Mattia Feltri, la Stampa 31/12/2009, 31 dicembre 2009
Quella via topomastica al consenso di Mattia Feltri per la Stampa - La via toponomastica al consenso ogni qualche mese si concentra sul nome di Bettino Craxi, se sia degno d’intitolare un corso o un giardinetto, anche tenuto conto della fedina penale, e tenuto conto che a cadavere caldo il governo D’Alema offerse funerali di Stato
Quella via topomastica al consenso di Mattia Feltri per la Stampa - La via toponomastica al consenso ogni qualche mese si concentra sul nome di Bettino Craxi, se sia degno d’intitolare un corso o un giardinetto, anche tenuto conto della fedina penale, e tenuto conto che a cadavere caldo il governo D’Alema offerse funerali di Stato. Ad Antonio Di Pietro, capofila degli oppositori, è stato ricordato ieri da Giuliano Cazzola che le ”via Craxi” sono già sette in tutta Italia, e si può aggiungere che città come Arezzo e Roma (e altri paesotti) hanno incardinato la pratica. Roma, soprattutto, che è stranamente risucita a scampare alla polemica. A luglio Gianni Alemanno annunciò nell’annoiato silenzio che la procedura era partita e contava di intestare a Craxi la strada di una delle ville storiche di Roma entro il 2010. Cioè adesso. In realtà per Alemanno i guai erano saltati fuori al giro precedente quando dichiarò che avrebbe inserito nel Tuttocittà Craxi ma anche Enrico Berlinguer, Amintore Fanfani e soprattutto Giorgio Almirante. La solita schermaglia risparmiò Craxi per impegnarsi sul leader postfascista, ma naturalmente pure ”via Almirante” non è un indirizzo inedito: se ne scovano nel Lazio e nelle Marche, per esempio. E forse ci aveva visto giusto Fausto Bertinotti quando nel gennaio del 2007, da presidente della Camera, si disse «contrario a trasformare le vie del paese in un pantheon». Si dibatteva della solita via Craxi, naturalmente. E qualcuno tirò fuori (allora e in precedenza e in seguito) che l’Italia è un paese che ospita via Stalin, sebbene in un paio di piccoli e irriducibili comuni siciliani, quando persino la Cina, tredici anni fa, levò l’ultima via Stalin, sopravvissuta nella municipalità di Changchun. E dunque si lavora per il consenso e si lavora per il pantheon, e ci sono città che sembrano le pareti della cameretta di un adolescente: la leggendaria Campobello di Licata (Agrigento) nello spazio di qualche isolato offre via Stalin, via Mao Tze Tung, via Lenin, via Che Guevara e via Ho Chi Minh. Sarebbero indirizzi da tutelare come panda ma se via Stalin e via Mao sono rarità, via Lenin e via Tito sono diffusi ovunque, e per esempio Roma ha via Lenin e largo Lenin, ed Ernesto Galli della Loggia chiese vanamente a Walter Veltroni, quand’era sindaco, di ribattezzarli. Per i cultori della memoria fu una fortuna, e del resto Veltroni è stato il sindaco che meglio perfezionò la via toponomastica al consenso. Si cita spesso, per la sua perfezione sferica, l’esempio di villa Paganini (di fronte alla mussoliniana villa Torlonia, dove uno degli inutili vialetti senza numero civico porta il nome di Renzo De Felice) in cui uno slarghetto si chiama incomprensibilmente largo Vittime di tutte le mafie, e qui convergono le vie Pio La Torre, Antonino Caponnetto, Giuseppe Impastato, Rita Atria e Massimo D’Antona e quest’ultimo, ucciso dalle Br, sembra l’intruso fra combattenti della mafia (singolare) morti ammazzati, suicidi (Atria) o di vecchiaia (Caponnetto). Roma è stato davvero un caso a sé. Francesco Rutelli tagliò il nastro di piazza Stanlio e Ollio, ma ormai ci sono vie, viali, vialetti e piazze e piazzette per Charlie Chaplin, Fabrizio De Andrè, Lucio Battisti, Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Marcello Mastroianni eccetera eccetera, il grosso sono porzioni di parchi, angoli e segmenti suddivisibili all’infinito con i cadaveri eccellenti del futuro. Per non parlare poi del Cencelli viabilistico dei morti degli anni Settanta: un vicolo a me, un angiporto a te. E avanti così, sino alla prossima volta, e sarà di nuovo l’occasione per enumerare le ampie e diffuse rivisitazioni di Craxi, le parole già spese da tutti i leader della sinistra ex comunista, e della volta in cui Romano Prodi sostenne l’opportunità che il nome di Bettino facesse parte, perlomeno, dello stradario di Sigonella