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 2010  gennaio 03 Domenica calendario

FABIO POZZO

TORINO
Le api sono tornate, almeno in Italia. E la produzione del miele torna ai livelli pre-crisi 2008, quando le scorte crollarono drasticamente. Le previsioni dell’Osservatorio nazionale della produzione e del mercato del miele di Castel San Pietro Terme parlano di oltre 20 mila tonnellate. Crescono, inoltre, nonostante la recessione e la contrazione dei consumi delle famiglie, anche le vendite al dettaglio.
«L’andamento dell’apicoltura è legata anzitutto al clima e quest’anno, salvo casi di moria nel Sud, è andata bene. La sospensione dell’uso dei neonicotinoidi nell’agro-industria ha poi fatto il resto» dice Francesco Panella, presidente dell’Unione nazionale associazioni apicoltotori italiani. Si tratta di insetticidi utilizzati sui campi di mais. «Hanno un effetto sulle api paragonabile a quello del gas nervino sull’uomo».
Sul nesso di causalità tra le stragi d’api del recente passato e i neonicotinoidi la discussione è aperta. «Lo sosteniamo da anni, ma ci rispondono che le procedure scientifiche non ne danno prova. Noi siamo comunque convinti che se tale insetticida non è la prima causa di moria delle api, sicuramente è una concausa» afferma ancora Panella. Anche perchè da quando ne è stato sospeso l’uso le api sono tornate in buona salute. «Per fortuna il ministro delle POlitiche agricole Luca Zaia ha prorogato la sospensione anche per il 2010».
Si diceva della produzione, tornata quest’anno sulla media dei periodi più floridi. In generale. Scendendo poi nello specifico, si scopre che va meglio quella del miele ricavato dall’acacia, meno bene quella legata agli agrumi, mentre è estremamente negativa la produzione di miele di castagno. E ancora, è stato un buon raccolto per il miele da erba medica, per quello da girasole e di melata (grazie proprio alla sospensione dell’insetticida sono rifiorite produzioni che erano scomparse: in Friuli, Veneto, Piemonte e Lombardia), per il millefiori; male quello da eucalipto e tiglio.
Venendo invece al mercato, dove all’ingrosso un chilo di miele da castagno vale dai 3,80 ai 4,40 euro, le grandi transazioni commerciali stanno lievemente riprendendo verve, grazie alla domanda sostenuta, dopo mesi in cui erano state quasi assenti. Il motivo? Le alte quotazioni raggiunte dal miele di tutti i tipi. Prezzi all’origine che, naturalmente, hanno fatto lievitare anche quelli finali al consumatore. «Nonostante gli aumenti, però, le vendite di miele al dettaglio hanno tenuto bene, guadagnando anche qualcosa sul 2008. Le famiglie hanno comprato più miele, è cresciuto l’interesse per questo dolcificante, anche se costa due o tre volte di più ad esempio di una normale marmellata» spiega Panella. Un trend in controtendenza rispetto alla contrazione dei consumi generata dai colpi della grande crisi, che segue quello più o meno di tutti i prodotti biologici. E che, secondo l’Unaapi, dovrebbe mantenersi anche per il 2010.
Resta da capire il perché dell’aumento delle quotazioni del miele all’origine. «La ragione è molto banale. Mentre cresce la domanda mondiale, legata anche alla fame dei Paesi emergenti, come la Cina, la produzione resta ferma, è insufficiente». Le ragioni? «I cambiamenti climatici e l’impatto dell’agro-industria. L’Argentina, tanto per fare un esempio, in passato era arrivata a produrre il 6% del miele globale. Oggi, non ne produce quasi più, per colpa dell’uso degli Ogm. Distese di soja chimicamente resistenti a tutti i parassiti, api comprese».
E in Italia? «I prezzi all’ingrosso risentono delle quotazioni internazionali, perchè importiamo circa il 50% del nostro fabbisogno di miele. E poi, subentrano variabili nazionali: c’è, ad esempio, una maggiore richiesta di miele di acacia e castagno, e ciò incide sul prezzo finale».


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