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 2010  gennaio 07 Giovedì calendario

Lo stile Obama e la sindrome del «riesame» Così il presidente decide (di pensarci bene) WASHINGTON’ «Una cazzata, che poteva essere disastrosa», ha detto Barack Obama a ministri e capi dell’intelligence nel bunker sotterraneo della Situation Room

Lo stile Obama e la sindrome del «riesame» Così il presidente decide (di pensarci bene) WASHINGTON’ «Una cazzata, che poteva essere disastrosa», ha detto Barack Obama a ministri e capi dell’intelligence nel bunker sotterraneo della Situation Room. E’ stato il massimo di furore che il presidente sia riuscito a esprimere, di fronte al fallimento dei suoi servizi, incapaci di collegare informazioni già in loro possesso e bloccare anzitempo Umar Faruk Abdulmutallab, il mancato stragista di Natale. Prima ancora che qualcuno dei presenti si facesse tentare dal classico scaricabarile, Obama ha messo tutto in chiaro: «Abbiamo evitato la pallottola per un pelo. Non tollererò che vi rovesciate le colpe addosso». Identico copione, con qualche licenza verbale di meno, poche ore dopo parlando agli americani: schietta ammissione di responsabilità, sguardo cupo, approccio severo ma ragionato, con l’annuncio di misure mirate e non emotive. Messo davanti alla più grande emergenza terrorismo da quando è alla Casa Bianca, Barack Obama non smentisce la sua cifra e la differenza rispetto al predecessore. Tanto George W. Bush era Mr. Hot, quanto lui rimane Mr.Cool. Uno sentiva le cose in pancia, l’altro ci pensa nella testa. Dove il primo vedeva bianco e nero, il secondo vede grigio. Certo, Obama non ha subito il trauma dell’11 settembre. Ma se Bush reagiva sempre con l’istinto del guerriero, al prezzo di ignorare ogni rigorosa valutazione delle conseguenze delle sue azioni, lui si avvicina a ogni questione come l’avvocato che vuole spaccare il capello, analizzarne tutti gli aspetti, presentare le conclusioni come frutto di giudizio ragionato, non di dogma ideologico. Anche se poi la linea scelta può pragmaticamente avere molte similarità con quella del predecessore. « Cosa fa Barack Obama quando ha davanti un problema? Ordina un riesame», osserva bene Dana Milbank sul Washington Post. In verità, nel caso del fallito attentato sul volo Northwest 253, le review comandate dal presidente sono state due, una sullo stato dei controlli di sicurezza negli aeroporti americani, l’altra sul sistema delle watch-list per i sospetti terroristi. E probabilmente diventeranno quasi permanenti. A chi lo accusa di perdere tempo, Obama ripropone il suo testo: «Mentre i nostri avversari cercano nuovi adepti, noi riesamineremo costantemente e, aggiorneremo rapidamente l’intelligence e le istituzioni». E’ dall’insediamento nello Studio Ovale, che il «riesame» è diventato passaggio preliminare e obbligatorio di ogni decisione obamiana. In ordine sparso, ci sono state review sull’Afghanistan (due, l’ultima andata avanti per quasi tre mesi e conclusasi con l’invio di 30 mila nuovi soldati) e lo stimolo per l’economia, l’Iraq e la chiusura di Guantanamo, l’Iran e la febbre suina, la sparatoria di Fort Hood e la difesa anti-missile, il sistema fiscale e l’affaire della coppia imbucatasi alla cena di Stato alla Casa Bianca in onore del premier indiano. «E’ il marchio di fabbrica del suo modo di governare: freddo e deliberativo anche in una crisi», chiosa il Post, ironizzando che se Dick Cheney fosse stato presidente, «forse avremmo già invaso l’Iran, per punire al Qaeda che ha addestrato il terrorista nigeriano nello Yemen». Parte integrante di questo paradigma comportamentale, è l’ammissione di colpa, la diretta assunzione di responsabilità, forse l’unico passaggio in cui Obama lascia volutamente andare un po’ di compostezza, almeno verbale: «I screwed up», ho fatto una cazzata, disse in un’intervista televisiva, dopo che Tom Daschle, l’ex senatore e mentore che lui aveva nominato a ministro della Sanità, dovette ritirarsi per aver goduto dei favori di un lobbysta. «A screw up», ha ripetuto nel segreto della Situation Room martedì pomeriggio, battuta che la Casa Bianca si è subito preoccupata di rendere pubblica. Quanto alla possibilità che qualcuno paghi per gli errori, anche qui calma e gesso. La review è in corso. Come ci dice uno dei consiglieri di Obama, «quando il riesame sarà finito, il presidente sarà in grado si stabilire se qualcuno perderà il posto».