale e della giunta per infiltrazioni mafiose. Proprio Rosarno, che anni fa (quando il sindaco era Peppino Lavorato) è stato il primo Comune calabrese a costituirsi parte civile in un processo contro le ”ndrine che si spartivano il controllo della Piana, del lavoro agricolo e dei traffici nel porto di Gioia Tauro. La sentenza fa notizia: le cosche Piromalli e Bellocco sono condannate a risarcire con 9 milioni di euro l’amministrazione rosarnese per i danni all’immagine, morali ed economici. «Una sentenza simbolo» esulta Francesco Forgione, presidente della Commissione Antimafia. il 2007 e sembra passato un secolo.
Rosarno oggi è in fiamme, governata da un prefetto e famosa solo per i guai legati ai clandestini. Storie di disperazione, degrado, fame e adesso anche rivolte. E pure storie come quella di Norina Ventre, 85 anni, vedova: lei quasi ogni domenica si mette ai fornelli, prepara teglie di pasta, riso, focacce, e le porta ai braccianti. La chiamano Mamma Africa.
Mario Porqueddu, Corriere della Sera 8/1;

’Siete tutti razzisti”. Urlavano, marciavano, sfasciavano. In mano avevano spranghe e bastoni. Da oggi potrebbe arrivare la risposta, la caccia all’uomo, la vendetta contro lo straniero. La scintilla era scoppiata in mattinata, quando due immigrati erano stati colpiti dai proiettili di gomma d’una pistola giocattolo. I due finiscono in ospedale, senza gravi conseguenze. Ma è l’ennesima umiliazione. Uno dei due immigrati è arrivato in Italia, dal Togo, come rifugiato politico. La rabbia monta. Passa di voce in voce, e poi di braccia in braccia, finché si trasforma in rivolta: nel tardo un pomeriggio sono più d’un centinaio, gli immigrati che s’incamminano per la strada statale e si dirigono nel centro di Rosarno, una cittadina a pochi chilometri da Gioia Tauro, cominciando a devastare qualsiasi cosa fosse a portata di mano. ”Sparategli addosso”, era la risposta dei passanti terrorizzati, che invocavano l’intervento della polizia. Ma la rabbia era già violenza: centinaia d’auto rovesciate, muretti a secco divelti, ringhiere distrutte. Genitori spaventati, che restavano chiusi negli abitacoli, insieme con i figli, mentre le auto venivano strattonate. ”Sie - te tutti razzisti”, continuavano a urlare gli immigrati, che qui vivono in miseria e prostrazione. Nella zona intorno a Gioia Tauro sono circa 1500. La maggior parte dorme in capannoni abbandonati. Lavorano nelle campagne per una paga che va dai 20 ai 30 euro al giorno. Un centinaio di loro, ieri, ha varcato la soglia della sopportazione e s’è lasciata andare alla violenza. La Polizia è intervenuta, prima isolando i manifestanti, dopo una lunga battaglia a colpi di lacrimogeni, e poi avviando una ”t ra t t a t i va ”, per sedare gli animi. Ma c’è ben poco da sedare. sufficiente dare un’occhiata al bilancio della rivolta che, mentre scriviamo, è quello di una violenta guerriglia urbana: oltre cento automobili danneggiate. Ciò che pesa di più, però, è la rabbia: da ieri, la spaccatura tra immigrati e cittadini, è un dato di fatto. La rabbia reciproca era visibile già nei momenti della ”t ra t t a t i va ”, quando, un gruppo di ragazzi, s’è schierato ai margini delle pattuglie di carabinieri e poliziotti. Sono stati momenti di grande tensione. Una tensione talmente elevata da provocare ordini tassativi: tutti i dirigenti dei commissariati della Piana di Gioia Tauro, e tutti i loro colleghi dei Carabinieri, sono confluiti a Rosarno. La serata, però, è ancora piena di tensione. La guerriglia nasce da lontano, non soltanto da quei due proiettili di gomma, ma anche da quelli veri, sparati da una calibro 7.65 un anno fa. Era il dicembre 2008, quando due immigrati restarono feriti in un agguato. Poco dopo, i pistoleri, furono arrestati. Ma la tensione iniziò a crescere. Ed è cresciuta anche per le condizioni di lavoro, molto precarie, e non soltanto per via della paga o della mancanza di diritti e contratti. Per pochi euro lavorano in campagna, per pochi euro vivono in condizioni disumane, nei capannoni abbandonati di vecchie fabbriche in disuso, in assenza di igiene adeguata, e spesso senza un permesso di soggiorno, quindi in assoluta clandestinità e assenza di diritti. I due proiettili di gomma sparati ieri mattina, evidentemente, hanno fatto traboccare il vaso della sopportazione. E un sussulto di dignità s’è trasformato in una rivolta che, ancora in serata, non era stata del tutto sedata. Il timore più forte, adesso, è che gli animi si raffreddino soltanto in apparenza. Ora cova la rabbia della gente. E il desiderio di vendetta. La rivolta degli immigrati di Rosarno, insomma, potrebbe essere soltanto l’epilogo d’una lunga catena di violenze. Antonio Massari, il Fatto Quotidiano 8/1/2010;

