Bjørn Lomborg, Il Sole-24 Ore 24/12/2009;, 24 dicembre 2009
SALUTARE DOCCIA FREDDA PER CAMBIARE APPROCCIO
Dopo dodici giorni di proteste, finzioni e un’inondazione apparentemente interminabile di chiacchiere, l’elefantiaco raduno che è stato il vertice sul clima di Copenhagen dopo un grande travaglio ha partorito... un topolino. Tanto vago quanto inefficace, l’accordo per la riduzione delle emissioni di gas serra non impone nessun obbligo reale, non fissa nessun obbiettivo vincolante e non richiede azioni specifiche da parte di nessuno.
Dovremmo sentirci delusi? In realtà, no. Non perché il riscaldamento globale prodotto dall’uomo non sia reale o perché non ci sia la necessità di intraprendere un’azione significativa per contrastarlo. reale e dobbiamo agire.
Tuttavia, il triste esito della XV Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici dovrebbe farci sperare. Perché? Perché il suo fallimento potrebbe essere proprio la scossa di cui il mondo ha bisogno, una secchiata d’acqua fredda che finalmente può spingerci ad affrontare i dati di fatto su quali soluzioni funzionano e quali no. Sono 17 anni ormai, dal "Vertice della Terra" di Rio de Janeiro nel 1992, che lo sforzo di combattere il riscaldamento globale è dominato da una singola idea, l’opinione che l’unica soluzione possibile sia tagliare drasticamente le emissioni di anidride carbonica.
Bene, datemi dell’ottimista strampalato, ma il fiasco di Copenhagen mi colpisce perché è troppo assoluto per ignorarlo. Mai il fallimento sostanziale della strategia del taglio delle emissioni è apparso più evidente.
Spero dunque che i leader politici siano finalmente pronti ad affrontare la realtà sul riscaldamento globale, e cioè che se vogliamo seriamente risolverlo dobbiamo adottare un nuovo approccio. Se vogliamo realmente raffreddare il pianeta, abbiamo bisogno di politiche che siano tecnologicamente più intelligenti, politicamente più fattibili ed economicamente più efficienti.
La dura lezione di Copenaghen è che il mondo non vuole e non è capace di andare in crisi di astinenza per interrompere la sua dipendenza dai combustibili fossili. Il problema, in particolare per la Cina, l’India e gli altri paesi in via di sviluppo, è semplicemente che non ci sono alternative accessibili. Si tenga presente che il fabbisogno energetico globale dovrebbe raddoppiare entro il 2050. Questo significa che se vogliamo ridurre (se non proprio eliminare) il nostroconsumo di combustibili fossili senza paralizzare completamente l’economia mondiale, dobbiamo fare molto più spazio alle tecnologie energetiche verdi.
In uno studio realizzato nel luglio di quest’anno per il Copenhagen consensus centre, Isabel Galiana e il professor Chris Green dell’Università McGill hanno esaminato lo stato attuale delle fonti energetiche a zero emissioni (tra cui l’energia nucleare,eolica,solare e geotermica) arrivando a delle conclusioni sconcertanti. Le fonti energetiche alternative, anche se incrementate di parecchio, non basterebbero a coprire nemmeno la metà della strada che ci separa da una stabilizzazione delle emissioni di anidride carbonica nel 2050.
L’accordo di Copenhagen cerca di affrontare questa realtà offrendo una vaga promessa che le nazioni ricche alla fine verseranno un contributo di 100 miliardi di dollari all’anno. I soldi verranno usati per sovvenzionare tagli delle emissioni, un’attività insensata che non farebbe niente per migliorare i gravi problemi attuali. Ma che succederebbe se usassimo meglio questi fondi? Che cosa succederebbe se invece di condannare miliardi di persone in tutto il mondo a una povertà persistente cercando di rendere più costosi i combustibili inquinanti, ci dedicassimo a rendere meno costosa l’energia pulita? Come soluzione è più rapida e più efficiente.
In questo momento i pannelli solari costano talmente tanto che solo gli occidentali ricchi e coscienziosi possono permettersi di installarli. Ma se riuscissimo a rendere questa o altre tecnologie energetiche pulite più economiche dei combustibili fossili nei prossimi venti o quarant’anni non dovremmo costringere nessuno a smettere di bruciare combustibili inquinanti. Tutti, inclusi i cinesi e gli indiani, passerebbero alle alternative più economiche e pulite. Che bisogna fare per raggiungere questo mondo dei sogni? Dobbiamo incrementare la spesa per la ricerca e lo sviluppo di energie pulite di 50 volte. Con lo 0,2% del Pil globale, ossia 100 miliardi di dollari all’anno, potremmo realizzare i progressi tecnologici necessari per rendere l’energia pulita più economica.
Il fallimento del vertice potrebbe essere una fortuna mascherata. Per gli ultimi 17 anni abbiamo messo il carro davanti ai buoi, fingendo di poter tagliare le emissioni di anidride carbonica ora e risolvere il problema tecnologico dopo. Forse mentre lasciavano mogi mogi la capitale danese, i nostri leader si rendevano conto dei difetti di fondo dell’approccio che stanno seguendo e tracceranno ora una strada più intelligente.
Direttore del Copenhagen consensus center, autore di«L’ambientalista scettico ».