Roberto Beccantini, la Stampa 24/12/2009, 24 dicembre 2009
Roberto Beccantini per la Stampa - Per la prima volta nella storia, la fase finale dei Mondiali di calcio si svolgerà in Africa, precisamente in Sud Africa, dall’11 giugno all’11 luglio 2010
Roberto Beccantini per la Stampa - Per la prima volta nella storia, la fase finale dei Mondiali di calcio si svolgerà in Africa, precisamente in Sud Africa, dall’11 giugno all’11 luglio 2010. Un atto di rottura, una «tombola» rivoluzionaria. Nel 1994, gli Stati Uniti avevano sfondato, in nome del business, l’alternanza Europa-Sud e Centro America; alternanza poi violata anche nel 2002 con l’apertura all’Asia, il cui blasone organizzativo venne affidato a Corea del Sud e Giappone. Siamo arrivati, per la cronaca, alla 19ª edizione. Vi prenderanno parte 32 nazionali, fra le quali l’Italia campione uscente. Salvo clamorosissime sorprese, sarà ancora Europa contro Sud America. Il bilancio risulta in perfetta parità: nove a nove. Nel vecchio continente, comanda l’Italia con quattro titoli, tallonata dalla Germania (tre); chiudono, con uno, Francia e Inghilterra. Il Sud America ha un tiranno, il Brasile delle cinque coppe, seguito e riverito, a debita distanza, da Argentina e Uruguay con due. In lizza, e anche questo è un dato significativo, tutte le nazioni che, appunto, hanno vinto almeno un’edizione. Il meglio del meglio, insomma. Avrebbero potuto essere Mondiali ancora più postmoderni se solo la Fifa avesse accettato l’impiego dei giudici di porta cari a Michel Platini, presidente dell’Uefa. In pratica, due arbitri supplementari, collocati in prossimità delle rispettive porte, con lo scopo, palese, di aiutare le terne ufficiali nella «traduzione» degli episodi più confusi e scabrosi: una moviola umana al posto dei supporti tecnologici. Niente da fare. Joseph Blatter, grande capo della Fifa dal 1998, li ha bocciati. E questo, nonostante il vespaio di polemiche sollevato dal doppio palleggio di mano con il quale Thierry Henry, il 18 novembre scorso, aveva propiziato il pareggio di Gallas nello «spareggio» tra Francia e Irlanda, suscitando l’ira funesta di Giovanni Trapattoni (e l’eliminazione degli irlandesi). Mondiali al buio, dunque: come nella miglior tradizione. A Blatter piacciono così. Se la moviola in campo ha ucciso l’arbitraggio (Platini dixit), il rifiuto di qualsiasi correttivo rischia di assassinare la credibilità del calcio. Di solito, in questi casi, esistono le vie di mezzo. Con Blatter, non se ne parla proprio. Si torna a giocare d’inverno, dopo Argentina ”78, e in altura, dopo Messico ”86. La Nazionale di Marcello Lippi si appresta a difendere la corona in condizioni oggettivamente complicate. Nella storia, soltanto l’Italia di Vittorio Pozzo e il Brasile di Pelé hanno realizzato la doppietta: noi nel 1934 e 1938, loro nel 1958 e nel 1962. Gli azzurri, fra parentesi, hanno sempre vinto in Europa: Italia, Francia, Spagna, Germania. Il Brasile, da parte sua, ha coinvolto Europa (Svezia), Sud America (Cile), Centro America (Messico) Nord America (Stati Uniti) e Asia (Corea del Sud e Giappone). Se nelle coppe il riferimento è sempre stato il Real Madrid, nei Mondiali continua a essere il Brasile, oggi allenato da un ex mediano dal piede proletario, Carlos Dunga. Germania, Italia, Francia eccetera «possono» vincerli, il Brasile «deve». Sulla carta, l’avversario più insidioso si annuncia la Spagna, campione d’Europa nel 2008. Le furie rosse «ballano» calcio, virtù/difetto che, negli snodi cruciali, ha contribuito a sabotarne le ambizioni. Non badano al sodo, come noi; talvolta, si specchiano nello stretto superfluo. E forse anche per questo, non sono mai saliti sul podio. Ripeto: mai. Non conta essere i più forti in assoluto (certo, aiuta). Conta essere i più forti in «quel» mese. Noi italiani ne sappiamo qualcosa. Più il pronostico ci è avverso, più ci esaltiamo. Più ci è favorevole, più ne subiamo le lune. Nel 1982 e nel 2006, fra il livore anti Bearzot e l’isteria di Calciopoli, mezzo Paese era pronto a saltare addosso alla Nazionale. La sindrome d’accerchiamento pagò in moneta sonante. Il sorteggio di Città del Capo ci ha sorriso sotto i baffi: Nuova Zelanda, Paraguay, Slovacchia. Attenzione, però: se la partenza si profila morbida, non altrettanto si può dire delle tappe successive, visto l’alto rischio di imbatterci nel Camerun e, già nei quarti, nella Spagna. In Germania, successe il contrario: fase a gironi più dura, ottavi (Australia) e quarti (Ucraina) più comodi. La squadra è invecchiata, Lippi pensa a Totti, sempre che stia bene, e non a Cassano. Un traguardo plausibile è la semifinale. Occhio all’Inghilterra di Fabio Capello: non sembra più la zitellona acida che se la fa sotto nei momenti topici. Non credo nella Francia di orso Domenech, e nemmeno nell’Olanda, un’altra che, sul più bello, ne ha sempre una. L’Argentina è nei piedi fatali di Lionel Messi e nelle idee strambe del suo ct, Diego Maradona: chissà che sintesi salterà fuori. C’è poi l’Africa, con sei nazioni al via. L’Africa, cioè il calcio del Duemila. Così, almeno, ne presentammo le risorse e i sogni. Stiamo per entrare nel 2010 e siamo sempre al punto di partenza. L’Africa non decolla. O se decolla, atterra al massimo nei quarti (Camerun 1990, Senegal 2002). Ci riproverà in «casa», soprattutto con la Costa d’Avorio di Didier Drogba e il Camerun di Samuel Eto’o. Buon safari a tutti.