La rivolta degli immigrati è scoppiata nel pomeriggio. Verso le sei almeno in 400 sono usciti dal vecchio casale abbandonato vicino all’inceneritore in cui vivono da mesi e hanno bloccato con i cassonetti dell’immondizia la statale 18 che collega Gioia Tauro con Rosarno, lungo la Piana di Gioia Tauro. Quasi contemporaneamente la stessa scena si ripeteva qualche chilometri più avanti, di fronte all’ex fabbrica Rognetta trasformata anch’essa in dormitorio dagli immigrati impegnati in questo periodo nella raccolta delle arance. Da quel momento la rabbia degli extracomunitari per almeno tre ore non ha avuto argine. In corteo sono entrati a Rosarno distruggendo tutto ciò che si trovavano davanti. Il bilancio finale è pesante: centinaia di auto danneggiate, portoni, vasi, panchine e ringhiere delle abitazioni distrutte. Nove le persone ferite, cinque ricoverate all’ospedale di Gioia Tauro e quattro in quello di Polistena. Molte auto con persone a bordo sono state prese a sassate dai manifestanti. Polizia e carabinieri hanno risposto sparando candelotti lacrimogeni. La guerriglia è stata scatenata dall’aggressione subita nel corso della giornata da tre immigrati, presi di mira e feriti da sconosciuti che hanno sparato contro di loro con una pistola ad aria compresa. Il primo a essere colpito, ieri mattina, è stato un giovane marocchino. Poi, nel pomeriggio è stata la volta di un ivoriano e un rifugiato politico del Togo con regolare permesso di soggiorno. Atti di violenza che hanno colto di sorpresa tutti, nonostante in passato non siano mancate a Rosarno altre aggressioni nei confronti degli immigrati, la maggior parte dei quali provenienti dall’Africa. Ieri sera, dopo ore di guerriglia, gli immigrati sono stati circondati da carabinieri e polizia giunti a Rosarno da tutta la Piana, a poche centinaia di metri dell’ex Rognetta. La situazione è parzialmente tornata alla calma e le forze dell’ordine hanno avviato una trattativa nella speranza di far rientrare la protesta. Sono circa 1.500 i lavoratori extracomunitari impegnati nella raccolta stagionale nella Piana di Gioia Tauro. Tutti vivono in condizioni disumane in vecchie strutture industriali abbandonate o in casali semidiroccati. Un centinaio di loro ha trovato riparo nell’ex Opera Sila, a Gioia Tauro, dove vivono come possono senza acqua, luce e gas, ma anche senza coperte, avendo come unico aiuto i pasti offerti tutti i giorni dalla Caritas. Per tutti loro il lavoro nelle campagne, spesso in condizioni di vero sfruttamento, rappresenta l’unica possibilità di sopravvivenza. Una realtà difficile, resa ancora più pesante dallo sgombero avvenuto l’anno scorso dell’ex cartiera di Rosarno e a cui si sommano le continue intimidazioni che gli immigrati devono subire da parte della criminalità organizzata. L’aggressione di ieri ha fatto scattare la scintilla di una rabbia evidentemente covata da molto tempo. Non appena la notizia dei tre giovani feriti si è sparsa, a centinaia hanno invaso le strade armati di bastoni e spranghe di ferro. E così mentre il ministro degli interni Roberto Maroni si trovava a Reggio Calabria per il vertice sulla sicurezza dopo l’attentato della ”ndragheta alla Procura generale della città, a Rosarno scoppiava la rivolta. Blocchi stradali, lanci di pietre, devastazioni. In paese sono confluiti polizia e carabinieri in tenuta antisommossa da tutti i commissariati e le compagnie della Piana di Gioia Tauro. Nel tentativo di fermare gli immigrati la polizia ha anche sparato alcuni candelotti lacrimogeni. A rendere ancora più difficile la situazione è stata inoltre la presenza di un centinaio di giovani di Rosarno che ha cercato di reagire agli immigrati e sono stati tenuti sotto controllo dalla polizia. A tarda serata, con gli immigrati ormai circondati, è cominciata una trattativa tra immigrati e forze dell’ordine nella speranza di riportare la calma nel paese. Leo Lancari, il manifesto 8/1;

Centinaia di auto distrutte, cassonetti divelti e svuotati sull’asfalto, ringhiere di abitazioni danneggiate. Scene di guerriglia urbana a Rosarno, nella Piana di Gioia Tauro, per la rivolta di alcune centinaia di lavoratori extracomunitari impegnati in agricoltura e accampati in condizioni inumane in una vecchia fabbrica in disuso e in un’altra struttura abbandonata.
