Bruno Ventavoli, La Stampa 6/1/2010, 6 gennaio 2010
Si uccide a 11 anni per restare in tv Choc in India: i genitori le proibiscono di ballare in un reality, lei si impicca Quando la guardi in foto, minuta come gli sciuscià del «Millionaire» di Danny Boyle, non capisci nemmeno bene se sia una femminuccia
Si uccide a 11 anni per restare in tv Choc in India: i genitori le proibiscono di ballare in un reality, lei si impicca Quando la guardi in foto, minuta come gli sciuscià del «Millionaire» di Danny Boyle, non capisci nemmeno bene se sia una femminuccia. E soprattutto non capisci come dietro quegli occhioni neri che sembrano più grandi del viso potesse covare tanto dolore. Neha Sawant aveva undici anni ed era molto conosciuta perché aveva partecipato a tre reality in tv dove si ballava. L’hanno trovata morta nella sua cameretta appesa delicatamente a una sciarpa di seta. La notizia ha choccato l’India. Anche perché nello stesso giorno Sshant Patil, 12 anni, si è impiccato nel bagno della sua scuola e una diciottenne ha compiuto lo stesso gesto appendendosi a un ventilatore da soffitto. Neha, che in hindi vuol dire «amore», non ha lasciato messaggi per spiegare il suo addio alla vita. Ma tutti subito hanno pensato alla tv. A quella tv che lei aveva cominciato ad assaggiare dall’interno. All’ambizione di diventare famosa che la rovellava da un paio d’anni, appannandole la normalità. E non sarebbe la prima babystar a fare una brutta fine dopo aver saggiato l’amaro calice della celebrità. Le cronache di Hollwyood pullulano di piccoli e giovani talenti, famosi quando erano alti un soldo di cacio, sprofondati negli inferni più disparati una volta arrivata la vita adulta, mestiere assai più difficile da recitare che un copione scritto a tavolino. Neha sapeva ballare benissimo. E glielo ripetevano sempre. Era la più brava d’un gruppo di piccoli danzatori che s’esibivano per tutta Mumbai. Talmente brava che l’avevano presa in televisione a dimenarsi. Vari programmi, fino a «Boogie Woogie», lo show di danza più popolare d’India, in onda dal 1998, frequentato dalle star del cinema più celebri. Neha Sawant, pur essendo ancora così minuscola e fragile, aveva dentro un sogno immenso. Fare spettacolo, arrivare a Bollywood, ballare e recitare come le attrici che si appendeva al muro in fotografia. L’anno scorso quel sogno s’era allontanato di qualche metro. Il padre, impiegato in un’azienda di Mumbai, e la madre, insegnante, le avevano detto che per un po’ di tempo non ci sarebbero più stati reality nei suoi pomeriggi. A undici anni era meglio che pensasse alla scuola. Neha aveva ovviamente ubbidito. Ma nella foto con la divisa scolastica, camicia bianca, grembiule e cravattino blu, non era illuminata dalla stessa gioia di quando danzava vestita in sari, ghirlandata di fiori. Gli dei le avevano regalato il dono di muoversi a ritmo con la musica, mica quello di risolvere problemi di matematica sui quaderni o di studiare a memoria le Upahishad. E nonostante la clausura in casa i risultati scarseggiavano. I genitori, sconvolti dalla tragedia, hanno dichiarato che i sogni di gloria infranti non c’entrano niente. La loro piccola non aveva mai lasciato intendere che soffrisse per quel motivo. E nessuno, primi fra tutti i poliziotti che hanno condotto l’indagine nella stanzetta del suicidio, potrà mai essere certo della verità. In fondo, che importa saperlo? I fan dei reality show naturalmente pensano che la colpa sia dell’ukase dei genitori. E’ una fine troppo melò, troppo struggentemente simile a uno di quei drammoni che si guardano con le lacrime agli occhi, per non essere così. La tv anche laggiù in riva al Gange è diventata maestra di vita e dispensatrice di miraggi. Nelle note sugli autori e conduttori del programma «Boogie Woogie» è citata una frase che incita alla tenacia i partecipanti allo show. «Le persone spesso diventano ciò che credono di essere. Se io credo di poter fare una cosa ci riuscirò, anche se all’inizio poteva sembrare impossibile». Suona benissimo. Come quelle che s’odono continuamente nelle diatribe dei reality di tutto il mondo. Non è né della De Filippi. Né della Marcuzzi. In teoria l’avrebbe detta Gandhi. Ma forse qualcosa è andato storto anche in India se la saggezza del Mahatma può servire di viatico all’«Amici» di Mumbai. Vincenza Pastorelli Ha vinto lo Zecchino d’oro nel 1969 miagolando «Volevo un gatto nero». A 42 anni fa la maestra per vivere ma arrotonda il lunario con alcuni centri di massaggi non sempre terapeutici. I carabinieri la arrestano con l’accusa di sfruttamento della prostituzione e spaccio di droga. Macaulay Culkin Figlio di un ex bambino prodigio, Christopher «Kit» Culkin, è diventato famoso e ricchissimo a 10 anni con «Mamma ho perso l’aereo». Poi soldi, fama, e pace dell’animo se ne sono andati. E sono arrivati i guai con la droga e con la vita. Drew Barrymore A 5 anni recita in «Stati di allucinazione». A sette, è tra i protagonisti di «E.T.» di Spielberg. A 9 beveva alcolici, a 12 sniffava coca. Il successo raggiunto così presto la fa scivolare in un inferno. Per sua fortuna, la vita sbagliata le conferisce un’aura da cattiva ragazza, che la fa tornare al successo.