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 2010  gennaio 04 Lunedì calendario

 la risposta della legge contro la prepotenza, della «democrazia giuridica» contro la «democrazia formale»

 la risposta della legge contro la prepotenza, della «democrazia giuridica» contro la «democrazia formale». la lobby di chi non ha lobby ma ha dalla propria parte il numero, la legge e i tribunali. Nell´America che non conobbe mai «lotta di classe», le «classi» si difendono assaltando pacificamente il potere politico ed economico nei tribunali con la «class action suit», la querela collettiva per danni. Sono le aule di giustizia il legittimo Palazzo d´Inverno americano. Non esiste altra nazione al mondo dove ogni azienda grande o piccola, ogni municipio, ogni agenzia o braccio del governo debba vivere nel terrore di ricevere un giorno l´avviso di essere stata denunciata dai propri dipendenti, consumatori, utenti o clienti. Nessuna «regulation», legge o procuratore proietta sulle aziende un´ombra quotidiana e minacciosa come la «class action suit», che tiene occupati schiere di avvocati e sforna quelle pagine di condizioni legali preventive che chiunque di noi deve sottoscrivere prima di scaricare un programma in Internet, di accendere un prestito o di acquistare un´obbligazione. Almeno 20 milioni di cause per danni individuali o «di classe», collettive, sono depositate ogni anno nei tribunali americani - una per ogni 15 residenti, poppanti inclusi - un´industria che produce, o costa, attorno ai 400 miliardi di dollari e spiega la spaventosa densità di avvocati per chilometro quadrato negli Stati Uniti: un milione e duecentomila, tra sontuosi studi da 700 dollari all´ora, o frazione di ora, a Park Avenue e famelici «cacciatori di ambulanze» in agguato nei pronto soccorso. Non c´è altra nazione dove lavori, o tenti di lavorare, un avvocato ogni 300 abitanti. Ma è nella «azione legale collettiva», nella causa di gruppo, che la ineguagliabile litigiosità americana si esalta e meglio esprime la natura profondamente politica e finanziariamente pratica di questo istituto giuridico che ha nella nuova legge italiana ha una pallida imitazione. Dal 1820, quando le giurisprudenza registra il primo caso di querela di massa contro un generale della Guerra d´Indipendenza, William West, non c´è stato nome illustre dell´economia e del´industria che non abbia dovuto confrontarsi con dozzine, a volte milioni di querelanti. Ne furono colpite società di gestione delle autostrade, come la Century Freeway di Los Angeles, denunciata per i danni causati dal traffico immobile nelle ore di punta nel 1972 e il sindaco di San Francisco, Joe Alioto, accusato di «conflitto di interessi» da migliaia di residenti, nel 1974 (il sindaco fu assolto). L´incidente alla centrale nucleare di Three Mile Island non sfuggì all´azione «di classe» degli abitanti della regione colpiti da possibili malanni da radiazione, e la fuga di liquami e gas letali dallo stabilimento indiano a Bophal della americana Union Carbide costò alla società la cifra, allora record, di 118 miliardi. I cinici, e i legali delle aziende perennemente tenuti sotto scopa dalle possibili cause collettive, accusano l´ingordigia degli avvocati specializzati in questo genere di «litigation» per l´epidemia di querele e ricordano che i soli a guadagnarci davvero sono loro, i legali, pagati a percentuale. Dai 4,4 miliardi di dollari che il tribunale del Maryland assegnò alle migliaia di fumatori danneggiati dalle sigarette, Peter Angelos, l´avvocato che condusse il processo chiese il 25% dei danni, 1,1 miliardi. Con il ricavato, Angelos si regalò una delle più famose squadre di baseball americane, gli Orioles di Baltimora. Si calcola che dei 348 miliardi complessivi inflitti a «big tobacco» dai tribunali, non meno di 50 miliardi siano andati in parcelle di avvocati, che trovano clienti proponendo il patrocinio gratis, retribuito soltanto in caso di vittoria. Formidabile incentivo a sempre nuove azioni. Ma se ingordigia e ambizione motivano studi legali e, a volte, querelanti, attratti dalla doppia pena che i tribunali americani infliggono in caso di colpevolezza - i danni materiali, facilmente quantificabili in mancato reddito e spese, e poi i danni punitivi, lasciati alla valutazione di giudici e giurie popolari - le azioni collettive svolgono una funzione di bonifica e di controllo che il potere pubblico non vuole, o non può esercitare. Le piccole, grottesche precauzioni stampate sui libretti di istruzione di vari prodotti soltanto per coprire il fondo schiena al fabbricante da future cause («non usate trapani elettrici mentre fate il bagno nella vasca», «non guardate la televisione in auto mentre guidate») o l´agghiacciante elenco di possibili effetti secondari sui bugiardini dei medicinali, non possono far dimenticare l´azione eroica e fallita della nipote di un ferroviere nero in South Carolina, a nome di tutti i «colored» trattati come schiavi di fatto dai padroni del vapore. O la battaglia di Erin Brokovich, la madre di famiglia che costrinse la Pacific Gas and Electric Company californiana ad ammettere gli effetti micidiali del cromo che essa scaricava nei canali ed ebbe l´onore di essere interpretata al cinema da Julia Roberts. Tanta parte dell´ecologismo e della battaglia per ripulire acque e terre è dovuta alle azioni collettive intentate da residenti o cittadini colpiti. Ancora in pieno svolgimento, e ben lontana dal concludersi, è la querela di massa per i danni dell´amianto che dozzine di spot televisivi pagati dagli studi legali tengono viva. Dunque il meccanismo della «class action», riconfermato nel 2003 e nel 2005 da leggi del Congresso che ne riconoscono l´importanza sociale sono, dalla prima causa per l´eredità del generale nel 1820 fino al (vano) tentativo di recuperare qualche dollaro dai 65 miliardi rubati dal supermagliaro Bernie Madoff, una manifestazione di democrazia sostanziale. Uno strumento di ricorso e di difesa per il cliente, l´utente, il cittadino che da solo non avrebbe né i mezzi finanziari, né la forza per litigare con le Microsoft e le Apple, con le Att o con le grandi case di Borsa, con il Municipio o con le compagnie aeree quando sono - giustamente come dimostrò un tribunale - sospettate di «price fixing», di accordi segreti per tenere alti i prezzi dei biglietti. Non è la rivoluzione d´Ottobre, e le corti di giustizia non sono la Bastiglia. Ma il pensiero che qualcuno, lassù, trema quando la fa troppo sporca, aiuta a sentirsi un po´ più cittadini. Di fronte a un giudice e a una giuria popolare di nostri «pari», anche i figli di nessuno diventano, se si fanno gruppo, per un giorno la lobby di chi non ha lobby, ma ha dalla propria parte la legge.