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 2009  dicembre 28 Lunedì calendario

E la guerra di Pietro Citati per Repubblica - Alexander Pope nacque a Londra, nel maggio 1688, da una ricca famiglia cattolica

E la guerra di Pietro Citati per Repubblica - Alexander Pope nacque a Londra, nel maggio 1688, da una ricca famiglia cattolica. Aveva la stessa malattia di Leopardi: la tubercolosi ossea; era piccolissimo e gobbo. Ma, se Leopardi copriva il corpo "contorto" con abiti modesti e logori, Pope era elegantissimo: vestiva di nero brillante, portava una parrucca d´argento e uno spadino al fianco. Fin da bambino, ebbe una passione prodigiosa per la cultura. A dodici anni, cominciò ad esplorare la biblioteca del padre, divertendosi a sfogliare i libri, e imparando il greco, il latino e il francese. Quel profumo di libri, quelle tarsie e quell´incastro di lingue, non abbandonò più la sua poesia, che ricordava Omero (di cui Pope tradusse l´Iliade), Callimaco, Catullo, Ovidio. Il ratto del ricciolo, il capolavoro dell´inizio del diciottesimo secolo, è una specie di Metamorfosi miniaturizzata. A sedici anni Pope conobbe i maggiori scrittori del suo tempo: John Dryden, William Congreve, Swift, John Gay: i primi ministri dei governi tory; e le grandi dame dell´aristocrazia inglese, come la spiritosissima Mary Montagu, che prima lo amò e poi lo odiò ferocemente: «Quanto tu odii - gli scrisse - così sii odiato dagli uomini, con l´emblema del tuo animo deforme stampato sulla schiena». Nel 1711 Pope lesse le Mille e una notte, nella traduzione francese di Antoine Galland, alla quale pensò di ispirarsi. Pochi anni dopo costruì sulle rive del Tamigi, a Twickenham, una piccola villa preromantica: tutto vi era contrasto, sorpresa, meraviglia, gioco coi limiti; una grotta era piena di minerali, lampade d´alabastro e conchiglie, come una copia in natura del Ratto del ricciolo. Il suo capolavoro nacque dal caso. Nel 1711, Lord Pretre tagliò un ricciolo della chioma della elegantissima Arabella Fermor; e da questo futile incidente nacque una furiosa guerra tra famiglie. Pope pubblicò nel 1712 due canti del Ratto del ricciolo, che più tardi divennero cinque: una "cosetta deliziosa", scrisse Addison; una "leggiadrissima operetta", aggiunse Algarotti. La "cosetta deliziosa" ebbe un immenso successo: tremila copie vendute in quattro giorni: una seconda e terza ristampa nello stesso anno, una quarta ristampa nel 1715, una quinta nel 1718, una sesta nel 1723. Il libro era illustrato da due artisti francesi. Noi lo conosciamo soprattutto attraverso le meravigliose incisioni di Aubrey Beardsley (1896), che ne comprese perfettamente la sottile mescolanza di grazia e di perversione, di eros e di luce. Oggi Il ratto del ricciolo viene pubblicato da Adelphi (traduzione di Alessandro Gallenzi, pagg. 170, euro 18): un´altra, eccellente edizione era già uscita nel 1984, a cura di Viola Papetti, nella Biblioteca universale Rizzoli. I personaggi del Ratto del ricciolo sono i suoi lettori, che passano «il giorno ad abbellirsi, e trascorrono la notte a divertirsi». mattina. Belinda preme il capo sul guanciale, mentre finisce di sognare: un giovane splendente le fa avvampare nel sonno le guance, e le sfiora l´orecchio con sussurri tenerissimi. Il sole scocca un raggio timoroso tra le cortine bianche del letto: gli occhi di Belinda si aprono, il cagnolino salta sulle coltri e le lecca il viso; la campanella suona tre volte, le pantofole percuotono il suolo, l´orologio trilla. Vestita di bianco, Belinda si muove col capo scoperto, e adora «le celesti potenze cosmetiche». Leva gli occhi verso il viso angelico che affiora nello specchio: prende con scrupolo