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 2010  gennaio 06 Mercoledì calendario

Piemonte napoleonico. «In un’Istruzione datata 4 novembre 1800, erano stabiliti per la prima volta i contenuti dell’insegnamento primario: oltre alla lettura e alla scrittura erano previste nozioni di aritmetica pratica, di morale e d’istituzioni sociali: in presenza di un secondo maestro si potevano indirizzare gli alunni anche allo studio dell’agronomia e della storia naturale

Piemonte napoleonico. «In un’Istruzione datata 4 novembre 1800, erano stabiliti per la prima volta i contenuti dell’insegnamento primario: oltre alla lettura e alla scrittura erano previste nozioni di aritmetica pratica, di morale e d’istituzioni sociali: in presenza di un secondo maestro si potevano indirizzare gli alunni anche allo studio dell’agronomia e della storia naturale. interessante notare come tra le materie elencate nel programma non figuri il latino, fulcro dei corsi che, all’epoca dell’Ancien Regime, avviavano i fanciulli agli studi superiori. Questa inversione di tendenza nella pratica didattica risulta particolarmente significativa perché contribuisce a delineare le finalità e le caratteristiche che gli uomini del regime napoleonico attribuivano all’istruzione elementare: nelle intenzioni dei legislatori, essa era tenuta a corrispondere alle esigenze del popolo, chiamato a beneficiare di un sapere di carattere "pratico" e a prendere coscienza del ruolo di cittadino della nascente realtà politica. Non stupisce pertanto l’attenzione riservata allo studio dei diritti e dei doveri come il solo in grado di "formare nell’uomo un carattere probo, generoso e veramente Repubblicano". Un ulteriore elemento di novità era rappresentato dall’introduzione, tra le discipline del corso elementare, dell’idioma d’oltralpe nella prospettiva di una progressiva francesizzazione degli ex territori sabaudi. Sono significative al riguardo le parole dall’introduzione al Regolamento del 5 gennaio 1802: "La langue française - si legge in essa - est depuis long-temps la langue prèsqu’universel de l’Europe [...]. Elle égale les autres pour la force et l’élegance, et les surpasse pour la précision, la clarté et l’évidence de l’expression. Elle est la langue de la vérité. Cette langue précieuse va devenir la langue maternelle de la 27 division, où elle est déjà assez répandue pour etre celle des homme instruits, des commerçans, de tous ceux qui ont reçu une éducation un peu soignée, et meme de tous les habitants de certains arrondissements" «In realtà, come avremo modo di chiarire più avanti, la diffusione del francese incontrerà grossi ostacoli legati non solo alla estraneità di tale lingua alle consuetudini delle popolazioni piemontesi, soprattutto rurali e montane, ma anche al significato politico che assumerà la sua estensione alle province annesse. Ora preme sottolineare l’impegno profuso dal Consiglio dell’Istruzione Pubblica per promuovere, con tutti i mezzi a disposizione, la conoscenza dell’idioma francese nelle diverse classi della società subalpina. Si pensi, ad esempio, alle indicazioni pratiche che, contenute nel Regolamento, concenrnevano i libri di testo, lo spazio da assegnare alla storia della Rivoluzion e e la componente didattica. Quest’ultima rivestiva un’importanza particolare come terstimoniano l’insistenza sulla necessità di insegnare i vocaboli a partire dall’esperienza quotidiana degli allievi, il continuo richiamo al confronto con il dialetto locale e la costante esortazione ad evitare, per quanto possibile, la traduzione interlineare alla lavagna. L’importante compito affidato alla scuola di base induceva il governo a impegnarsi nell’elaborazione di programmi uniformi ed efficaci, superando la tendenza all’improvvisazione che aveva contraddistinto le precedenti esperienze nel settore primario: emblematica al riguardo è l’adozione del metodo simultaneo o normale che, a differenza di quello individuale, basava l’attività didattica sul rapporto frontale tra il maestro e un gruppo di alunni, coinvolti contemporaneamente nell’apprendimento di nozioni, inserite in un insieme organico e strutturato di conoscenze. Siamo in presenza di un modello d’istruzione elementare diverso da quello che, adottato nell’Ancien Régime, poneva l’accento sull’aspetto meccanico della lettura anziché sulla comprensione completa e autonoma cei significati. Questa differente impostazione si rifletteva nella scelta