Matteo Persivale, Corriere della Sera 24/12/2009, 24 dicembre 2009
Quando Adams disse: «La mia foto più famosa? Brutta» di Matteo Persivale per il Corriere della Sera - LOS ANGELES - L’ oscurità della sala di proiezione si interrompe all’ improvviso quando sullo schermo appare in primissimo piano una vecchia Leica
Quando Adams disse: «La mia foto più famosa? Brutta» di Matteo Persivale per il Corriere della Sera - LOS ANGELES - L’ oscurità della sala di proiezione si interrompe all’ improvviso quando sullo schermo appare in primissimo piano una vecchia Leica. Con l’ obbiettivo puntato verso gli spettatori come un cannone. An Unlikely Weapon, «Un’ arma improbabile», film-biografia del grande fotografo di guerra - e di pace - Eddie Adams comincia così. Con le mani del figlio August sulla macchina fotografica di papà, scomparso nel 2004 a 71 anni lasciando dietro di sé uno degli archivi più sconvolgenti della storia del fotogiornalismo. E’ firmata Adams l’ immagine di guerra più famosa del mondo: il generale Nguyen Ngoc Loan che spara alla tempia di un prigioniero Vietcong, Nguyen Van Lém, a Saigon, 1 febbraio 1968, all’ alba dell’ offensiva del Tet. Ma Adams è anche il fotografo che salì sulla carrette del mare dei boat people vietnamiti in cerca di rifugio respinti dal mondo, e fermò per sempre la scena di quella mater dolorosa vestita di stracci e piangente che stringe a sé un bambino senza vita, nel Giorno del Ringraziamento, 1977: la Pietà di Adams (un altro scatto indimenticabile del maestro che sfoggiava un cinismo al quale non credeva nessuno è quello del neonato sorridente tra le mani rugose di Madre Teresa di Calcutta). Adams attraversò le guerre del mondo - i profughi della Cambogia, il soldato israeliano con la testa tra le mani durante il conflitto del Kippur - ma ha lasciato anche i ritratti dei grandi del mondo: Reagan in canotta che solleva pesi, bicipiti gonfi e collo grinzoso. Fidel Castro in mimetica che fa strage di anatre. Schwarzenegger a mollo con una paperella. Karol Wojtyla, nel 1994, ancora in buona salute che guarda un po’ diffidente quel fotografo di mezza età con la coda di cavallo da hippie fuori tempo massimo. Il documentario di Susan Morgan Cooper è uscito in poche copie tra estate e autunno sugli schermi americani (e proiettato anche alla Casa Bianca per Obama), e sta in queste settimane girando nei campus con dibattiti tra universitari e mostre delle foto di quel grande. An Unlikely Weapon, realizzato con un minuscolo budget ma grande passione, sfoggia nomi famosi tra i collaboratori: la voce narrante di Kiefer Sutherland e la colonna sonora jazz di Kyle Eastwood (figlio del Clint ritratto da Adams, in una celebre serie, sul set del western Gli spietati). La rivelazione più interessante è che l’ immagine più famosa di Adams, quella del colpo alla tempia, è anche quella che gli piaceva meno di tutte. Dice Adams alla videocamera: «Brutta luce, brutta composizione: brutta foto. Scattai una volta sola, il ragazzo cadde a terra schizzando sangue dappertutto, mi voltai dall’ altra parte. Quell’ immagine non dice tutta la storia. Il generale fuggì negli Stati Uniti: faceva il pizzaiolo vicino a New York e la gente andava a insultarlo. Io preferisco essere ricordato per aver mostrato al mondo i boat people. Non sono una brava persona, ma quando uscirono quelle foto sul presidente Carter si riversò tanta pressione internazionale che Washington accettò di accogliere 250mila profughi». Adams, che pure aveva visto di tutto nella sua carriera - credeva di essere troppo stressato in Vietnam e rientrò a New York, ma negli uffici della Associated Press «trovai tutti quei ciccioni seduti alla scrivania» e volò subito nel Sudest asiatico - non aveva mai trovato bambini incapaci di sorridere. «Anche se sono circondati da pile di cadaveri, anche se la loro casa è stata bombardata, prima poi ti sorridono se hai in mano una macchina fotografica. E’ un riflesso condizionato dei bambini. Invece quelli non sorridevano mai, avevano gli occhi dei morti». Così dopo gli anni delle guerre, il maestro che si rifiutava di vendere ai collezionisti rinunciando a cifre enormi - «Se mi sei simpatico te la regalo, la foto che ti piace. Vendertela? Mai, io mi guadagno il pane lavorando» - diventò uno dei ritrattisti più richiesti (con una ben retribuita parentesi da fotografo glamour di nudi femminili). Diede vita al workshop di fotogiornalismo che ancora porta il suo nome «dove insegno ai ragazzi in tre giorni quello che ho imparato nei miei primi cinque anni al fronte», e non dimenticò mai i colleghi caduti in Vietnam sull’ elicottero che doveva trasportare anche lui (fuori dalla bella fattoria dove hanno luogo i seminari c’ è un monumento a loro intitolato). Durante la lavorazione del documentario, Adams si ammalò: e rispettosamente la regista ha scelto di non riprendere più il vecchio leone dilaniato dalla sclerosi laterale amiotrofica. Da quel momento a parlare per lui sono i suoi amici e colleghi. Con affetto e humour ricordano le sue manie, i suoi scoop. Raccontano di come, burbero fino alla fine e reso muto dal male, accogliesse gli amici con la voce sintetica del computer che diceva «vaff...». E loro estraevano dalla tasca un bigliettino che diceva: «Vacci anche tu». Alla fine del film si scopre che Eddie Adams ha voluto essere sepolto con la sua Nikon a tracolla, e in tasca tre rullini: «Pellicole a grana finissima: vado a fotografare un posto dove c’ è tanta luce».