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 2010  gennaio 02 Sabato calendario

Si cominciò negli Usa per un’auto difettosa di Marco Sodano per la Stampa - Dicono che negli Stati Uniti, se un automobilista che ha alzato un po’ troppo il gomito sfascia l’auto finendo fuori strada, il giorno dopo fa causa a tutti

Si cominciò negli Usa per un’auto difettosa di Marco Sodano per la Stampa - Dicono che negli Stati Uniti, se un automobilista che ha alzato un po’ troppo il gomito sfascia l’auto finendo fuori strada, il giorno dopo fa causa a tutti. Nell’ordine: al produttore di birra per la sbronza, al gestore della strada perché il guard rail gli ha distrutto la macchina, al costruttore dell’auto perché ha sbandato, e alla polizia dello Stato perché non lo ha fermato impedendogli di fare un disastro. Su quattro ne vince tre. La storiella esagera, ma spiega bene perché le cause colletive sono la bestia nera dell’industria americana. Anche la class action ha la sua brava data di nascita, legata alla storia della tutela dei consumatori. Bisogna risalire al 1965 e spostarsi negli Stati Uniti: quell’anno l’avvocato Ralph Nader mise sotto accusa un’automobile prodotta da General Motors, la Chevrolet Corvair, con la pubblicazione di un libro intitolato «Unsafe at any speed» («Insicura a qualsiasi velocità»). Apriti cielo: toccare una delle big di Detroit. Al quartier generale di Gm decisero di procedere con una causa. Citarono Nader per diffamazione e - non ci avrebbe scommesso nessuno - la casa automobilistica perse e fu anche condannata a risarcire l’avvocato e a fargli pubbliche scuse. grazie a quella prima causa pilota se sulle automobili che guidiamo oggi si sono via via imposti come standard una serie di impianti di sicurezza che, nell’adolescenza delle quattro ruote, erano soltanto optional: le cinture di sicurezza, i paraurti rinforzati, l’obbligo per i produttori di procedere ai crash test durante le fasi di collaudo. La vittoria di Nader aprì la strada delle aule di tribunale a migliaia di suoi colleghi, pronti a far valere di fronte al giudice i diritti dei consumatori. Così oggi le cause civili per danni sono diventate una delle più grandi industrie d’America e lo spauracchio delle multinazionali. Un prodotto difettoso, un ingrediente nocivo, una disattenzione nell’imballaggio possono equivalere a clienti che si ammalano o si infortunano: non c’è nulla che le grandi imprese americane temano di più. successo con le auto, con gli elettrodomestici, con i grandi produttori di sigarette. Tra i casi che hanno fatto più rumore, i procedimenti avviati da alcuni ex fumatori contro le multinazionali del tabacco Philip Morris e Reynolds: alcuni di quei processi si sono conclusi con condanne a risarcimenti di miliardi di dollari. Certo nel sistema americano la causa collettiva è decisamente più ardua per le imprese. Anzitutto perché c’è una giuria popolare: chi decide è più portato a solidarizzare con i promotori delle cause - gente della strada incappata in brutte sorprese - che non con i grandi industriali. In secondo luogo perché nell’ordinamento giuridico c’è un elemento fondamentale: il «punitive damage» o indennità punitiva. La legge prevede che quando il tribunale ha stabilito la responsabilità di un’impresa per un prodotto difettoso, insicuro o nocivo alla salute, la giuria possa stabilire un risarcimento molto più alto del puro danno economico subito dall’acquirente. Questo perché il risarcimento oltre a riparare le sofferenze materiali della parte lesa deve ripagare anche quelle morali. E soprattutto, deve servire a scoraggiare comportamenti delittuosi o irresponsabili da parte delle aziende. Poche migliaia di dollari, con una multinazionale, non bastano.