Marco Sodano, La Stampa, 28/12/2009, 28 dicembre 2009
ALLA SCARPA NON SI RINUNCIA
Scarpe: cosa non si fa per un tacco 12, per un mocassino inglese cucito a mano in London, per una striscia di pelle che risale sinuosa le caviglie? Follie, a quanto pare. Sacrifici che non si fanno neppure per la salute. Almeno in Italia, dove la spesa per calzature e abbigliamento è la voce che pesa di più nella parte del budget famigliare dedicata alla cura di sé: 1.194 euro l’anno a persona, metà del totale che arriva a 2.330, contro una spesa in prodotti per l’igiene che si ferma a 374.
Così dice uno studio di Confcommercio - «I consumi in Europa» - che analizza quanto spendono le famiglie del Vecchio Continente tra abiti, scarpe, medicinali, ricoveri ospedalieri e protezione sociale (assicurazioni sanitarie di varia natura). E che assegna all’Italia la palma dell’eleganza: almeno quella inseguita, perché - si sa - spendere e spandere non significa necessariamente raggiungerla. Più pragmatici, svedesi e danesi preferiscono concentrarsi sul welfare: la prima voce di spesa è quella per le assicurazioni sanitarie, con 362 e 349 euro, su un totale di 2.173 euro in Svezia, e di 2.440 in Danimarca. Anche i greci, alle prese con un sistema sanitario traballante, mettono in testa la cura della salute: tra medicinali, servizi ambulatoriali e ospedalieri spendono ogni anno 820 euro a testa su 2.449. Sulla salute si concentrano anche i francesi, che ci investono 653 euro su un totale di 2.170. Più vicini agli italiani gli austriaci: passate le Alpi, la passione per abbigliamento e calzature è la stessa. Spesa media, 1.111 euro su 2.502.
Anche qui il peso della crisi si fa comunque sentire. In tutta Europa, la fetta del bilancio famigliare dedicata alla cura di se stessi scende vistosamente: nel 1995 rappresentava il 14,1% delle spese, oggi è appena il 13%. I portoghesi sembrano meno inclini degli altri a tagliarsi il budget. Loro spendono ancora più del 17% dello stipendio per sé.
Tornando all’Italia, il record di scarpe e abbigliamento dà un senso concreto al tam tam di chi invoca i saldi anticipati per far ripartire l’economia. In prima linea, i presidenti di Adusbef e Federconsumatori, Elio Lannutti e Rosario Trefiletti: «Come avevamo previsto le vendite natalizie sono andate male. Da un primo consuntivo, ancora provvisorio, la situazione è anche peggiore del meno 23% che avevamo previsto prima di Natale». Fuori dal baratro sono rimasti solo i libri, che restano la strenna preferita soprattutto per chi provvede all’ultimo momento.
Lannutti e Trefiletti ci vanno giù decisi: «Tutto ciò si deve alla testardaggine di chi non interviene per agevolare i consumi. Da un lato abbassando le tasse alle famiglie a reddito fisso e dall’altro anticipando le vendite in saldo». Il ragionamento è lineare: servono «decreti immediati per iniziare i saldi già nei prossimi giorni senza attendere le date già fissate a gennaio e per detassare di almeno 1.200 euro annui pensionati e lavoratori dipendenti».
Il denaro recuperato grazie agli sconti anticipati dovrebbe entrare nel circolo dell’asfittica economia italiana a suon di stivali e giacconi. In altri tempi - ben altra crisi - finito il pane si suggerivano al popolo le brioches. Nel terzo millennio la parola d’ordine è scarpe.
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