Varie, 7 gennaio 2010
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Poggi Chiara
• Vigevano (Pavia) 31 marzo 1981, Garlasco (Pavia) 13 agosto 2007. Fu assassinata con un oggetto pesante, non ancora ritrovato, colpita più volte da una persona che probabilmente conosceva, alla quale aprì in pigiama la porta di casa e con la quale ebbe una breve conversazione sfociata nel dramma. Del delitto è stato accusato il fidanzato Alberto Stasi, poi assolto nel processo di primo e secondo grado (vedi STASI Alberto) • «[...] Alberto Stasi, 24 anni, e Chiara Poggi, due anni di più, si conoscevano dai tempi dell’oratorio, quand’erano due bambini. Alberto Passone dice che “lui faceva pure il chierichetto”. Lei se la ricorda di meno. Lui non era un tipo di molte parole anche da bambino. Chiara andava a messa, forse si scambiavano qualche sguardo da dietro le panche. Allora, però, non era mai nato niente. Si erano persi di vista. Fino all’ottobre 2003. Era stata lei a cercarlo. Aveva saputo che s’era iscritto a Economia pure lui, anche se alla Bocconi, e una volta dopo averlo incontrato per caso, andò a cercarlo. Disse che aveva bisogno di un libro: “Tu me lo puoi dare? Così evito di comprarmelo”. Quando lui glielo portò, s’innamorarono. Hanno fatto quattro anni come negli amori di paese, che non sognano di scappare via, che in fondo vogliono continuare quello che hanno. Un loro amico, Marco Panzarasa, ha detto che “erano una bella coppia, due ragazzi modello, con la testa sul collo”. E anche Paolo Sozzani dice che era un piacere vederli insieme, che “andavano sempre d’amore e d’accordo”. Così bravi che non passavano neanche il tempo a vedersi tutti i giorni, a consumarsi gli occhi e le parole. Si frequentavano i fine settimana come due fidanzatini di Peynet, stando attenti a non sgualcirsi troppo. Anche l’ultima notte passata insieme si sono salutati all’una, pur avendo la casa libera, e ai carabinieri che gli chiedevano perché, Alberto ha risposto come se lo interrogasse il suo sacerdote. “Ci imbarazzava dormire nel letto dei nostri genitori. Non lo facevamo mai”, ha detto. Il vicino di casa di via Carducci, quello del numero 21 [...] ricorda come li vedesse insieme, “lui e la ciccia”, soltanto la domenica e il sabato, quando lui prendeva la macchina, “o la Volvo della mamma o il fuoristrada del papà, e andavano in giro. Qualche volta anche la Volkswagen”. Ma dice che non è che gli altri giorni si incontrassero, o che lui andasse fuori la sera. “Pensava solo a studiare. E lei pure. Erano così”. [...] Giuseppe Poggi [...] ha voluto sposare [...] una ragazza timida e delicata, di nome Rita Preda, che gli ha dato due figli, Chiara [...] e Marco [...] La figlia maggiore stava ripercorrendo la loro vita, un cammino di passi fermi e un amore tranquillo con un giovanotto di buona famiglia che suo padre approvava incondizionatamente, un bocconiano bravo a scuola come lo era pure lei, che si era appena laureata in Economia con 110 lode all’Università di Pavia. [...]» (Pierangelo Sapegno, “La Stampa” 21/8/2007) • «[...] A Pavia si era laureata il 20 dicembre del 2005 con una tesi in Economia e gestione delle imprese. Il professor Gabriele Cioccarelli ancora se la ricorda, “perché aveva fatto davvero un ottimo lavoro”. E l’assistente che la seguì in quei giorni, Stefano De Nicola, ha detto ai giornalisti che aveva conosciuto “una persona decisa, determinata, quasi cocciuta”. Dopo la laurea con 110 e lode, aveva cominciato un lavoro da stagista alla Computer Sharing di Milano. Faceva l’analista contabile: “adattava i nostri software alle esigenze dei clienti”. Se ai colleghi chiedi com’era, rispondono come i suoi compagni di scuola, i suoi professori, i suoi amici: “Una ragazza riservata, molto seria e molto professionale. Aveva imparato subito il lavoro e si era ambientata bene”. Le parole sono sempre le stesse. Però, quello che colpisce è un’altra cosa, che non viene quasi mai detta. La sua forza erano le sue radici. Quand’era più giovane, non era una di quelle che hanno sempre l’occhio alla strada, ai passanti, alle ville del paese, ai campi perduti in fondo al cielo, a queste distese d’erba davanti alle gaggie. Non era di quelle che sognava di far fortuna, di andare lontano, che chiudeva gli occhi per sperare che al di là di quei prati ci fosse un altro paese più bello e più ricco. “Chiara doveva essere contenta di quello che aveva”, ha detto un suo amico di università. “Non è che lo dicesse, ma lo capivi, perché era di poche parole, ed era soprattutto una tipa serena. Positiva”. Così timida, così silenziosa e riservata, che persino da vittima, in fondo, è quasi sparita dietro al clamore della sua terribile vicenda, nascosta nell’ombra fra le luci accese sulle sue incontenibili cugine, sul fidanzato della Bocconi e sugli altri fidanzati [...] Quando hanno cercato attorno alla sua vita, hanno trovato soltanto quello che si può trovare su una brava ragazza come lei. Hanno chiamato amici, parenti, concittadini. Niente, le solite cose. Hanno spulciato fra le sue carte. Niente anche qui. Nient’altro che qualche scarno appunto e pochi numeri di telefono. Sulla rubrica del cellulare, Chiara aveva memorizzato solo quelli di mamma e papà, del fidanzato Alberto, dei parenti e degli amici più stretti. Una decina di numeri in tutto. Cercando fra il suo cellulare e i tabulati del traffico telefonico, gli inquirenti hanno ritrovato alla fine sempre lo stesso ritratto, “quello di una ragazza semplice e pulita”, come ha spiegato ai giornalisti uno degli investigatori, “tutta casa, ufficio e fidanzato, che si concedeva solo una uscita il sabato sera e basta, e che conduceva una vita molto tranquilla, persino troppo tranquilla per la sua età”. In questo paese di tetti bruni ammonticchiati, quasi dei nascondigli sicuri, Chiara era una che stava bene, come se ce lo avesse nelle ossa, come se lo conoscesse senza bisogno di parlarne. Eppure qui l’hanno uccisa, dove lei si sentiva più sicura. Perché la morte è sbucata dalle sue radici, dal suo passato immobile, da questa quiete che lei si portava dentro anche quando andava via [...]» (Pierangelo Sapegno, “La Stampa” 27/8/2007).