Guido Compagna, Il Sole-24 Ore 31/12/2009;, 31 dicembre 2009
QUANDO NENNI MALATO SI ALZ PER BETTINO
Sarebbe morto pochi giorni dopo, ma Pietro Nenni a quel Comitato centrale del 20 dicembre del 1979, mentre i demartiniani di Enrico Manca e i lombardiani di Claudio Signorile e Fabrizio Cicchitto cercavano di rovesciare la segreteria di Bettino Craxi, c’era voluto andare. Era stanco e malato. A mezzanotte lasciò la riunione, non ce la faceva più fisicamente, ma prima chiese ai compagni a lui più vicini di richiamarlo a casa se ci fosse stata la conta e il suo voto fosse necessario per sostenere la segreteria. Non ce ne fu bisogno, perché Gianni De Michelis lasciò i lombardiani e si schierò con Craxi.
Fu l’ultima partecipazione politica del grande leader socialista. Pochi giorni dopo, nella sua casadipiazzaAdriana,il1?gennaio del 1980, Nenni moriva. Fino all’ultimo aveva affrontato i drammi della politica, da lui stesso definita, in un’intervista televisiva a Sergio Zavoli in occasione dell’unificazione del 1967, «il più grande fatto umano». E Nenni di umanità ne aveva tanta e di politica ne aveva fatto altrettanta. Spesso sbagliando (da giovanissimo, quando aveva fondato assieme a Leandro Arpinati il fascio di combattimento di Bologna; da più grande quando sostenne la politica frontista). Ma, accanto agli errori, Nenni dimostrò sempre grandi capacità di recupero. Proprio con la politica, passo dopo passo, riusciva a ritrovare il passo e la posizione giusta, senza mai poter essere accusato di trasformismo.
Con Mussolini era stato anche in carcere, dopo che entrambi erano stati arrestati per le proteste contro la guerra in Libia. Nel 1921 aderì al Partito socialista italiano e la sua battaglia antifascista cominciò da subito. Tant’è che già nel 1926 fu costretto dal regime a emigrare in Francia. Partecipò alla guerra di Spagna contro le falangi franchiste. In quell’occasione fu nominato commissario politico nelle brigate internazionali. In Italia aderì alla Resistenza e, dopo essere stato confinato a Ponza, riuscì a liberarsi e a trasferirsi a Roma (per un periodo fu nascosto, grazie anche a papa Pacelli, in San Giovanni in Laterano) e con Saragat, Pertini e Basso riunì tutti i socialisti nel Partito socialista di unità proletaria. Suoi i trascinanti slogan sul «vento del nord» nella guerra di liberazione e «la repubblica o il caos» alla vigilia del referendum istituzionale.
All’indomani del fascismo Nenni scelse la politica frontista e il patto di unità d’azione con il Pci di Palmiro Togliatti, convinto che le divisioni tra socialisti e comunisti avessero favorito l’affermarsi del fascismo. Per questo subì la scissione di Saragat che nella primavera del 1947 dopo larottura dell’unità antifascista, diede vita al Psli che poi sarebbe diventato il Psdi. In quegli anni (siamo nel 1951) a Nenni viene anche assegnato il premio Stalin da parte dei sovietici. Con il dittatore georgiano ebbe anche un incontro privato. E fu così l’ultimo politico occidentale a vederlo prima della morte. Nel ’56 (anno della rivolta di Budapest) Nenni restituì il premio e donò la somma ricevuta alla Croce rossa internazionale. Era cominciato il suo cammino verso l’autonomia socialista prima e verso la politica e i governi di centro-sinistra poi.
La scelta antifrontista di Nenni passò con molte difficoltà nel Psi, attraverso i congressi di Torino e di Venezia. Gli autonomisti erano maggioranza, ma intanto si era formata la sinistra interna dei cosiddetti "carristi" (per il sostegno ai carri armati sovietici in Ungheria) che nel 1964 uscirà dal Psi per dar vita al Psiup. Ma anche all’interno della maggioranza Nenni incontrò più di una difficoltà per le resistenze dell’apparato morandiano che, successivamente, ebbe come punto di riferimento Francesco De Martino. E, in occasione dell’unificazione con il Psdi, alla quale Nenni aveva puntato con grande decisione, dopo l’elezione di Saragat alla presidenza della Repubblica, i contrasti tra Nenni e De Martino divennero palpabili. Il professore napoletano era diffidente sull’unificazione e parlava di «tempi lunghi»; mentre il più anziano leader di Faenza voleva «tempi strettamente necessari». Sui tempi prevalse Nenni, ma sul resto prevalsero De Martino e Tanassi, e così il grande sogno di Nenni e Saragat cominciato a Pralognan, si dissolse in breve tempo dopo il risultato negativo delle elezioni politiche del ’68.
Fin che potè Nenni sostenne la politica di centro-sinistra, e ne difese i governi, subendo molte critiche e accuse di cedimento alla Dc, soprattutto dopo «il rumore di sciabole» da lui stesso denunciato in occasione del tentativo di golpe del generale De Lorenzo nel ’ 64. Nenni vide anche con favore la svolta del Midas e l’approdo di Bettino Craxi alla segreteria del Psi. Tuttavia il vecchio leader socialista capì, anche prima dell’inizio del craxismo, i rischi degenerativi che correva la vita interna del Psi. In un discorso al congresso, l’ultimo al quale avrebbe partecipato, disse dalla tribuna: «Siamo diventati in partito degli assessori».
Nenni ebbe vide due suoi compagni, Saragat e Pertini, salire alla più alta magistratura dello Stato, la presidenza della Repubblica. In Intervista con la storia Oriana Fallaci scrisse: «Sarebbe stato uno splendido presidente della Repubblica e ci avrebbe fatto bene averlo al Quirinale, ma non glielo permisero, non ce lo permisero. I suoi amici prima ancora dei suoi nemici».