dei libri in uso nelle scuole come attesta l’indicazione agli insegnanti elementari di due opere che, redatte nel 1800 appositamente per le scuole basse piemontesi, erano destinate a sostituire i testi religiosi (il Padre, il Credo, l’Uffizio della Beata Vergine e la Dottrina cristiana)» (Maria Cristina Morandini) «Secondo i dati di un’inchiesta condotta nel 1808 nel dipartimento d’Ivrea soltanto 36 insegnanti elementari su 88 avevano dato prova di conoscere il francese: alcuni di questi avevano però copiato come testimonia il caso del maestro di Sciolze, il quale, senza essere in grado di "écrire ou prononcer un seul mot", era risultato abile all’insegnamento della lingua» (ibidem) «L’opposizione dei docenti e dei ceti popolari determinò di fatto il fallimento del progetto scolastico relativo al settore primario: molte scuole pubbliche, infatti, furono disertate per la scarsa fiducia nei contenuti dell’istruzione elementare e nei nuovi metodi d’insegnamento [siamo sempre nel Piemonte napoleonico - ndr] Emblematico è il caso del maestro di Valperga don Giovanni Battista Sassetti che, per aver introdotto il metodo normali e adottato il testo di Somis, era stato oggetto di una campagna denigratoria promossa dagli abitanti del paese: il sacerdote raccontava "d’avere incontratal’indignazione dell’ignorante volgo e di alcune altre persone per altro scienziate, ma prevenute da’ falsi pregiudizj contro il metodo normale; li paesani poi - proseguiva - arrivano fino a dire, che vada a fare scuola alle capre e in galera con simili altre ingiurie". Questo atteggiamento contribuisce a spiegare, congiuntamente ad altri fattori (l’entità dell’offerta, il precedente monopolio e l’orientamento non ostile delle autorità), l’ancora elevata percentuale di ecclesiastici all’interno della classe magistrale. L’immagine dell’insegnante come persona laica e dotata di requisiti professionali era estranea alla metalità dei ceti popolari, soprattutto di quelli che vivevano nelle zone rurali e nelle periferie delle città: qiesti si rivolgevano al parroco o al titolare di una piccola cappellania invitandolo a dispensare ai propri figli, dietro esiguo compenso, una forma d’istruzione che, secondo le inmtenzioni dei genitori, avrebbe dovuto consistere essenzialmente nell’indottrinamento religio e morale» (ibidem, pag. 13) «La mancata ricezione a livello primario delle linee e degli inidirizzi della politica scolastica non sminuisce il valore dell’esperienza napoleonica, la cui eredità in materia d’istruzione si riassume nella volontà di promuovere l’alfabetizzazione delle masse attraverso l’istituzione di una scuola pubblica a carattere popolare con particolare attenzione ai contenuti e ai metodi d’insegnamento» (ibidem) «La visione di un cristianesimo vicino agli strati umili della popolazione era incarnata da giovani sacerdoti (don Cafasso, don Bosco, don Cocchi) i quali, cresciuti alla scuola del teologo Gala, vivevano a stretto contatto con carcerati, poveri ed emarginati. Alla loro azione si affiancava quella di esponenti di primo piano dell’aristocrazia subalpina. Un esempio è rappresentato dai marchesi Tancredi e Giulia Barolo, dediti all’istituzione di asili infantili, alla promozione di corsi elementari, di corsi professionali e all’apertura di case per fanciulle in difficoltà, istituzioni in cui l’educazione cristiana tradizionale veniva integrata da forme elementari d’istruzione. Questa fervente sollecitudine evangelica era però alimentata da una concezione politica conservatrice, fondata su una visione paternalistica dei rapporti sociali e su un sentimento nostalgico per il passato che induceva a guardare con pfrudenza alla civiltà moderna: " importante - affermava Tancredi - che la gioventù [...] sappia per tempo quali disgrazie possono sovrastare a lei, ed alle famiglie, quando voglia uscire (come si dice) dal proprio stato, cioè da quello dei suoi" Tale impostazione non era condivisa dai rappresentanti dell’aristocrazia cattolico-liberale e del ceto borghese, fautori di un cristianesimo aperto alle istanze della società moderna e di un ideale d’istruzione che, oltre a rappresentare un fattore di garanzia per la stabilità sociale, si ponesse come elemento positivo di progresso economico e sociale. La duplice necessità di promuovere conoscenze adeguate alla realtà produttiva e di accrescere il consenso popolare nei confronti delle classi emergenti era alla base dell’impegno di