Giornali vari, 16 novembre 2009
Anno VI - Duecentonovantasettesima settimanaDal 9 al 16 novembre 2009Berlusconi L’ultimo guaio di Berlusconi si chiama ”prescrizione breve”
Anno VI - Duecentonovantasettesima settimana
Dal 9 al 16 novembre 2009
Berlusconi L’ultimo guaio di Berlusconi si chiama ”prescrizione breve”. Una legge voluta da lui, studiata da Ghedini, formalmente di iniziativa parlamentare (l’hanno firmata l’ex An Gasparri, l’ex Forza Italia Quagliarello, il leghista Federico Bricolo e da ultimo anche Cossiga), fatta di tre soli articoli in cui si stabilisce che per ogni grado di giudizio bisogna sbrigarsela in due anni e se i due anni passano senza che si sia arrivati a sentenza il processo svanisce e tutti tornano a casa. In sé non sarebbe un provvedimento assurdo. Ma stabilisce delle eccezioni e qui il diavolo ci mette la coda. Prima eccezione: bisogna che le condanne massime previste nel procedimento a prescrizione breve siano inferiori a dieci anni. Seconda eccezione: la prescrizione breve vale solo per gli incensurati, per chi è recidivo le prescrizioni continuano a essere quelle di prima. Terza eccezione: per una lunga lista di reati, meticolosamente stampata nel secondo articolo, la prescrizione resta in ogni caso quella di prima. Per esempio nel delitto per associazione per delinquere, nel delitto di sequestro di persona, in certi tipi di furto, nella circonvenzione d’incapace, e così via. Tra questi reati gravissimi c’è però anche l’immigrazione clandestina, che Ghedini ha dovuto inserire per guadagnarsi la firma e il sostegno della Lega.
Problemi Il testo ha suscitato un vespaio di polemiche, un ”assolutamente no” di Bersani, l’annuncio di un referendum da parte di Di Pietro (che deve recuperare una grossa fronda interna capitanata da De Magistris), ma anche obiezioni dall’interno della stessa maggioranza e un sottinteso pollice verso di Fini, che raccoglierebbe a questo punto il frutto di un contrasto lungamente coltivato. Giulia Bongiorno, l’avvocato di Andreotti e fedele al presidente della Camera, s’è detta stupita per la faccenda dell’immigrazione clandestina, messa alla pari, per esempio, del sequestro di persona, quando si tratta di «una semplice contravvenzione peraltro punita con una banale ammenda». Il presidente emerito della Corte costituzionale e già presidente della Rai, Antonio Baldassarre, finiano pure lui, ha sostenuto che si tratta di un provvedimento «imbarazzante» e chiaramente «incostituzionale». Sull’incostituzionalità c’è un largo accordo, a destra e a sinistra: imputati dello stesso processo e degli stessi reati potrebbero godere di prescrizioni diverse, brevi se incensurati, lunghe negli altri casi. Questo confliggerebbe con l’articolo 3 della Costituzione che ci vuole tutti uguali davanti alla legge e che è già servito per divellere il lodo Alfano. E poi: è giusto che una norma «trasformata in legge al massimo entro gennaio» (come pretende il presidente del Consiglio) valga anche per i processi in corso? Dubbi, dubbi e dubbi, che mandano in bestia il Cavaliere, il quale ha voglia di riconsacrarsi con un nuovo voto, ma non osa, e i cui giornali scrivono che Fini, visto che fa il capo di una fazione politica invece che il presidente super partes di Montecitorio, potrebbe/dovrebbe lasciare il vertice della Camera e rimettersi a far politica smettendola di farsi forte di una rendita di posizione di cui deve esser grato solo a Silvio. Intanto il processo sui diritti tv Mediaset, in cui Berlusconi è accusato di aver organizzato un gigantesco giro estero su estero per evadere il fisco, è ricominciato e il presidente del Consiglio ha chiesto il rinvio della seduta sostenendo che deve presiedere il vertice mondiale sulla fame nel mondo, al che il pm De Pasquale ha ribattuto che può benissimo presiedere il vertice nel pomeriggio e intanto farsi interrogare la mattina, eccetera eccetera, uno spettacolo che ci tormenterà per molte settimane a partire da ora, e e di cui nessuno conosce l’esito. Ma lo sbocco caduta del governo/elezioni anticipate è più probabile di dieci giorni fa.