ognuno dei suoi tesori; ecco le gemme d´India, agli aromi di Arabia, i pettinini bianchi in tartaruga od elefante, spilli, piumini, nèi diversi che vagano sul volto. Spartisce i capelli, fa fluire le chiome in riccioli, increspa le vesti, piega le maniche. Tutto, persino i pettini e i nèi, sa di sesso. Nessun testo, agli inizi del Settecento, possiede una simile leggerezza e grazia mondana: qualche decennio più tardi solo la Notte di Parini gioca così abilmente con i caffè e i gelati. In ogni verso, regna il piccolo o il minimo: qualsiasi oggetto viene visto col cannocchiale rovesciato; e persino il sublime scudo d´Achille, nell´Iliade, ricorda la conchiglia di un boudoir rococò. Belinda appare nel mondo di Londra, luminosa come il sole, che imporpora i flutti argentei del Tamigi. Porta una croce sul petto bianco: lo sguardo si muove, si sposta, cambia, fugge; ferisce chi lo contempla, e sorride a ciascuno senza mostrare preferenze per nessuno. Intorno a lei, si muovono i beaux più eleganti e le dame più belle. Tutti chiacchierano e scherniscono: «ad ogni parola è messa in repentaglio una reputazione». Giocano a carte: ad ombre, un gioco di origine spagnola: quattro re con barbe a punta, quattro regine di fiori, quattro fanti in abiti corti: il re di picche, il fante di quadri, la regina di cuori, l´asso di cuori, la regina di picche; e scintillanti e variopinte truppe che si battono sul piano vellutato. Belinda vince la partita col Barone. Poi si celebra un altro rito: quello del caffè. Il tavolino è incoronato di tazze e cucchiaini: il macinino gira e rigira, i chicchi crepitano, la lampada d´argento viene avanzata sui tavoli laccati, i beccucci d´argento versano il caffè, che si sparge fumigante nelle porcellane. «Ogni invitato appaga a un tempo il gusto e l´odorato». * * * Il testo che ho raccontato non è Il ratto del ricciolo: o ne è soltanto uno scorcio. Sullo sfondo affiorano la Rosacroce e la Cabala, attraverso la lettura di un libro, Le comte de Gabalis dell´Abbé Montfaucon de Villars, un testo francese del 1670, che rivelava come il mondo sia popolato «da mille scintillanti abitanti dell´aria». Secondo Le comte de Gabalis, i quattro elementi sono posseduti da silfi, gnomi, ninfe e salamandre. Gli gnomi di fuoco compiono misfatti, i silfi eterei sono le creature più amabili dell´universo, le salamandre le più belle e pure. I silfi spiegano le ali al sole, o seguono la brezza, o si perdono in nubi d´oro: il loro corpo fluido si scioglie in luce: il loro abito lieve ondeggia al vento; tessuti di rugiada scintillano nei colori più smaglianti del cielo. Qualcuno dei silfi scorta le stelle: qualcuno porta a spasso i pianeti; qualcuno intinge le ali nei colori dell´arcobaleno, o fa cadere la pioggia sopra la terra. I silfi irreali e le salamandre irreali si fondono, in modo incantevole, col mondo reale di Londra. Chi cura la toletta di Belinda non è Betty, la cameriera: ma un silfo, che protegge le ciprie dalle brezze troppo forti, ne fa svaporare le essenze imprigionate, ordina l´acconciatura, arriccia le chiome; spira rossori, e fa nascere in Belinda il desiderio di aggiungere alla veste una balza o un falpalà. Mentre si svolge la toletta, altri silfi si librano invisibili sui beaux e le belle e i paggi e le portantine che percorrono Hyde Park. Belinda è orgogliosa di due riccioli, che scendono graziosamente in boccioli eguali, adornando il suo liscio collo d´avorio. Il principe dei silfi, Ariele, è inquieto. Fruga i pensieri chiusi nel cuore di Belinda: osserva ogni idea che affiora in lei: si accorge che una passione terrena le si annida in cuore; e teme che una tremenda avversità minacci «la più splendente