Polizia e carabinieri sono intervenuti e sei persone sono state fermate, mentre altrettanti immigrati risultavano contuse. L’auto di una donna che viaggiava con i suoi due figli è stata bloccata dai manifestanti: la donna è stata colpita alla testa e ha riportato una ferita, la sua vettura è stata incendiata.
Ad accendere la protesta il ferimento da parte di persone (non identificate) di alcuni cittadini extracomunitari – tra i quali c’è anche un rifugiato politico del Togo con regolare permesso di soggiorno – con un’arma ad aria compressa. Un gesto che ha fatto esplodere la reazione nella colonia di lavoratori, molti dei quali vivono ammassati in condizioni precarie nella struttura di Rosarno e a Gioia Tauro nei locali dell’Ex Opera Sila. Sono circa 1.500 gli extracomunitari che lavorano come manodopera nell’agricoltura. Armati di spranghe e bastoni, gli extracomunitari in larga parte provenienti dall’Africa, hanno invaso la strada statale 18 che attraversa Rosarno mettendo a ferro e fuoco alcune delle vie principali della cittadina e hanno accesi focolai. Gli episodi di violenza non hanno risparmiato nulla: tutto ciò che si trovasse alla portata dei manifestanti, dalle auto, in qualche caso anche con delle persone a bordo, alle abitazioni, a vasi e cassonetti dell’immondizia che sono stati svuotati sull’asfalto.
Davanti ai più agguerriti – un centinaio – le forze dell’ordine si sono schierate in assetto antisommossa.
Nel corso della serata sono arrivati poi rinforzi e, in un clima di crescente tensione, si è intavolata una trattativa nel tentativo di fare rientrare la protesta. Mentre si stava tentando di chiarire la situazionee si cercava un accordo, dal gruppo di immigrati è partita una sassaiola verso le forze dell’ordine. Nel parapiglia che ne è seguito, sei immigrati sono rimasti contusi e sono stati portati nell’ospedale di Polistena.Davanti al caos anche la popolazione ha reagito: alcuni giovani di Rosarno hanno seguito l’evolversi della situazione ad alcune centinaia di metri dalle forze dell’ordine.
Il Sole-24 Ore 8/1;

ROSARNO (Reggio Calabria) - Centinaia di auto distrutte, cassonetti rovesciati sull’asfalto, ringhiere di abitazioni danneggiate. Scene di guerriglia urbana a Rosarno, nella Piana di Gioia Tauro, per la rivolta di alcune centinaia di lavoratori extracomunitari impegnati in agricoltura e accampati in condizioni inumane in una vecchia fabbrica in disuso e in un’altra struttura abbandonata.
A fare scoppiare la protesta il ferimento di due cittadini extracomunitari con un’arma ad aria compressa. Nel primo pomeriggio un trentasettenne togolese, A.S., è stato ferito mentre si trovava sulla statale 18, nei pressi dello Spartimento di Gioia Tauro, dove sorge l’ex Opera Sila, un immobile regionale abbandonato e degradato nel quale trovano riparo circa 500 africani impiegati come stagionali in agricoltura. Il togolese, un rifugiato politico con regolare permesso di soggiorno, è stato ferito all’inguine, le sue condizioni non destano particolari preoccupazione, ma la rabbia che, probabilmente, covava da tempo nella colonia di lavoratori ammassati nella struttura di Rosarno in condizioni ai limiti del sopportabile, e di altri nelle stesse condizioni a Gioia Tauro in locali dell’Ex Opera Sila, non ci ha messo molto ad esplodere.