Su Fini «Un uomo dotato di una facoltà negata persino a Dio Onnipotente, quella di far sì che ciò che è stato non sia. Uno che se avesse avuto l’età, si sarebbe arruolato con i torturatori della Rsi. E invece, a leggere il suo libro, neppure è mai stato fascista, bensì ammirato frequentatore delle sale cinematografiche che proiettavano un film sulle gesta dei reparti speciali Usa in Vietnam, Berretti verdi» (Cossiga su Fini e il suo ultimo libro in un’intervista a Roberto Scafuri del Giornale).
Processi La tragedia è che, concentrati sulla prescrizione breve concepita come ”legge ad personam” (e lo è), rischiamo di dimenticarci che le lungaggini processuali sono una realtà tremenda del nostro sistema, una delle principali ragioni per cui l’Italia è un Paese sostanzialmente ingiusto. infatti vero che sei anni per chiudere definitivamente una procedura dovrebbero essere sufficienti e c’è un limite oltre il quale l’amministrazione della giustizia diventa solo persecuzione. Ha senso, per esempio, che un uomo sia imputato oggi per un delitto del 1990 (caso Cesaroni, rinvio a giudizio dell’ex fidanzato la settimana scorsa)? E come giudicare il fatto che la prescrizione breve, se approvata, faccia saltare di colpo centomila processi? Da un lato, è uno scandalo che questi processi saltino e dunque è giusto dire di no a questa legge. Dall’altro è uno scandalo che centomila procedure in corso siano ancora aperte nei due anni + due anni + due anni. Il dettato costituzionale che ci vuole tutti uguali è in realtà già violato, perché per un imputato di Bologna, Torino, Venezia una sentenza in appello arriva in media dopo quattro anni, mentre a Trento ci mette settanta giorni. Quando entreranno in vigore le nuove regole, in 16 corti d’appello su 29 – hanno scritto Andrea Candidi e Giovanni Negri - «le possibilità di chiudere il processo con un nulla di fatto supereranno quelle di arrivare a una sentenza».
Influenza La percentuale di medici che si è vaccinata contro l’influenza suina non supera il 10%.
Luna Sulla parte della Luna sempre in ombra c’è ghiaccio in abbondanza, come ha scoperto l’ultima missione spaziale. Questo rende compatibile il progetto di installare una colonia sul satellite e di procedere lassù all’estrazione di materie prime per noi essenziali e di immagazzinare energia da convogliare sulla Terra mediante immensi specchi-antenna sospesi nel vuoto e girati verso il Sole.
Fame nel mondo A proposito di fame nel mondo, problema grazie al quale domenica scorsa a Roma s’è per la prima volta esibita in un discorso pubblico la moglie di Ahmadinejad, il direttore generale Jacques Diouf chiede 44 miliardi di dollari per aiutare il miliardo e passa di affamati, una somma che pare enorme ma che è pari ad appena il 2% degli aiuti che lo stato americano ha versato a Citigroup per farla stare in piedi e ad appena un quarto dei finanziamenti, chiaramente a fondo perduto, di cui ha goduto, sempre in America, Aig. Le notizie del fine settimana sulla fame si sono intrecciate con quelle dei vertice di Singapore dove i paesi asiatici hanno discusso di clima e inquinamento e dove i due padroni del mondo – i cinesi capeggiati da Hu Jintao e gli americani capeggiati da Obama – hanno fatto sapere che di accordo sul clima e sul taglio di emissioni tossiche per ora non si parla e che il prossimo vertice di Copenhagen sulla materia, previsto per dicembre, dovrà accontentarsi di qualche preambolo foriero – forse – di accordi futuri. D’altronde, su tutti e due i problemi: una forte corrente di pensiero, ancorché minoritaria, è convinta che l’Africa e il Terzo mondo si svilupperebbero meglio senza aiuti e che quindi la Fao sia da chiudere. E un’altra forte corrente di pensiero, ugualmente minoritaria, non crede che il riscaldamento globale sia di origine antropica, cioè che dipenda dalle attività umane. Per costoro tagliare le emissioni sarebbe magari una buona cosa, però inutile.