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 2010  gennaio 06 Mercoledì calendario

Quegli astrologi immigrati dalla Persia Non erano tre e nemmeno re. Il regalo della mirra era un’allusione alla Passione Il cartello nella cattedrale di Agrigento, che giustifica l’assenza dei Magi nel presepe («fermati alla frontiera, come gli altri immigrati»), ci porta a riflettere sulla vicenda narrata, tra i testi canonici, dal vangelo di Matteo

Quegli astrologi immigrati dalla Persia Non erano tre e nemmeno re. Il regalo della mirra era un’allusione alla Passione Il cartello nella cattedrale di Agrigento, che giustifica l’assenza dei Magi nel presepe («fermati alla frontiera, come gli altri immigrati»), ci porta a riflettere sulla vicenda narrata, tra i testi canonici, dal vangelo di Matteo. I personaggi originariamente non sono tre, né sono Re. Potrebbero essere degli astrologi, giacché seguono una stella; la provenienza da Oriente fa pensare alla Persia, perché «magio» è un vocabolo di questa terra e presenta una controversa etimologia, comunque designa una tribù originaria dell’Iran occidentale nel cui ambito erano scelti i sacerdoti che aderiranno alla riforma di Zoroastro. Al tempo in cui nacque Gesù essi costituivano il clero ufficiale del regno Parto, grosso modo Iraq e Iran attuali. La loro presenza in Matteo ha un valore teologico: sono gli stranieri-pagani che riconoscono la venuta del vero Dio. Del resto, anche alla nascita di Maometto si spegne il fuoco sacro dei Magi: segno che l’Islam è superiore alla religione dei persiani. Saranno testi apocrifi e soprattutto commenti posteriori lasciati dai Padri della Chiesa a costruire la leggenda. Il Vangelo arabo dell’infanzia parla di «tre Re, figli del Re di Persia»; un’opera scomparsa redatta in siriaco verso il III secolo della nostra era, della quale possediamo una traduzione latina, Il libro di Seth, ci ricorda che sono «Orientali venuti dalla Persia»: si tratta però di dodici saggi che attendono l’apparizione di una stella e pregano in silenzio su un’altura identificabile con il Monte Ushida dell’Avesta. Inoltre il Protovangelo di Giacomo, un apocrifo del II secolo, fa comparire per la prima volta la grotta (e anche una levatrice che testimonia la verginità di Maria); il Vangelo arabo dell’infanzia (redatto su un testo del V secolo) accetta il numero di tre e mette in mano ai Magi oro, incenso e mirra (Maria regala loro una fascia del neonato). La versione armena di questo scritto ricorda che i Re erano fratelli e riferisce i loro nomi: «Melkon, il primo regnava sui Persiani; Baldassarre, il secondo, sugli indiani; Gaspare, il terzo, possedeva il paese degli Arabi». Tali indicazioni vanno incrociate con la letteratura patristica. Tertulliano, alla fine del II secolo, concede anch’egli ai Magi l’appellativo di Re e la sua ipotesi nasce accostando il testo di Matteo al Salmo 72; sempre in questo periodo Sant’Ireneo ci offre il significato dei doni: la mirra è per la sepoltura (allusione alla Passione), l’oro al Re, l’incenso a Dio. Ma su questo punto si moltiplicheranno le ipotesi: nel XII secolo Bernardo di Clairvaux riteneva che l’oro alleviasse la povertà della Vergine, l’incenso servisse a disinfettare la stalla e la mirra fosse un vermifugo; quattro secoli più tardi Lutero propone fede, speranza e carità. Che significato poi avessero i Magi è un’altra storia interminabile: basterà ricordare che San Leone, Papa nel V secolo, dedica all’Epifania otto sermoni per provare che la loro adorazione rappresenta la vocazione dei gentili.  un’avventura infinita, che mai riesce ad avere requie. Giovanni di Hildesheim nel XIV secolo raccoglie notizie sulla tradizione dei Magi utilizzando cronache, memorie e informazioni di pellegrini. Parla delle terre che governavano, si sofferma sulle reliquie dei tre corpi (uno arriverà a Milano e sarà rubato dal Barbarossa) e di figure mitiche che presero parte alle loro vicende come il Prete Gianni o il Patriarca Tommaso; soprattutto narra del ritorno dei Magi ai loro regni (la Storia dei Re Magi di Hildesheim è appena stata tradotta integralmente da Massimo Oldoni per l’editore Francesco Ciolfi di Cassino). Di più: le ricerche di Madeleine Félix, contenute ne I ReMagi (Jaca Book), oltre ad offrire il più vasto apparato iconografico sulla fortuna e sull’incredibile diffusione della storia, ricordano le ipotesi riguardanti la durata dei viaggi: l’andata, da Natale all’Epifania, fu di 13 giorni, ma il ritorno si dilata sino a due anni. C’è poi l’idea del Re nero. Già presente in Tertulliano, è ripresa nel secolo VIII da Beda (il quale usa il termine «fuscus»), ma «diventa popolare solo nella seconda metà del XV secolo attraverso la scappatoia delle opere d’arte». Lentamente i Magi si divincolano dall’identità persiana e cominciano a rappresentare i tre continenti allora conosciuti: Europa, Asia e Africa. A questo punto si capirà perché il cartello di Agrigento, e l’assenza in quel presepe, sono soltanto due aggiunte alla loro storia che non riesce a terminare.