Giancarlo Bocchi, il Fatto Quotidiano 31/12/2009;, 31 dicembre 2009
SOMALIA, AL QAEDA E L’OBIETTIVO DEL TERRORE
Molti governi vorrebbero vederla cancellata dalle carte geografiche. E invece la Somalia resuscita periodicamente dal waterboarding praticato dalla comunità internazionale con raccapriccianti interrogativi sulla sua esistenza. L’ultimo lo ha posto prepotentemente di recente. A Mogadiscio un terribile attentato dinamitardo, attuato da una giovane kamikaze somalo- danese del gruppo islamista di Al Shabaab, ha provocato la morte di 22 persone e il ferimento di molte altre: tra le vittime quattro ministri del governo transitorio, alcuni medici e numerosi studenti. stato un attentato contro il governo provvisorio, ma anche contro la società civile, contro tutti quelli che ogni giorno si battono per uscire dal caos ventennale e per ridare speranza alla popolazione martoriata da un conflitto senza fine. Nei giorni scorsi ci sono stati altri inquietanti segnali. L’evoluzione verso il peggio della drammatica situazione somala potrebbe diventare inarresta bile. Prima un attentato dinamitardo, con diversi feriti, nella relativamente tranquilla regione del Puntland e, negli ultimi giorni, degli scontri dai contorni oscuri a Galkajo, la Berlino dell’Africa orientale divisa tra due clan opposti, che hanno provocato dieci morti, fanno pensare a nuove imminenti azioni di conquista del movimento islamista legato ad Al Qaeda, che ormai controlla il 70 % del territorio centro-meridionale e gran parte della capitale Mogadiscio. Il recente massiccio rilancio dell’azione militare in Afghanistan da parte di Barak Obama, propone inquietanti interrogativi, per lo più pessimisti, non solo sugli esiti ancora imprevedibili del conflitto, ma anche sulle strategie statunitensi-europee nelle diverse aeree di conflitto. La situazione in Somalia è forse meno drammatica e meno pericolosa di quella nel suo gemello asiatico? In realtà tra i due Paesi martoriati da conflitti insoluti, le analogie sono molte. In entrambi l’influenza di Al Quaeda sui movimenti islamisti (talibani da un parte e shabaabiti dall’al - tra) è stata altissima. L’obiettivo centrale dei salafiti è di fondare i primi due califfati panislamici al mondo. I guasti di guerre civili etnico-clanistiche hanno poi formato sia in Afghanistan che in Somalia una nuova classe, quella dei ”signori della guer ra”, i warlord, oggi equamente divisi tra il fronte occidentale e quello islamista. Con azioni efferate e criminali (dal traffico di droga alla pirateria internazionale) in entrambi i Paesi da anni i warlord bloccano ogni possibile sviluppo democratico e civile. Afghanistan e Somalia sono stati anche vittime delle follie dei ”dottori stranamore” delle diverse amministrazioni statunitensi. In Afghanistan, dopo aver supportato e finanziato in chiave antisovietica warlord come Gulbudin Hekmatyar (oggi fedele alleato dei talebani), gli americani negli anni ”90 hanno finanziato gli stessi talebani, ossia la nascita del radicalismo islamico, attraverso l’Isi, il servizio segreto pakistano. E come sappiamo Osama Bin Laden fu (o è ancora) gradito ospite dei talebani stessi. L’INTERVENTO DEGLI STATUNITENSI In Somalia gli americani non hanno fatto di meglio. Non si può certo dimenticare la disastrosa avventura degli anni ”90 della missione Unosom a guida americana, che finì per aggravare i problemi del Paese e legittimare come eroi popolari dei briganti da strada come il generale Aidid o come ”il presidente ” Alì Mahdi. Dopo il disastro di ”Restore hope”, nel 2006 gli americani sono nuovamente intervenuti con mano pesante finanziando i warlord somali (anche alcuni ex nemici del 1992) per togliere di mezzo le Corti islamiche di Mogadiscio. Risultato? I warlord sono scappati con i soldi americani e le Corti islamiche hanno ricevuto, anche grazie al consenso della popolazione stanca di essere taglieggiata, un’insperata legittimazione politica. Occorre anche ricordare il successivo intervento militare etiopico del dicembre 2006, sponsorizzato dall’amministrazione