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 2010  gennaio 03 Domenica calendario

LE PROFEZIE COLONIALISTE DI UNO SCRITTORE DELL’800



Mi sono imbattuto in alcune letture nella figura di Alfredo Oriani, il quale, propugnando la causa dell’espansionismo coloniale italiano, assunse una posizione che riflette delle analogie con quella di Rudyard Kipling. Qual era, in realtà, il loro punto di vista rispetto alle operazioni coloniali dei loro rispettivi Paesi?
Giorgio Arcadini

Caro Arcadini,
Kipling fu un buon narratore e un seducente poeta. Nato in India, dove esordì come giornalista, seppe interpretare i sentimenti imperiali della Gran Bretagna alla fine del Novecento e creare lo stereotipo di un continente esotico e misterioso che dominò per alcune generazioni le fantasie coloniali dei suoi compatrioti. Oriani fu scrittore politico, oratore, drammaturgo, poeta, non sempre al’altezza delle sue ambizioni letterarie e oggi non più facilmente leggibile. Ma ebbe il merito di rappresentare con una retorica impetuosa e accattivante i sentimenti di amarezza della prima generazionepost-risorgimentale per la mediocrità dell’Italia unitaria, e piaque quindi ai nazionalisti. Nelle sue conversazioni con Yvon de Begnac, pubblicate da Renzo de Felice e Francesco Perfetti presso Il Mulino, Mussolini lo definì «scrittore storicamente avvertito» e «il migliore corsivista del suo tempo». Alcune delle sue opere -«Fino a Doganali», «Lotta politica in Italia», «La rivolta ideale» - furono i libri di culto del nazionalismo italiano agli inizi del Novecento. Ma il suo stile e certe sue riflessioni piacquero anche a Benedetto Croce, a Georges Sorel e a uno storico accademico di grande intelligenza come Gioacchino Volpe.

Il suo messaggio colonialista è nelle ultime pagine di un libro che si intitola per l’appunto «Fino a Dogali» e si conclude con la rievocazione della tragica battaglia in cui una colonna di 500 soldati, comandati dal colonnello Tommaso De Cristoforis, fu sorpresa e annientata dalle truppe abissine di ras Alula nel gennaio 1887. Il libro è un appassionato Zibaldone in cui Oriani, costretto a casa da una ferita alla gamba, toccò temi molto diversi. Cominciò con un lungo profilo di Don Giovanni Verità, il prete patriota che aveva salvato Garibaldi durante il suo passaggio dalla Romagna dopo la caduta della Repubblica romana. Raccontò il brutto incidente occorso all’autore quando cadde di calesse mentre andava a Modigliana per presenziare con una orazione ai funerali di Don Giovanni. Descrisse l’Italia napoleonica e quella dei piccoli Stati unitari creati o restaurati dai trattati di Vienna. Parlò lungamente di religione e politica nella storia della penisola e del contrasto fra sentimento cristiano e politica vaticana durante gli anni decisivi del Risorgimento. Evocò le figure di Garibaldi eMazzini, l’abilità di Cavour, l’opera di Gioberti e Rosmini, la mediocre e pavida politica ancora bisogno, ciò dimostra che loro vivono e si comportano all’opposto di quello che raccomandano a noi «gente comune». Ma ancora più mortificante, soprattutto per chi è in ansia per il posto di lavoro oppure è disoccupato, è apprendere che qualche politico si lamenta perché alle Maldive, dove era in vacanza, è piovuto per una settimana... di Agostino Depretis. Tracciò un quadro storico della Via Emilia e di coloro che l’avevano percorsa. Scrisse un centinaio di pagine sul pensiero di Machiavelli e altrettante sull’Italia del Rinascimento. Cantò le imprese africane dei navigatori e degli esploratori che avevano aperto all’Europa le strade del continente nero. E descrisse infine la battaglia di Dogali con gli occhi e la penna di chi avesse assistito a ogni momento di quello che sarebbe stato, nei suoi auspici, «il primo capitolo della storia mondiale d’Italia». Apparentemente pasticciato e disordinato il libro di Oriani contiene in realtà tutti gli ingredienti e i miti del nazionalismo italiano: le antiche glorie, le ingiustizie patite, le battaglie sfortunate e il desiderio di riscatto. quindi o scavare nel greto o alzare le sponde degli argini. Ma nel nostro Paese, per i soliti rimpalli di norme, vincoli o competenze, ormai non si fa più né l’uno né l’altro! Nella vita di tutti i giorni, in televisione e alla radio si ascoltano sempre più spesso parolacce di ogni genere dette anche da persone influenti e di prestigio. Forse l’educazione in Italia è diventata un’optional?