Varie, 6 gennaio 2010
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Noland Kenneth
• Asheville (Stati Uniti) 10 aprile 1924, Port Clyde (Stati Uniti) 5 gennaio 2010. Pittore • «[...] si forma tra gli Stati Uniti e l’Europa: a Parigi, dal 1948 al 1949, lavora con lo scultore Ossip Zadkine. Trova poi la sua dimensione pittorica tornando negli Usa. A Washington, con Morris Louis Bernstein, entra a far parte del gruppo del Color Field. Con acrilico e tela grezza concentra la sua attenzione verso le figure geometriche. La prima personale è a New York, nel 1957. I suoi cerchi di colore dagli effetti ipnotici sullo spettatore, ma anche gli studi sulla forma della lettera V, sono fissati nel catalogo immaginario dell’astrattismo americano del secondo dopoguerra» (“la Repubblica” 6/1/2010) • «È il segno del circolo, del bersaglio, che connota e “scocca”, quasi fosse un emblema araldico inconfondibile, le grandi pitture lampeggianti di Kenneth Noland [...] Il critico Clement Greenberg lo decorò con l’influente onorificenza di “padre” storico del Color Field, il campo uniforme della tintura, che s’oppone, con oscillazioni ipnotiche e strisce ottiche, tanto alla frullata animosità schizzata dell’Action Painting, quanto alla pubblicitaria ripetitività della Pop. Errore, inserirlo nella corrente dell’Espressionismo Astratto, perché Noland convive al confine delle due correnti. Dall’astrattismo (di un Albers, per esempio, o di Malevic) preleva il ricorso percussivo della geometria, dalla Pop il senso acido ed industriale del colore puro, gridato, iterato come una litania: un mantra jazz. Quando espone alla storica Biennale “americana” del ’64, a vincere è in realtà il pop-artista Rauschenberg (che proviene come lui dalla storica scuola della Black Mountain) ed il destino dell’arte prende un’altra via. Eppure Noland non è poi così lontano: se Jasper Johns si specializza in bandiere, Jim Dine in cuori e vestaglie, lui predilige strisce da tende, frecce scoccate, diamanti e surfboards. A cui dà titoli lirici, come Misteries Jamaica o Out of the blue, che influenzò un celebre film di Dennis Hopper. Teneva alla vibratilità del colore puro (la reattività emotiva dell’acrilico steso su tele di juta non preparata, a sposare insieme, incestuosamente, geometria e non finito) di qui le forme ossessive o gravitazionali, come le sue V o i Bersagli, che catturano l’occhio, respirano e ci impegolano in ribadite non-strutture asimmetriche e baluginanti. È come un Rothko che abbia visto Warhol, che porta la curva e l’emozione nelle gabbie della geometria. Su di lui pesa la lezione di Ozanfant, il pittore purista legato a Le Corbusier e quella dello scultore espressionista russo Zadkine, che frequenta nel ’48 a Parigi» (Marco Vallora, “La Stampa” 6/1/2010).