Sandra Cesarale, Corriere della Sera 28/12/2009, 28 dicembre 2009
L’urlo di K’naan, il rap dei Mondiali di Sandra Cesarale per il Corriere della Sera - ROMA – Rap dal ghetto di Mogadiscio
L’urlo di K’naan, il rap dei Mondiali di Sandra Cesarale per il Corriere della Sera - ROMA – Rap dal ghetto di Mogadiscio. K’naan è la nuova stella dell’hip hop. Hanno scritto che nelle sue canzoni la rabbia rivoluzionaria di Bob Marley si fonde con lo stile di Eminem. E la Fifa ha scelto la sua « Wavin’ Flag » , che invoca l’unione dei popoli contro i «signori della guerra», come inno ufficiale per i campionati del Mondo di calcio nel 2010. Trentun anni, nato in Somalia ma costretto da adolescente a chiedere asilo politico, con tutta la sua famiglia, prima negli Stati Uniti e poi in Canada (la sua seconda patria), K’naan ha iniziato a comporre per allontanare l’incubo della guerra civile che ha distrutto il suo paese: «La musica era terapeutica: pensavo che se avessi scritto tutto quello che avevo passato avrebbe reso più tollerabile il dolore». Con due album alle spalle ha collezionato lodi in America, patria dell’hip hop, premi in Canada e in Inghilterra. Nel suo ultimo cd, «Troubadour», Kirk Hammett dei Metallica suona la chitarra nel brano «If Rap Gets Jealous». Ed è solo l’ultima di una lunga lista di collaborazioni ( Youssou N’Dour, Nelly Furtado, i Roots e Damian Marley). « The Dusty Foot Philosopher» non è soltanto il titolo del suo primo album (e di una canzone), ma anche il soprannome che si è dato da solo. «Avevo composto un pezzo per raccontare l’assassinio del mio migliore amico, ucciso quando ero ancora in Somalia. Poi ho notato che le tv occidentali, quando parlano dell’Africa che elemosina aiuto, fanno vedere spesso i bambini. E quasi sempre la telecamera si inquadra i loro piedi polverosi, simbolo della miseria. Ho pensato che tanti anni fa anche i miei piedi erano così. Adesso le persone che girano quei filmati mi rispettano, ho un posto nelle loro vite. Con questo soprannome ricordo il bambino che sono stato: The Dusty Foot Philosopher, pieno di sogni e di idee, ma senza i mezzi per realizzarli», ha spiegato lui che fino a tredici anni ha vissuto nel distretto di Wardhiigleey («fiume di sangue»), ha imparato a usare il fucile a 8 anni e a 11 ha visto morire tre amici. «I somali sono le persone più povere della terra che si confrontano con la situazione più difficile del mondo. Non abbiamo privilegi e il nostro unico scopo è la sopravvivenza. Con i miei amici la sera andavamo sul tetto di un palazzo abbandonato e parlavamo di cavolate. Così tenevamo a distanza la guerriglia e la violenza che ci circondavano». K’naan viene da una famiglia di intellettuali, sua zia Magool era una delle più famose cantanti dell’Africa orientale, il nonno, Haji Mohamed, era un poeta. Il papà lasciò La Somalia per fare il tassista a New York: spediva soldi a casa e al figlio inviava dischi dei rapper Nas e Rakim. «Era difficile che qualcuno conoscesse l’hip hop in Somalia. un paese pieno di musica ma devoto ai suoi suoni. Da noi non vengono popstar internazionali, lì si conosce soltanto Bob Marley e la musica locale». Fela Kuti, Bob Dylan, Nina Simone sono gli artisti a cui si ispira, ma ascolta anche rapper come Rakim, Nas, Gangstarr e Grand Puba. «In "New York State of Mind" Nas descrive come fosse uno scrittore il ghetto d’America. Penso che sia possibile ritrarre la Somalia con lo stesso realismo». E lui vuole raccontare al mondo l’orrore del suo paese perché, nonostante la sua vita randagia, non ha mai tradito le sue origini. «Mi sono sempre sentito in esilio, perché la tua casa non è soltanto un punto sul mappamondo, ma un sentimento, un luogo che ti strega l’anima».