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 2009  ottobre 29 Giovedì calendario

Il conflitto nello Yemen del nord prosegue, nell’apparente disinteresse della comunità internazionale, determinando un progressivo aggravamento della situazione umanitaria

Il conflitto nello Yemen del nord prosegue, nell’apparente disinteresse della comunità internazionale, determinando un progressivo aggravamento della situazione umanitaria. L’Arabia Saudita sostiene le politiche militari del governo che contribuiscono ad inasprire il conflitto. L’unica soluzione alla crisi dello Yemen è, invece, l’apertura di un negoziato – scrive Gregory D. Johnsen *** A metà agosto, poco prima dell’inizio del Ramadan, il governo yemenita ha lanciato una vera e propria offensiva contro le posizioni dei ribelli nel governatorato settentrionale di Saada. Il governo ha definito l’operazione ”Terra bruciata”, espressione che non lascia spazio ad alcun dubbio circa le sue intenzioni. I combattimenti tra il governo e gli Huthi, appellativo con il quale comunemente è conosciuto il gruppo ribelle, sono stati tra i più feroci dall’inizio del conflitto nel giugno del 2004, quando le forze governative tentarono di arrestare il fondatore del movimento, Hussein Badr al-Din al-Huthi. Il conflitto ha prodotto migliaia di sfollati all’interno del paese e si è diffuso nei governatorati vicini. Le ripetute richieste di aiuti umanitari sono state in gran parte ignorate dalla comunità internazionale, sebbene molti, soprattutto gli Stati Uniti e l’Unione Europea, temano che l’instabilità dello Yemen possa lasciare spazio ad una al-Qaeda in ripresa, per pianificare e lanciare attacchi. Gli Huthi aderiscono ad una setta dell’islam sciita chiamata zaidismo, sebbene gli zaiditi nello Yemen siano tradizionalmente più vicini all’Islam sunnita che al tipo di Islam sciita praticato in Iran, e siano spesso definiti come la ”quinta” scuola dell’Islam sunnita . Dall’inizio dei combattimenti, il governo ha fornito motivazioni diverse per giustificare la guerra, ma a questo punto ritiene che l’esistenza di una regione autonoma governata dagli zaiditi rappresenti una minaccia alla sopravvivenza del regime del presidente Ali Abdullah Saleh. Gli zaiditi di Saada, d’altra parte, si considerano una comunità sotto attacco e in pericolo di estinzione culturale. A partire dagli anni ”80, nel nord vi sono stati combattimenti sporadici tra gli zaiditi e i salafiti di ispirazione wahhabita, i quali hanno distrutto tombe sacre e hanno tentato di convertire i giovani zaiditi. Gli zaiditi hanno risposto con una campagna vigorosa, pubblicando materiale religioso finalizzato a guadagnare sostegno a livello locale, e fondando un’organizzazione giovanile che combina insegnamento teologico e addestramento militare. Il governo è visto come un sostenitore dei salafiti contro gli zaiditi locali. Questo approccio del ”divide et impera” è stato a lungo favorito da Saleh come un modo per far sì che i potenziali gruppi di opposizione dipendessero perpetuamente dal sostegno del governo. A Saada gli zaiditi locali erano generalmente considerati una minaccia maggiore per il governo di quanto non lo fossero i salafiti. Nel 2004 il conflitto passò da una serie di scontri sporadici tra gli Huthi e le forze paramilitari salafite a una guerra aperta. A causa del timore che uno Yemen instabile possa rappresentare per al-Qaeda un rifugio sicuro, gli Stati Uniti e l’UE sono particolarmente interessati alla stabilità dello Yemen, e possono quindi rivestire un ruolo nel tentativo di porre fine al conflitto militare. Gli Stati Uniti, che hanno un’influenza limitata nello Yemen, devono lavorare dietro le quinte per convincere l’Arabia Saudita che la minaccia di una al-Qaeda forte nello Yemen ha la precedenza sui timori relativi all’eventuale fondazione di uno stato sciita sui suoi confini meridionali. L’Arabia Saudita, a sua volta, deve utilizzare la sua notevole influenza a Sanaa per portare il governo yemenita al tavolo delle trattative. Se è vero che tali iniziative costituirebbero una significativa inversione di politica per entrambi i paesi, è altrettanto vero che il silenzio ha finora fatto ben poco per favorire la stabilità nello Yemen. Gli Stati Uniti appaiono riluttanti a spingere lo Yemen verso una soluzione politica della crisi con gli Huthi, per timore che l’eventuale pressione americana scoraggi ulteriormente un alleato già riluttante ad adottare misure contro al-Qaeda, che è vista da molti yemeniti come un problema esclusivamente occidentale. Alcuni temono che se gli Stati Uniti non sosterranno lo Yemen in quella che identificano come la sua ”guerra contro il terrorismo,” il governo yemenita non sosterrà gli Stati Uniti contro al-Qaeda. Il protrarsi del conflitto yemenita ha anche portato ad elaborare giustificazioni per la sua continuazione. Le tribù di entrambe le parti sono state coinvolte nei combattimenti. Coloro che appoggiano gli Huthi lo fanno non per devozione alla teologia zaidita, ma piuttosto come risposta agli errori militari del governo. In effetti, le diverse campagne militari governative hanno creato più nemici di quanti il governo ne avesse all’inizio del conflitto. Come cinque anni di combattimenti hanno dimostrato, non esiste alcuna soluzione militare a questo conflitto. Il governo yemenita ha tentato numerose volte di bombardare gli Huthi fino a farli capitolare, ma senza alcun risultato. Nessuna delle due parti possiede l’influenza politica necessaria per venire incontro alle richieste dell’altra, e alcuni membri di entrambi i gruppi stanno beneficiando finanziariamente di una fiorente economia di guerra. Ma più i combattimenti proseguono, maggiore è la minaccia alla sicurezza regionale. Gli Stati Uniti devono convincere l’Unione Europea e, cosa più importante, l’Arabia Saudita, a presentarsi davanti agli yemeniti come un fronte unito, per convincerli che la fase militare del conflitto è finita, e che è ora di trovare una soluzione politica. Gregory D. Johnsen è stato nello Yemen nell’ambito del programma Fulbright; è attualmente dottorando in studi mediorientali alla Princeton University; gestisce anche un blog sullo Yemen, Waq al-waq