Armati di spranghe e bastoni, gli extracomunitari, in larga parte provenienti dall’Africa, hanno invaso la strada statale che attraversa Rosarno mettendo a ferro e fuoco alcune delle vie principali della cittadina. Gli episodi di violenza non hanno risparmiato nulla: tutto ciò che si trovava alla portata dei manifestanti, dalle auto, in qualche caso anche con delle persone a bordo, alle abitazioni, a vasi e cassonetti dell’immondizia che sono stati svuotati sull’asfalto.
A nulla è valso l’intervento di polizia e carabinieri schierati in assetto antisommossa davanti ai più agguerriti, un centinaio di persone tenute sotto stretto controllo. Più tardi sono arrivati rinforzi e, in un clima di palpabile tensione, si è intavolata una trattativa nel tentativo di fare rientrare la protesta. Anche la popolazione ha reagito davanti alla situazione di caos venutasi a creare. Tra Rosarno, l’ex fabbrica in disuso, e Gioia Tauro in un immobile dell’ex Opera Sila sono circa 1.500 gli extracomunitari che lavorano come manodopera nell’agricoltura. Dieci feriti sono finiti all’ospedale di Gioia Tauro, una donna in auto con i due figli è stata bloccata e colpita alla testa e la sua macchina data alle fiamme, sono rimasti contusi anche due operatori portuali.
«Mi preoccupa molto quello che sta avvenendo a Rosarno. il frutto di un clima di intolleranza xenofoba e mafiosa che non riguarda ovviamente la popolazione di Rosarno, giustamente allarmata per la situazione di tensione che si è determinata con la rivolta degli extracomunitari sfruttati, derisi, insultati e ora, due di loro, feriti con un’arma ad aria compressa». Lo ha detto il presidente della Regione Calabria Agazio Loiero, informato a Roma dei fatti di Gioia Tauro e Rosarno. «Auspico - ha detto ancora Loiero - che dal ministero dell’Interno arrivi una forte iniziativa che tutelando i cittadini di Rosarno, perché sono intollerabili gli atti di vandalismo, tuteli anche quei tanti disperati contro cui per la seconda volta si è indirizzata la violenza criminale. Il fuoco della rivolta, sebbene va condannata ogni forma di violenza, nasce da queste premesse. Per questo mi auguro, intanto, che la rivolta rientri al più presto. E subito dopo, al di là delle singole responsabilità, che qualcuno finalmente si occupi di questa massa di lavoratori costretti a vivere in condizioni disumane».
Domenico Mammola, Il Messaggero 8/1;

ROMA - Alla fine la fabbrica delle braccia è esplosa. Letteralmente. E adesso sarà difficile capire se a far salire la rabbia oltre la soglia della ragione siano stati solo l’orgoglio e la ribellione allo schiavismo di chi gestisce quei lavoratori invisibili, oppure c’entri qualcosa anche la violazione di accordi taciti e illegali, come lo spaccio di droga o la prostituzione. Perchè c’è tutto questo sulla direttrice Palmi-Gioia Tauro-Rosarno: colonie di schiavi trattai in modo inaccettabile ma anche una spirale di violenza da reprimere e debellare. Eserciti di africani arrivati dal mare molti mesi fa, mezzi morti dal caldo e dalla mancanza di aria, stipati dentro container sui ponti dei cargo arrugginiti che le cosche utilizzano per trasportare di tutto. Su rotte che gli investigatori conoscono già: dalle coste marocchine che affacciano sull’oceano, dove caricano la cocaina in arrivo dal Sudamerica e decine di immigrati in fuga dal Maghreb, fino a Gioia Tauro, dove lasciano droga e disperati e caricano negli stessi container Ferrari, Bentley e Maserati rubate in Italia e ”girate” negli Emirati arabi, con libretti contraffati e targhe ”nuove”.