Roberto e Costanza d’Azeglio nel settore dell’istruzione. Il marchese diede vita a numerose iniziative nel quartiere Borgo Po: apertura di una scuola femminile (1835), affidata alle suore di San Giuseppe e, successivamente, alle Rosine; istituzione di un asilo infantile (1840) e inaugurazione di una "scuola vespertina" (1842-1843) alla quale intervenivano ragazze adulte al termine del lavoro. Altrettanto significativa fu l’attività della moglie, impegnata, insieme alla sorella Luigia e alla cognata, nella fondazione del Ricovero della Misericordia che ospitava all’interno di un asilo infantile, una scuola elementare femminile e un corso rivolto alle giovani lavoratrici a cui potevano accedere le fanciulle povere, previo pagamento della sottoscrizione ad opera di un benefattore. L’esigenza di assicurare un minimo d’istruzione ai ceti inferiori veniva riconosciuta, per la prima volta, anche dalle autorità governative come emerge da Regolamento degli Studi 1822, redato dal gesuita Luigi Taparelli d’Azeglio [fratello di Massimo - ndr]. In esso era sancito l’obbligo per le autorità municipali di istituire una scuola elementare, detta "comunale", nella quale i fanciulli potessero apprendere la lettura, la scrittura, la dottrina cristiana, gli elementi di lingua italiana e l’aritmetica. La volontà di diffondere l’alfabeto tra le classi popolari si inquadrava nelle linee generali della politica scolastica, improntate a un concetto di istruzione come strumento di controllo sociale e a un rafforzamento del ruolo della religione cattolica come garanzia dell’ordine costituito nell’intento di vanificare l’influsso delle idee rivoluzionarie affermatesi con i moti del 1821. Non sorprende pertanto la stretta vigilanza esercitata dallo Stato e dalla Chiesa nei confronti di docenti e allievi, costretti a sottostare a precise disposizione che ne limitavano le libertà personali e ne vincolavano la condotta anche in ambito extra scolastico. Gli alunni delle scuole primarie e secondaria, pena l’esclusione dai corsi, erano tenuti a presentare al prefetto la prova del loro accostamentoi mensile ai sacramenti: dovevano inoltre astenersi dal frequentare balli, teatri, pubblici esercizi e caffè, luoghi considerati dalle autorità come possoibili focolai del pensiero sovversivo. A un’uguale censura era soggetta la categoria insegnante: "D’ora in avvenire - si legge nell’articolo 52 - nessuno potrà essere destinato all’impiego di professore o maestro senza che presenti il certificato del Vescovo, comprobante che per la buona e lodevole condotta il Vescovo lo crede degno dell’impiego a cui aspira"» (ibidem, pag 17-18) «Il nascente interesse delle autorità governative per l’educazione popolare, oltre a essere espressione del mutato contesto politico- culturale dell’eredità del periodo napoleonico, si inseriva in un progetto più ampio vòlto a combattere i pauperismo e la mendicità, fenomeni destinati ad assumere vaste proporzioni negli anni Trenta: secondo i dati desunti da G.M.Bravo, il 9% della popolazione subalpina era rappresentato da persone incapaci di mantenersi con i mezzi propri o con il proprio lavoro. Nel 1833 il ministro degli Interni Tonduti de l’escarène, dopo aver ricordato gli interventi promossi dal sovrano per scongiurare il vagabondaggio e la richiesta dell’elemosina, individuava nella "nessuna o pessima educazione" e nella "quasi assoluta ignoranza" religiosa le cause principali del diffuso malessere sociale [cita un passo dell’Escarène] Il tentativo di contrastare il dilagante pauperismo attraverso il ricorso all’istruzione e all’educazione fu anche all’origine dell’esperienza della "Società degli asili infantili", che, sorta nel 1839 al termine di lunghe trattative con il governo, annoverava tra le sue fila esponenti dell’aristocrazia, della borghesia e del clero: tra i [manca]» «"Ho procurato d’influire presso al Re - scriveva Solaro della Margarita - perché non fosse così facile a permettere asili d’infanzia e scuole elementari nelle quali si educassero i figliuoli del popolo non a diventare col tempo buoni cristiani e buoni sudditi, ma a divenire indifferenti in Religione, e intolleranti d’ogni autorità, preparati a dar mano a qualunque ribellione [...] Né io, né quanti meco consentono nelle teorie conservatrici dell’ordine sociale avversano l’istruzione; noi la vogliamo anzi e la promuovereno sempre. L’ignoranza è generatrice di brutture e di vizii [...] S’insegni ciò che