bellezza» che abbia mai meritato l´attenzione del mondo. Un ricciolo di Belinda è in pericolo. Il pericolo è il Barone che, con la mente accesa dai vapori del caffè, vuole possedere un ricciolo di Belinda. I silfi volano, si posano sul capo della bella, le tirano gli orecchini, si aggrappano ai pendenti: ma non riescono ad allontanare la sventura. Il Barone impugna la sua arma da guerra: una forbice: la allarga con le dita, la apre, la avvicina al collo di Belinda, chinato sui vapori profumati del caffè. Il Barone chiude la forbice, che distacca le due punte della ciocca. «Un bagliore scocca» dagli occhi delle dame: urla d´orrore lacerano i cieli spaventati; «gridi più forti - commenta deliziosamente Pope - mai furono lanciati quando spirò un marito o un cagnolino». Il taglio del ricciolo è uno stupro. La castità di Belinda è perduta. Il Barone ha vinto; e proclama con arroganza che il «sacro ricciolo» reciso non si riunirà mai più alla chioma. «Sin quando io respirerò» - dice - «la mia mano lo porterà con sé», segno della sua vittoria. Sconsolata, languente, con lo sguardo sommerso dalle lacrime e le chiome disciolte, Belinda prova una passione oscura. Un´immagine la ossessiona. Il suo nemico, il Barone, possederà per sempre quel tesoro inestimabile: mostrerà a tutti il ricciolo sotto un vetro: lo incastonerà come un diamante; e il ricciolo splenderà sulla sua «trionfante mano rapace». Belinda rimpiange la propria innocenza perduta, che ha desiderato di perdere: «Oh, se piuttosto fossi rimasta in qualche oscura parte del Nord o in qualche isola sperduta, dove la strada non è mai battuta da carrozze dorate, dove nessuno impara l´ombra», o gusta il tè scuro. Intorno, comincia la battaglia. I beaux e le dame si schierano in due partiti. Scattano ventagli, frusciano vestiti, schioccano dure stecche di balena, voci alte e basse percuotono l´etere: come nell´Iliade, dove gli dèi si scontrano, passioni umane infuriano nei loro petti, Pallade assalta Marte, Ermete aggredisce Latòna. Giove sospende in cielo la sua bilancia d´oro; e vi pesa la chioma di Belinda e la mente umana. I due piatti della bilancia oscillano lungamente: ma, alla fine, il piatto con la chioma discende, più pesante e sovrano. Belinda ha trionfato: ha dominato il suo nemico gettandogli una gran presa di tabacco pungente nel naso; e ora l´occhio del Barone straripa di lacrime, e le alte cupole del palazzo riecheggiano allo starnuto del naso arrogante. «Ora perisci!» grida Belinda, tirando uno spillo mortale fuori dal fianco. «Ridammi il mio ricciolo», «Ridammi il mio ricciolo», grida a lungo nelle stanze. Il grido di Belinda è vano. Tutti cercano il ricciolo, senza trovarlo: chissà dove è scomparso, mentre i beaux e le dame combattevano tra loro come dèi di Omero. C´è soltanto una spiegazione. Come avevano narrato Callimaco e Catullo, la regina Berenice aveva deposto la sua chioma nel tempio di Arsinoe, implorando il ritorno vittorioso del marito, Tolomeo III, dalla guerra contro l´Asia. Il marito ritornò: ma la chioma di Berenice scomparve. Col soccorso di Afrodite, era salita tra gli astri, dove splendevano già i capelli di Arianna, abitando lassù tra le altre preziose costellazioni. Con quest´allusione classica, Pope spiegò il senso recondito del Ratto del ricciolo. Il suo poema grondava di Eros: ogni pettine e nèo e spilla spirava profumi sessuali; ma, grazie al soccorso dei silfi e di Ariele, l´ultima meta del sesso diventò lo splendore incontaminato del cielo. La chioma di Belinda aveva sfrecciato attraverso l´etere trasparente, trascinando dietro di sé una brillante e fiammeggiante scia di capelli. L´Eros era stato purificato dalla luce delle costellazioni.