Giuseppe Parlato, Libero 31/12/2009, 31 dicembre 2009
La fuga del Re concordata coi tedeschi di Giuseppe Parlato per Libero - L’8 settembre, poco prima del giornale radio delle 20, gli italiani seppero che il governo aveva chiesto l’armistizio agli Alleati e che la richiesta era stata accolta: la voce era quella del capo del governo, il maresciallo Badoglio, ma si trattava di un disco registrato diverse ore prima, sicuramente prima dell’incontro che il Re ebbe con l’ambasciatore tedesco a Roma, Rahn, durante il quale Vittorio Emanuele aveva rassicurato il tedesco che l’Italia non avrebbe mai mancato alla parola data
La fuga del Re concordata coi tedeschi di Giuseppe Parlato per Libero - L’8 settembre, poco prima del giornale radio delle 20, gli italiani seppero che il governo aveva chiesto l’armistizio agli Alleati e che la richiesta era stata accolta: la voce era quella del capo del governo, il maresciallo Badoglio, ma si trattava di un disco registrato diverse ore prima, sicuramente prima dell’incontro che il Re ebbe con l’ambasciatore tedesco a Roma, Rahn, durante il quale Vittorio Emanuele aveva rassicurato il tedesco che l’Italia non avrebbe mai mancato alla parola data. L’armistizio, com’è noto, era stato firmato segretamente il 3 settembre, ma esso avrebbe dovuto essere comunicato soltanto dopo uno sbarco alleato a nord di Roma, per evitare assai probabili ritorsioni tedesche contro l’Italia. Il panico dei vertici Quando fu chiaro che lo sbarco sarebbe avvenuto a Salerno l’8 settembre e che gli Alleati pretendevano che la comunicazione dell’avvenuto armistizio fosse data contestualmente, i vertici politici e militari italiani entrarono nel panico. Nacque così l’idea del ”trasferimento” della corte e del governo italiani a Sud, in una zona controllata dagli Alleati. Un ”trasferimento” che diventò subito, nella comune interpretazione popolare, la ”fuga di Pescara”. Alle cinque del 9 settembre, dal Quirinale, partì il piccolo corteo reale formato da cinque autovetture; per tutta la mattinata lasciarono Roma altre vetture, sulle quali presero posto membri del governo e capi militari. Tutti fecero la stessa strada, la via Tiburtina Valeria: il corteo reale raggiunse Chieti verso le dieci e le altre auto seguirono durante l’intera giornata del 9 settembre. Tutto sarebbe chiaro, se non ci fosse un piccolo dettaglio. I tedeschi, che già sapevano, come tutti, dell’armistizio, avrebbero lasciato passare un così importante corteo senza muovere un dito? Anzi, i vari posti di blocco presso i quali le auto dovettero fermarsi lungo il tragitto, furono superati agevolmente. Ci si accorse che i tedeschi, che controllavano capillarmente i dintorni della Capitale, non avevano predisposto alcuna particolare sorveglianza su quella importante via consolare: in realtà, l’unica libera. Al giornalista Ruggero Zangrandi, ex fascista di sinistra, compagno di scuola e amico del figlio del Duce, Vittorio, poi comunista e autore di saggi storici sul 25 luglio e sull’8 settembre, venne un’idea, basata semplicemente sull’intuizione. Sicuramente ai tedeschi interessava che il Re lasciasse Roma, ma la cosa che interessava di più era che Roma fosse lasciata senza difese. Un accordo a questo punto era possibile: i vertici italiani avrebbero lasciato indisturbati la Capitale e i tedeschi non avrebbero avuto difficoltà a controllare la città dopo la loro partenza. Un’ipotesi, questa, che la storiografia ha sempre considerato con molta perplessità. In fondo ai tedeschi (e a Kesselring in particolare) faceva comodo togliersi il problema del sovrano e forse lo avrebbero fatto anche senza contropartite. ’Nuova Storia Contemporanea” (rivista diretta da Francesco Perfetti) torna sull’argomento, nel fascicolo ora in libreria, con la pubblicazione di un carteggio e di una testimonianza dell’ingegner Franco Manaresi, dai quali emerge il ruolo determinante svolto nella vicenda dal colonnello delle SS Eugen Dollmann. Non è la prima volta che se ne parla, ma in questo documento si evidenzia come il colonnello tedesco avrebbe avuto l’idea di uno scambio con i vertici italiani: ne era informato il solo Kesselring, che aderì all’idea, mentre né Hitler né i capi tedeschi in Italia (Rahn, Wolf ecc.) erano stati messi al corrente dell’operazione. Corteo ”distratto” Dollmann, in questo documento, non ne parla, ma c’è un altro problema irrisolto a latere della fuga dei reali, ed è il problema Mussolini, il quale era in quel momento detenuto sul Gran Sasso. La Tiburtina Valeria passa non distante in linea d’aria da Campo Imperatore e sarebbe stato logico ricuperare il prigioniero e consegnarlo, come da accordi internazionali, agli Alleati. Invece il corteo si ”dimenticò” di Mussolini, che Badoglio avrebbe preferito morto piuttosto che prigioniero degli angloamericani, ai quali l’ex capo del governo avrebbe potuto raccontare diversi particolari sui membri del nuovo governo, ovviamente a cominciare dallo stesso Badoglio. Anche Zangrandi aveva notato questa ”dimenticanza” e l’aveva inserita tra le condizioni poste dai tedeschi perché il Re e il governo potessero lasciare Roma. Il documento di Franco Manaresi getta quindi nuova luce sulla questione, in qualche modo la riapre, ponendo nuovamente il problema nelle mani degli storici alla ricerca di una conferma di un’ipotesi che appare logica e verosimile.