giova sapere, non ciò che gonfia l’intelletto e lo travia. Siam tutti consapevoli del fine che hanno gli attuali patrocinatori del popolare insegnamento". La difesa del carattere "sacro" dell’istruzione si evince anche dalle parole dell’arcivescovo di Torino Mons. Luigi Fransoni, considerato dai liberali, congiuntamente a Solaro della Margarita, "nemico del progresso". Nella lettera pastorale del 1841 rivolta ai fedeli e al clero della diocesi, il prelato sottolineava i pericoli del nuovo orientamento scolastico: "Ah! Che l’odierno impegno di volere in tutti eccitare la smania di leggere, lungi dal riuscire profittevole per la parte della religione, diviene spesso agli individui delle classi inferiori gravemente dannosa anche per riguardo all’ordine pubblico, perciocché mancando del regolare presidio dei primi studii, imparano a stortamente filosofar sui giornali ed assuefancendosi a ragionar in politica e a discutere ciò che pensano doversi far dai governi, con censurarne perfino le operazioni, diminuiscono a poco a poco di stima verso i medesimi ed ognor più si dispongono a sprezzarne l’autorità e a scuoterne il freno". Alle considerazioni di natura etica se ne aggiungevano altre, relative alla qualità dell’insegnamento impartito: " necessario tanto dispendio di maestri - si interrogava Solaro - per imparare che l’orecchio è l’organo dell’udito, che le rose e le viole mandano odore, che introduciamo nella bocca i cibi, che le fragole e le mele hanno un sapore gradevle?". L’influenza esercitata dai reazionari sugli esponenti del regime carloalbertino fu considerevole come testimonia l’ordinanza ministeriale del 15 maggio 1839 con cui si faceva obbligo ai membri della Società degli asili infantili di ricorrere alle congregazioni religiose per la scelta del personale insegnante; una clausola che, senza precludere l’attività della nascente istituzione, aveva lo scopo di rassicurare, almeno in parte, i rappresentanti più conservatori, inclini a ravvisare nelle iniziative per l’educazione popolare uno spirito antireligioso. La volontà di giungere a un compromesso limitava di fatto il potenziale operativo della nuova associazione, in difficoltà nell’aprire scuole per mancanza di suore preparate e dedite al settore dell’infanzia. In una lettera a Ferrante Aporti [23 febbraio 1839], il sindaco di Rivarolo [Maurizio Farina] denunciava lo scarso numero e l’incompetenza dimostrata dalle sorelle della Carità nella gestione dell’asilo locale [segue citazione, da cui: "quelle povere figlie avrebbero bisogno di imparare, di formarsi, di vedere"]. L’importante ruolo svolto dall’estrema destra negli ambienti vicini alla corte si evince anche da alcuni episodi che condizionarono la storia dell’associazione degli asili infantili. Nei primi mesi del 1844, le accuse di matrice reazionaria, vòlte a sottolineare "l’indirizzo poco religioso" delle istituzioni per l’infanzia, si diffusero a tal punto nell’opinione pubblica da costringere la direzione della società a presentare al sovrano una memoria difensiva corredata dai certificati dei parroci sotto la cui giurisdizione avevano sede le scuole fatto oggetto di critiche ed attacchi. A breve distanza di tempo seguì l’estromissione dai vertici della società del conte Camillo Benso di Cavour, reo, agli occhi di Solaro della Margarita e dell’arcivescovo Fransoni, di diffondere idee "rivoluzionarie". In un discorso tenuto alla Camera il 17 gennaio 1857, era lo stesso Cavour a individuare nel clima di diffidenza e di avversione le allora nascenti istituzioni la causa del suo allontanamento: "Un giorno - egli riferiva all’assemblea parlamentare - il presidente della Società, il cavaliere Cesare Saluzzo, mi fece chiamare a sé e mi dichiarò che pel bene della Società io doveva uscire dalla direzione. Ed io non era un gran rivoluzionario! A quel tempo chi professava opinioni moderatissime doveva ritirarsi dalla direzione per non trascinare seco la rovina dell’istituzione!" Nonostante le resistenze degli esponenti politici ed ecclesiastici più conservatori, la nuova tendenza era destinata a prevalere, grazie soprattutto all’appoggio di Carlo Alberto che si fece promotore di numerose iniziative nel settore della beneficenza e dell’istruzione popolare, frutto di un’azione sinergica tra ecclesiastici, privati cittadini ed autorità statali. Il sovrano, infatti, riconosceva alle nuove istituzioni educative una funzione importante nella crescita civile e