Francesco Perfetti, Libero 29/12/2009, 29 dicembre 2009
Le bugie su Luigi XIV mani bucate di Francesco Perfetti per Libero - Fu Voltaire a definirlo il grand siècle
Le bugie su Luigi XIV mani bucate di Francesco Perfetti per Libero - Fu Voltaire a definirlo il grand siècle. Nella sua opera storica più solida e più celebre, Le siècle de Luois XIV, pubblicata nel 1751, in pieno clima illuministico, il celebre scrittore e libertino francese, deposte per una volta le armi impietose dello scetticismo e della maldicenza, eresse un monumento alla memoria del Re Sole e dell’epoca da lui incarnata. In quel saggio, che è il suo capolavoro storiografico, Voltaire presentò il grand siècle come il tempo della civiltà e dei lumi contrapposto ai tempi non felici della barbarie e dell’oscurantismo. Poche altre epoche erano, secondo lui, paragonabili a quella del Re Sole: i secoli di Pericle, di Alessandro Magno, di Augusto e di Lorenzo de’ Medici. Quella di Luigi XIV però giganteggiava sulle altre. Il metro col quale si doveva misurarne la positività era, per l’autore di Candide, semplice: la grandezza dei regni o delle età storiche è direttamente proporzionale al progresso delle arti e delle lettere e al livello di mecenatismo che ne ha sostenuto lo sviluppo. Lo spirito di Voltaire La grande mostra, in corso al castello di Versailles (rimarrà aperta fino al 7 febbraio) dedicata proprio a ”Louis XIV, l’homme et le roi”, sembra essere stata realizzata proprio nello spirito di Voltaire. In otto grandi saloni sono state raccolte 300 opere - dipinti, sculture, oggetti d’arte, mobili e via dicendo - provenienti da tutto il mondo e, in qualche caso, prima d’ora mai esposte in Francia. una rassegna imponente che di per sé rappresenta un monumento alla memoria di Luigi XIV e al suo mecenatismo. Si incontrano i nomi dei più grandi artisti del tempo: Le Brun, Mignard, Le Vau, Le Nôtre e Gian Lorenzo Bernini, il cui busto del Re Sole giovane ventisettenne apre la mostra. E aleggia la presenza degli scrittori e pensatori che resero famoso il secolo: da Molière a Pascal, da Racine a La Fontaine. Una mostra che, verrebbe voglia di dire, sembra allestita in nome del revisionismo storiografico, del recupero e non della demonizzazione del passato. Per molto tempo, infatti, la figura di Luigi XIV è stata oscurata da una ”leggenda nera” alimentata dal pastore protestante Pierre Jurieu, dall’arcivescovo Fénelon, dal pettegolo e malevolo Saint-Simon, dal romanticismo populista che raggiunge il culmine nella prosa appassionata di Jules Michelet, dai manuali di Ernest Lavisse, espressione paradigmatica del positivismo storiografico più ambiguo e semplicistico. Questa ”leggenda nera” pone l’accento sulle spese sostenute per costruire edifici fastosi (a cominciare da Versailles), concedere pensioni e gratificazioni, organizzare feste pubbliche. Accusa il sovrano di avere condotto, per bramosia di potere e per ambizione, guerre inutili, interminabili e dispendiose. Si sofferma sulle devastazioni del Palatinato, sull’azione logoratrice nei confronti di Port-Royal, sulla lotta senza quartiere ai protestanti. La ricerca storica contemporanea ha ormai ridimensionato le accuse mosse a Luigi XIV e ha imboccato la strada della sua riabilitazione, se non proprio della sua glorificazione. Si guarda, ora, con maggiore equanimità all’operato del Re Sole e basterebbero, a dimostrarlo, sia la splendida biografia di François Bluche pubblicata nel 1988 sia questa mostra. Metodico e austero Il figlio di Luigi XIII e Anna d’Austria non fu affatto, come ha insinuato malevolmente Saint-Simon, rozzo e incolto, un ingegno «al di sotto del mediocre». Divenuto re, sotto la reggenza della madre, all’età di cinque anni, non ebbe forse, sotto la guida della stessa Anna d’Austria e del cardinal Mazzarino, un’istruzione approfondita. Tuttavia egli, serio, metodico e austero (forse troppo, se è vero che il sorriso apparve di rado sulle sue labbra), comprese appieno il senso della regalità, come ben mostrano le sue Riflessioni sul mestiere di Re indirizzate al Delfino. I torbidi della Reggenza, il travagliato periodo della Fronda incisero sul suo carattere e lo predisposero all’assolutismo. La scomparsa di Mazzarino nel 1661 lasciò la Francia in posizione di prestigio sul piano internazionale, ma di debolezza all’interno, preda delle spinte centrifughe della nobiltà. Quando il 22enne sovrano, assunta la guida effettiva del Paese, dichiarò che non avrebbe più fatto ricorso all’aiuto di primi ministri, di fatto interpretò la diffusa richiesta di stabilità politica e di ricostituzione dell’unità del potere. Luigi XIV non pronunciò mai la celebre frase: «L’état s’est moi». Tuttavia, tale formula esprime davvero l’essenza dell’assolutismo monarchico quale egli lo concepiva. Era convinto che la sua autorità derivasse dall’alto, direttamente da Dio, e che pertanto egli dovesse esercitare in tutta pienezza il potere senza suddividerlo tra primi ministri, favoriti o assemblee. Nel pensiero del Re Sole e dei teorici che gli ruotavano attorno, l’assolutismo monarchico non era tirannide, ma doveva, anzi, costituire un baluardo contro tante, piccole e fastidiose tirannidi. L’assolutismo subordinava all’unicità del potere regale le sollecitazioni centrifughe provenienti da quei poteri particolari che vantavano un’indipendenza tradizionale: dai Parlamenti alla Chiesa, dalla nobiltà ai detentori di uffici acquistati dalla corona. Proprio per conseguire questo obiettivo Luigi XIV sottomise la Chiesa gallicana, cercò di eliminare gli Ugonotti, considerati un corpo estraneo di dissidenti religiosi, combatté la nobiltà cercando di tenerla lontana dalla gestione degli affari politici e dirottandola verso la carriera delle armi o verso gli agi e le mollezze della corte. Capolavoro politico La costruzione della grande reggia di Versailles - che accoglie questa mostra-omaggio al suo ideatore - fu un capolavoro non solo architettonico ma anche politico, il quale si inquadra in questa ottica tesa a diminuire il peso politico della nobiltà, da sempre irrequieta, costringendola ad allontanarsi dalle proprie terre, fonte di ricchezza e potere, e obbligandola a vivere, esiliata a corte, della luce riflessa dei raggi del Re Sole. Sotto questo profilo, la reggia di Versailles è davvero il simbolo dell’assolutismo di Luigi XIV: un assolutismo che rappresentò per la Francia la via della modernizzazione politica, amministrativa, economica. E del quale questa mostra offre una lettura precisa e storicamente valida.