americana, che ha provocato migliaia di morti (alcune fonti parlano di 20mila morti) e centinaia di migliaia di profughi. Se prima dell’intervento etiopico, Al Shabaab controllava alcune porzioni di Mogadiscio e contava qualche creacentinaio di affiliati, oggi, grazie agli errori del fronte americano-europeo, l’or ganizzazione islamista controlla grandi città come Kisimaio, gran parte di Mogadiscio, e il 70% della Somalia centro meridionale. I talebani e Al Shabaab promettono poi le stesse cose: ordine, eliminazione della corruzione, giustizia islamica. Impegni che fanno presa sulle popolazioni più povere e meno istruite di Paesi in guerra da anni. Mentre l’Afghanistan confina con l’Iran, le Repubbliche ex sovietiche, il Pakistan, la Cina, con l’enorme serbatoio di gas naturale del Turkmenistan, la Somalia non può vantare la stessa appetibilità strategica. Così negli ultimi otto anni in Afghanistan sono stati inviati più soldati, più carri armati, più aerei che libri di scuola e aiuti economici. E in Somalia? Non sono stati inviati neanche i libri di scuola. Le democrazie occidentali hanno per lo più scacciato l’incubo di un possibile coinvolgimento diretto nell’infer no somalo riparandosi dietro il carrozzone dell’O nu : un’organizzazione ”morta a Sarajevo”, ma con un fantasma che continua produrre danni in sia Afghanistan che in Somalia. Così un secondo fenomenale baratro dai contorni indefiniti, dopo quello afgano, si è ormai aperto nel Corno d’Afr ica tra l’indifferenza generale. Sicuramente nelle prossime settimane Al Shabaab non si fermerà ai confini centro-meridionali somali. Fonti riservate sostengono che da giorni gli etiopici stanno segretamente ammassando contingenti nei dintorni dell’aeroporto di Galkajo nel centro-ovest della Somalia per bloccare gli islamisti. Anche i miliziani somali di fede musulmano-sufi delle regioni centro-settentrionali, che vedono negli Al Shabaab salafisti i peggiori nemici, si stanno preparando all’ultima difesa. Ma chi sono i misteriosi Al Shabaab che hanno l’intenzione di conquistare l’intera Somalia? Nati da una costola delle vecchie Corti islamiche di Mogadiscio del 2006, questi ”g iovani” islamisti (Shabaab è una parola mediata dall’arabo che vuol dire ”g iovani”) finanziati inizialmente da uomini d’affari somali e stranieri per riportare un po’ d’ordine nei commerci, nel corso degli anni si sono rafforzati militarmente e politicamente con l’aiuto di Al Quaeda, dell’Eritrea e con il sostegno finanziario di ricchi imprenditori arabi. Come i talebani, quelli di Al Shabaab sono stati accusati di orrendi crimini, dell’assassinio di religiosi e operatori umanitari, di praticare le mutilazioni degli arti, di decapitare gli oppositori. Dopo la morte del leader storico Adan Hashi Farah detto "Aeru", ucciso il 1° maggio 2008 in un raid aereo statunitense, il nuovo condottiero dei ”g iovani” è un giovane del nord, un religioso mingherlino del Somaliland: Ahmed Abdi Godane (alias Mukhtaar Abu Zubeir ed altri mille nomi di battaglia) trentenne del clan Dir-Isaac. Già studente di una scuola coranica pakistana, assiduo frequentatore dell’Afghanistan dei talebani, predicatore nelle moschee di Burao, la capitale religiosa dell’oltranzismo islamico somalo, ha impresso una svolta decisiva all’or ganizzazione militare-politica islamista. Affiancato nel comando da altri somali del nord, oltre a perseguire il superamento della logica clanistica presente nelle prime Corti islamiche (che erano composte in gran parte da appartenenti clan Hawiye) Godane vorrebbe superare il ”nazionalismo” per diventare punto di riferimento internazionale del progettato ”califfato somalo” panislamista. Questa specie di ”mad mullah” (il mullah pazzo), il condottiero del nord che tra l’800 e il ”900 fece impazzire per vent’anni i colonialisti britannici e italiani, guida un’armata stimata tra i 3mila e gli 8mila moryaan, rinforzata da una legione straniera - pare comandata da un ex-ufficiale dell’e s e rc i t o pakistano - tra i 500 e i 1000 uomini (pakistani, arabi, iuguri, sauditi, ceceni). Di