nel progresso del Piemonte, come emerge dalla relazione di Giacomo Giovanetti, esperto di diritto ed economia incaricato di studiare le condizioni dell’istruzione elementare nel regno: "V.M. - egli scriveva - ha compreso che la prosperità e la potenza d’uno Stato e la sua influenza politica dipendono essenzialmente dall’ordinamento civile ed economico interno, onde la necessità di promuovere l’educazione e l’istruzione pubblica [...], ma non basta che vi sia un numero grande di ingegni privilegiati e colti; giusta il sapiente concetto di V.M. vuolsi ampiamente diffondere e con somma prudenza riordinare l’istruzione elementare [...] la spesa della scuola non è che un’anticipazione produttiva che rende con usura. danaro che si diffonde nel paese e ne accresce la ricchezza"» (ibidem) L’Austria «dove, grazie alla qualità dei regolamenti e al ruolo propulsore delle scuole normali, notevole era stato il progresso nella scolarizzazione» (ibidem) «Non è possibile condividere l’opinione di coloro che riconducono la distinzione tra moderati e democratici a una differenza di toni o di vocabolario. All’interno del panorama subalpino si delinearono, infatti, due distinti orientamenti che, alla luce di una diversa concezione della società e delle sue istituzioni, giunsero a formulare proposte educative divergenti: da un lato una netta demarcazione tra le legittime prerogative dello Stato e le libertà individuali che postulava il rispetto delle scelte della famiglia relativamente all’istruzione dei figli; dall’altro l’idea di una priorità statale che, giustificata sulla base dell’appartenenza del singolo al contesto sociale, autorizzava il governo a imporre ai genitori l’obbligo di istruire la prole» Seguono notizie su come veniva formata la classe degli insegnanti. Moderati: l’educazione stia nelle mani dello Stato (diritto all’istruzione, ma non dovere). Democratici: la scuola sia laica e obbligatoria. Relazione tra politica scolastica carloalbertina e caute aperture al libero scambio (pag. 31). Sofferenza di Carlo Alberto in occasione dell’arrivo a Torino di Ferrante Aporti con i suoi corsi di metodica. «Il tentativo operato da Vincenzo Troya alla fine degli anni Trenta: «Il pedagogiosta cuneese aveva inoltrato al Magistero della Riforma la domanda per istituire due classi elementari presso il collegio di S. Francesco da Paola: egli proponeva se stesso come maestro nella convinzione che "non si potranno avere buone scuole elementari fino a che qualcuno non abbia mostrato praticamente cone una tal scuola si faccia". Accolta la richiesta, ebbero inizio le lezioni, frequentate da un pubblico numeroso ed eterogeneo: ad esse, infatti, intervenivano persone motivate da pura curiosità, cultori di discipline scolastiche e istitutori primari, desiderosi di apprendere i nuovi metodi d’insegnamento. Il successo dell’iniziativa induceva alcuni amministratori a ritenere che i tempi fossero maturi per avviare corsi di metodica» (ibidem, pag, 34) Le scuole di metodica: clero favorevole e clero contrario in 37 e seguenti. Il governo una volta tanto interviene lasciando aprire una scuola di metodo (1845) e ignorando le pressioni del clero (41). Creazione - e convenienza - della creazione di un corpo di ispettori scolastici (pag. 45) Dalle Regie Patenti sull’istituzione delle scuole di metodo in Sardegna: «Già nel 1841 a Sassari, Nuoro e Oristano erano state aperte delle scuole di metodo che avevano sede nei conventi degli Scolopi: i corsi, di durata trimestrale, si rivolgevano agli aspirantio maestri a cui i professori insegnavano "il metodo da usarsi nel distinguere i caratteri dell’alfabeto italiano, nel sillabare, leggere, scrivere, nell’aritmetica, nei princìpi d’agricoltura e nei precetti di esprimere decentemente le proprie idee (art 9.)"» (pag. 46) Solo maschi. Per le donne vedi pag 47. Ruolo delle Suore di San Giuseppe in Torino contro il monopolio nell’istruzione femminile esercitato dalle Dame del Sacro Cuore (47). L’azione del Berti, che insegnava in casa sua e subissato dalle domande, aprì una scuola. Volotnà di contrastare l’insegnamento delle religiose. Le famiglie aristocratiche vogliono ler nuove maestre (51) Censimento del 1848. Tre distinzioni: sa leggere e scrivere sa leggere non sa né leggere né scrivere Ulteriore suddivisione: sesso e età (+ o - 20 anni) 69,2% di analfabetismo (3.404.086). Maschi: 61,7. Femmine: 76,8. Minor numero di analfa in Savoia, maggiore in Sardegna