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 2010  gennaio 02 Sabato calendario

DAL NOSTRO INVIATO

NEW YORK - Come reagireste se la vostra fabbrica andasse in crisi perché i rivali cinesi invadono il vostro mercato quadruplicando le esportazioni grazie al vantaggio di una valuta dal valore bloccato per legge? Nel mondo globalizzato, si sa, succede ancora questo. Perché la Cina che il presidente Barack Obama ha corteggiato nell´ultimo viaggio in Asia sarà anche una «grande potenza finanziaria e commerciale: ma non si muove come le altre grandi economie». Lo dice sul New York Times un premio Nobel che pure è un grande supporter del presidente: Paul Krugman. L´economista ha calcolato che il nuovo "mercantilismo cinese" - con lo yuan fermo per legge al valore di 6,8 rispetto al dollaro e il boom delle esportazioni - costerà all´economia americana nei prossimi due anni la perdita di 1,4 milioni di posti di lavoro. Un´ecatombe. Ma i numeri forniti dalle grandi imprese americane dell´acciaio non sono previsioni: sono dati reali. E parlano di 5.800 posti di lavoro persi solo nel 2008.
Ora che l´Itc, l´International Trade Commission ha deciso di rispondere all´offensiva applicando la politica dei dazi, l´industria americana naturalmente applaude. La decisione, sollecitata dalle grandi organizzazioni sindacali, è arrivata alla vigilia di Capodanno: gli Stati Uniti applicheranno dazi dal 10 al 16 per cento sui tubi d´acciaio made in China. Un´iniziativa economica dal valore politico durissimo. Il ministro del commercio ha subito accusato gli States di fare della Cina «il capro espiatorio dei suoi interessi protezionistici». Gli Usa denunciano gli import quadruplicati nel giro di due anni: da 681 milioni di dollari a 2,8 miliardi. Ma i cinesi replicano sostenendo che la decisione dell´Itc è «sbagliata e ignora la ragione fondamentale» della caduta della domanda dei tubi d´acciaio americani: i tubi sono usati soprattutto nell´industria del gas e del petrolio e il collasso dei prezzi dell´oro nero ha generato una caduta globalizzata della domanda.
La lezione di economia si scontra con la realtà del cambio bloccato: ma sono le prossime mosse dei contendenti a preoccuperà. Sia Stati Uniti e che Unione Europea hanno più volte spinto la Cina a rivalutare la propria moneta per impedire che le esportazioni possano godere di questo vantaggio. Ma proprio questa settimana il governo cinese ha risposto duro che «ogni decisione su metodo, contenuto e tempistica della riforma dei cambi» verrà presa «secondo le nostre necessità di sviluppo». Ora la guerra dell´acciaio infiamma ancora di più gli animi. Come reagirà Pechino?
Tra la Cina e gli Usa c´è un piatto da 409 miliardi di dollari di scambi commerciali in gioco. Già a settembre era scoppiata un´altra guerra con la decisione americana di alzare i dazi sull´import degli pneumatici la cui invasione (1,85 miliardi di copertoni made in China) aveva messo in ginocchio la già traballante industria dell´auto. Minacce di rappresaglia, accuse, controaccuse. Era toccato a Obama promettere al collega Hu Jintao proprio durante la sua visita a Pechino di lavorare per superare le frizioni nel commercio. Ora il governo cinese dice che la mossa Usa è «il velo di gelo sulla cima della neve». Espressione cinesissima e non proprio un augurio di Capodanno: significa che un disastro tira l´altro.