Sono arrivati così moltissimi dei disperati che ieri hanno cercato di mettere a ferro e fuoco Rosarno, il santuario del Clan dei Pesce, che poi sono tra i principali sospettati anche per quella bomba non esplosa alla Procura generale di Reggio Calabria che ha allarmato a tal punto il governo da spingere i ministri Maroni ed Alfano ad annunciare rinforzi e misure più severe. I disperati arrivavano e ripartivano, almeno fino a sei, sette anni fa. Poi gli investigatori, l’intelligence e le procure hanno rilevato un fenomeno che, forse, è stato sottovalutato: i clandestini arrivavano e si fermavano. Ingrossando colonie e alimentando quel mercato delle braccia che lavoravano i campi in giro per il meridione, a seconda delle esigenze, a seconda delle stagioni: a Rosarno per raccogliere le arance ma anche nel foggiano per i pomodori; ad Alcamo per le olive e a Caserta per la frutta esotica e poi Cassibile, per le patate e il trapanese per la vendemmia. Rigorosamente in zone controllate dalle cosche mafiose, indifferentemente siciliane o calabresi. Che della dignità di un nero hanno una considerazione pari allo zero: «I padrini di ”ndrangheta impongono o vietano i matrimoni alle loro figlie a seconda delle convenienze criminali - dice un alto magistrato antimafia - infischiandosene dei sentimenti e persino dei bambini nati dalle relazioni non gradite. Figuriamoci quanto possono tenere in considerazione la vita di un immigrato».
Non solo. Molto spesso in quelle colonie di braccia senza nome emergono giovanotti intraprendenti. Che si danno da fare con il fumo da vendere ai ragazzini in cerca di sballo; oppure cominciano a spacciare per conto dei piccoli boss e poi cercano di mettersi in proprio. E inevitabilmente gli sgarri si lavano con il sangue, come accadde nel Napoletano, un anno e mezzo fa, quando alcuni giovani campani presero d’assalto con i mitragliatori un bar frequentato solo da extracomunitari.
Così, archivi criminali alla mano, gli investigatori temono adesso la reazione delle ”Ndrine. Perchè uno sgarro del genere a Rosarno, il santuario dei Pesce, il paese dove nessun forestiero può entrare senza che i padrini non ne siano informati, non se l’era permesso mai nessuno. E se c’è una legge del codice mafioso che nessun boss può permettersi di ignorare è quella che impone una risposta immediata a qualsiasi affronto si riceva. Di intensità almeno doppia rispetto all’offesa incassata.
Massimo Martinelli, Stefano Sofi il Messaggero 8/1;

ROMA - Poco più di un anno fa, era la metà di settembre del 2008 - una analoga esplosione di rabbia covata per mesi e mesi esplodeva tra le centinaia di immigrati nelle campagne di Castel Volturno dopo che alcuni sicari a bordo di almeno un’auto e una moto uccisero sei lavoratori stagionali. La rabbia esplose di lì a poco: alcuni immigrati, bastoni in mano, frantumarono le vetrine di alcuni negozi e rivoltato auto in mezzo alla strada, distruggendo i vetri di altre vetture ferme. Il tutto davanti al luogo dove erano stati uccisi i loro connazionali. «Vogliamo giustizia - urlavano - non è vero che i nostri amici ammazzati spacciavano droga o erano camorristi. Sono state dette tutte cose false». Gli extracomunitari, soprattutto africani, puntano il dito contro chi li accusa di spacciare droga. «Noi siamo persone perbene, non è giusto che ogni volta che si parla di droga - dicono - siamo noi i colpevoli e questo solo perché è nero il colore della nostra pelle. Questo è razzismo». Ben presto la situazione degenerò. E lo scontro con le forze di polizia divenne vera e propria guerriglia anche nei giorni successivi gettando un fascio di luce inquietante su una situazione di degrado umano e ambientale.
Sindaco di Castel Volturno era Francesco Nuzzo, magistrato che tentò di riprendere il controllo della situazione avviando un dialogo, un confronto con i rappresentanti degli africani. Pochi giorni fa, quel sindaco dopo averlo più volte minacciato si è infine dimesso. «Sono stato lasciato solo» aveva lamentato. Le dimissioni irrevocabili sono state decise dopo che il ministro dell’Interno, Maroni, ne aveva deciso la sospensione insieme ad altri tre sindaci del casertano, per inadempienza nella gestione dell’emergenza rifiuti.
A Rosarno sembra riproporsi più o meno la stessa situazione. Un degrado che dura da anni e che solo il volontariato, cattolico e laico, affronta quotidianamente, che fa comodo alle cosche della ”ndrangheta.
Il Messaggero 8/1;