Riccardo Arena, La Stampa 2/1/2010, 2 gennaio 2010
L’associazione dei familiari delle vittime della strage di via de’ Georgofili protesta, Antonio Di Pietro dice che l’anno è cominciato male e nella stessa maggioranza Fabio Granata, finiano del Pdl, vicepresidente della commissione Antimafia, chiede chiarimenti al ministro della Giustizia Angelino Alfano
L’associazione dei familiari delle vittime della strage di via de’ Georgofili protesta, Antonio Di Pietro dice che l’anno è cominciato male e nella stessa maggioranza Fabio Granata, finiano del Pdl, vicepresidente della commissione Antimafia, chiede chiarimenti al ministro della Giustizia Angelino Alfano. Ma per una volta non c’entrano né il guardasigilli né i tribunali di sorveglianza: il boss Giuseppe Graviano, condannato all’ergastolo per le stragi del ’93 a Roma, Firenze e Milano e per gli eccidi del ’92 a Capaci e in via D’Amelio, non ha più l’isolamento diurno per decisione dei giudici ordinari. Rimane comunque al carcere duro, con il 41 bis: potrà però «socializzare» con gli altri detenuti, purché non condannati per fatti di mafia, pranzare e andare all’«aria» in compagnia e non più da solo. A decidere la revoca è stata la terza sezione della Corte d’assise d’appello di Palermo, appena un paio di settimane dopo la «non-deposizione», allusiva e densa di messaggi, che lo stesso boss di Brancaccio aveva fatto l’11 dicembre, al processo contro il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa. Chiamato a confermare o smentire ciò che aveva raccontato il suo ex braccio destro, Gaspare Spatuzza, sui presunti rapporti della mafia con Dell’Utri e col premier Silvio Berlusconi, Graviano aveva detto di stare male e di non essere in condizioni di parlare: «Ma non appena starò meglio, risponderò», aveva concluso. Mentre il fratello Filippo aveva accettato di parlare, smentendo però Spatuzza. Non c’è dietrologia alcuna, nella vicenda: la revoca dell’isolamento, come ha spiegato il legale dell’ergastolano, l’avvocato Gaetano Giacobbe, è dovuta per legge, perché il superboss, detenuto dal 27 gennaio del 1994, in questi sedici anni ne ha già scontati tre, il massimo previsto dalla legge, di isolamento diurno. Che è una misura accessoria alle condanne a vita, per qualsiasi reato, comune o aggravato da fatti di mafia. Il 26 settembre scorso, però, dopo che erano passate in giudicato altre due condanne all’ergastolo (Graviano ne ha una decina), la direzione del carcere milanese di Opera aveva applicato le due sentenze e disposto per lui un altro periodo da trascorrere in totale solitudine. Lo stesso Graviano, in quei giorni sottoposto, assieme al fratello Filippo, a una serie di interrogatori da parte dei magistrati di Firenze che indagano sui mandanti esterni delle stragi, aveva subito proposto un reclamo e nei giorni scorsi i giudici gli hanno dato ragione, con il cosiddetto «incidente di esecuzione». Subito dopo Natale l’isolamento è stato revocato. « scandaloso - dice il presidente dell’associazione intitolata alle vittime di via de’ Georgofili, Giovanna Maggiani Chelli -. Comprendiamo che la Corte ha applicato le leggi, che però in questi anni sono andate troppo spesso in una sola direzione, quella della mafia terrorista. E oggi se ne vedono i risultati». A Firenze, nell’attentato della notte del 27 maggio 1993, avvenuto proprio accanto agli Uffizi, le vittime furono cinque, e tra queste due bambine: una era Nadia, poetessa di 9 anni, cui più volte - pur scambiandola con la sorellina Caterina, che aveva 50 giorni - ha fatto riferimento Gaspare Spatuzza, inteso ’U Tignusu, il calvo, per spiegare le ragioni del proprio pentimento. Nonostante la revoca dell’isolamento diurno, Graviano rimane al 41 bis, che più volte ha cercato di farsi attenuare, ma senza successo. Il carcere duro è cosa assai diversa e molto più pesante: prevede restrizioni nei contatti con l’esterno, dalla censura sulla posta alla limitazione dei pacchi con i ricambi. Gli incontri con i familiari si possono svolgere solo attraverso un vetro blindato, la sorveglianza è continua, per mezzo di telecamere, e le luci rimangono accese in cella 24 ore su 24. Nella lettera-proclama scritta in occasione dell’udienza torinese del processo Dell’Utri, Graviano lamentava un «accanimento ingiustificato» nei suoi confronti. L’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario, il cosiddetto carcere duro, fu introdotto nell’86 per fronteggiare eventuali situazioni di rivolta o emergenza nelle carceri. Dopo la stage di Capaci in cui perse la vita Giovanni Falcone, nel 1992, fu introdotto un comma che da allora rende possibile l’applicazione del regime speciale anche ai detenuti per reati di criminalità organizzata. E di 41 bis di è parlato più volte negli ultimi mesi, in relazione alle pressione dei boss sulla politica per fare cancellare la norma. Stampa Articolo