recente Godane ha rotto politicamente, e anche militarmente, con il suo padre spirituale, l’ex colonnello di Siad Barre, lo ”sceicco” Hassan Dahir Aweis, fondatore delle Corti islamiche e del partito oltranzista Hizbul-Islam, già sodale del ”santone” Shek Sharif Shek Ahmed, oggi passato al fronte occidentale dopo che gli è stata regalata su un piatto d’oro la nomina a presidente del governo transitorio somalo. Ma Godane, oltre a rompere con Hassan Dahir Aweis, ha chiuso i rapporti anche con il despota eritreo Isaias Afewerki, fomentatore e finanziatore da sempre di tutti i sommovimenti in chiave antietiopica. Per ora Godane è saldamente al potere, ma Al Shabaab è un movimento fluttuante che potrebbe riservare sorprese, esprimere nuovi leader anche provenienti dall’ e s t e ro . Una guerra costa molto ma Al Shabaab è considerata un ottimo pagatore. Grazie a finanziamenti che paiono illimitati fa proselitismo e ha un largo consenso popolare. L’ORIGINE DEI SOLDI Ufficialmente l’organizzazione incassa quattrini dalle tasse imposte nei territori che controlla e con i dazi sui porti di Merka, Barawa e Kisimaio (solo quest’ultimo rende circa 1 milione di dollari al mese). In realtà le maggiori risorse sono d’origine molto più misteriosa. Pare certo che Al Shabaab abbia stretto un accordo con i pirati del centro-sud di etnia Hawiye, che si definisco i ”mujaheddin del mare”, oggi molto più attivi dei pirati tradizionali con basi nel Puntland. Anche se i servizi segreti di mezzo mondo non sono ancora riusciti a districare il complesso groviglio finanziario nascosto tra le rimesse dei somali della diaspora ai loro congiunti in patria (sono cifre impressionanti sulle quali campano ogni giorno 8 milioni di somali) si sospetta che i fondi di Al Shabaab provengano in larga parte da imprenditori sauditi, di stretta osservanza salafita, che hanno da tempo importanti interessi nelle telecomunicazioni e nell’import-export in Somalia. Sull’altro fronte, quello delle democrazie occidentali, è invece bancarotta: l’Unione europea ha versato solo il 20% dei 300 milioni di euro promessi al governo somalo e non paga lo stipendio ai militari della Forza Africana di peacekeeping da sei mesi. L’Undp (agenzia dell’Onu) non versa il salario ai poliziotti governativi da 18 mesi e ai funzionari del governo e ai deputati al parlamento da sei mesi. Malgrado gli impegni non mantenuti degli occidentali, che demoralizzano e gettano lo sconforto tra i difensori del governo voluto dalla comunità internazionale, l’Onu, oltre a mantenere un esercito di 2mila funzionari dediti, secondo le critiche ricorrenti e riservate di diplomatici europei, agli sprechi e ai lussi di Nairobi, organizza improbabili seminari e conferenze dove una selezionata elite somala riceve gettoni di presenza tra i 200 e gli 800 dollari al giorno. Inoltre il governo, imposto dall’alto, è oramai al tracollo, è malvisto dai somali della diaspora e dalla società civile per un’innegabile tendenza all’islamismo (ha reintrodotto la sharia, la legge islamica). La forza africana di peacekeeping di fronte a un attacco massiccio di Al Shebaab potrebbe polverizzarsi in poche ore. L’incubo che i guerrieri di Godane, che sognano l’aldilà, risalgano verso nord conquistando prima il Galguduud e subito dopo il Somaliland e il Puntland, le regioni natie dei suoi comandanti più in vista, con la fine nei prossimi giorni della stagione delle piogge è ormai un pericolo imminente. Le democrazie occidentali non hanno nessuna voglia di portare la ”c ro c e ” della Somalia: la ”balcanizzazione” di fatto del Paese in 3-4 entità - Somalilad, Puntland, Somalia centrale e il califfato islamico Shabaab nel centro sud – è ormai una realtà. Se però Al Shabaab conquistasse l’intero Paese, l’incubo dei talebani afgani sarebbe poca cosa di fronte all’inevitabile propagarsi del radicalismo islamico oltre i confini della Somalia, storica cerniera tra modo arabo e mondo africano. E proprio lì vicino, nello Yemen, altri raggruppamenti di Al Quaeda attendono impazientemente di saldarsi con i somali.