Fabio Pozzo, La Stampa 29/12/2009, 29 dicembre 2009
Sant’Elena, l’isola condannata all’esilio dalla grande crisi di Fabio Pozzo per La Stampa - Messaggio in bottiglia dall’Isola di Sant’Elena
Sant’Elena, l’isola condannata all’esilio dalla grande crisi di Fabio Pozzo per La Stampa - Messaggio in bottiglia dall’Isola di Sant’Elena. «Qui il costo della vita è aumentato drammaticamente. sempre più difficile, non soltanto per i più poveri e deboli, arrivare alla fine del mese». Firmato: Berenice Olsson, neoconsigliera del «parlamentino» dello scoglio vulcanico che ha dato esilio e morte a Napoleone. L’eco della recente campagna per il voto non si è ancora spenta. Anche perché, mai come questa volta, nei 350 anni di vita amministrativa dell’isola, scoperta dai portoghesi nel 1502 e diventata colonia inglese nel 1659, la battaglia elettorale è stata accesa. Motivo? In ballo per il più povero e tra i più remoti dei territori d’oltremare britannici, uno dei più isolati del mondo (dista circa 2 mila chilometri dalle coste dell’Angola), c’era e resta la sopravvivenza. La sorte dell’isola e dei suoi abitanti, che oggi è messa seriamente in predicato dalla crisi economica. Non che la vita, prima del «credit crunch», a Sant’Elena fosse facile. Ma adesso è diventata davvero un’impresa. I prezzi sono alle stelle: un litro di benzina vale 1,35 sterline (1,50 euro). I posti di lavoro si sono ridotti drasticamente e continuano a diminuire. I redditi sono rosicchiati dai denti dell’inflazione, che a fine 2008 toccava l’11,4%. I salari (una media di 5.500 sterline, nemmeno 6 mila euro l’anno) perdono peso, potere d’acquisto. E quel che è peggio, la recessione sta anche «congelando» la speranza dei «Saints» - così si chiamano gli isolani - in un futuro migliore. Per loro e per i loro figli. Una speranza ancorata a un possibile sviluppo economico dell’isola. Turismo, soprattutto. Già, ma come li porti i turisti, e i potenziali investitori, su uno «scoglio» sperduto nel Sud Atlantico? L’isola continua ad essere raggiungibile soltanto via mare (e che mare), come cinque secoli fa. Il suo collegamento col mondo «esterno» è affidato al «St. Helena», un cargo postale di linea con Capetown, via Ascension, altro avamposto della solitudine. Cargo che, oltretutto, è destinato alla «pensione». E che, comunque, non incoraggia certo l’interscambio con il resto del pianeta. Ecco perché si è puntato tutto sull’aeroporto. Vuoi mettere, arrivare e partire con un aereo? Sarebbe tutto più facile, hanno pensato bene i «Saints». Nel 2005 sembrava fatta. Londra dice sì al progetto e lo affida all’italiana Impregilo, annunciando che la pista sarà ultimata nel 2010. «Sarà la cosa più importante sull’isola dopo la morte di Napoleone», è la frase più gettonata nei pub di Jamestown, la capitale. Ma l’euforia dura poco. Ci pensa la crisi globale a spazzarla via. Il Regno Unito «congela» l’opera. «Le condizioni economiche sono mutate, sorry», fanno sapere dalla madrepatria, convinta che sia difficile spiegare ai contribuenti che devono spendere 200-300 milioni di sterline per un aeroporto ai confini del mondo. Per Sant’Elena è una secchiata d’acqua gelata. Anche perché, nel frattempo, la situazione è peggiorata. L’isola vive dei sussidi di Londra: su un budget annuale di 20 milioni di sterline, 12 arrivano dal governo britannico. Il settore pubblico copre il 60% dell’offerta di lavoro. Quello privato conta soltanto su 200 piccoli imprenditori, che insieme fanno poco più di mille posti (un quarto dei dipendenti sono part-time). Sant’Elena importa il 90% del suo fabbisogno, esporta un’inezia. Gli abitanti diminuiscono: -18% nell’ultima decade, da 5 mila a 4 mila. Un quarto dei bambini nati sull’isola è un «orfano» della crisi: i giovani e gli adulti emigrano in cerca di lavoro. E così la popolazione attiva si riduce: oggi è il 68% del totale, ma nel 2018 calerà al 55%, se le cose non cambieranno. «Sant’Elena è splendida, offre scenari incredibili, un fantastico patrimonio storico. E ha grandi potenzialità turistiche. Ma soltanto se il Regno Unito si convincerà a finanziare la costruzione dell’aeroporto. Diversamente, se l’accesso resterà ristretto alla via del mare, l’isola continuerà a dipendere dai sussidi», afferma Paul Blessington, capo-economista del governo locale. E si è visto dove porta l’econimia assistita. Il funzionario rimanda a uno studio che Sant’Elena ha presentato al Dipartimento per lo Sviluppo internazionale del governo inglese. Vi sono calcolati i pro e i contro di tre ipotesi: costruire l’aeroporto, cancellare il progetto e costruire una nuova nave postale (73 milioni di sterline la spesa stimata), stare fermi per 5 anni e vedere se l’economia globale si riprende. La prima soluzione stravince su status quo e immobilità. «Senza contare «l’obbligo morale di Londra di mantenere la promessa del 2005», dice la maggioranza dei «Saints», che si è anche espressa con un referendum sul «sì» all’aeroporto. Berenice Olsson, la neoconsigliera, ha vinto la campagna elettorale con uno slogan: «Diamo più potere al governo locale». Il fatto è che la borsa, e soprattutto i suoi cordoni, resterebbero comunque in mani lontane. Il suo messaggio in bottiglia rischia di perdersi tra le onde.