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 2009  dicembre 28 Lunedì calendario

Perché gli Usa sono più infelici della Grecia di Michele Salvati per il Corriere della Sera - Merita di ritornare sul libro di Richard Wilkinson e Kate Pickett (La misura dell’anima

Perché gli Usa sono più infelici della Grecia di Michele Salvati per il Corriere della Sera - Merita di ritornare sul libro di Richard Wilkinson e Kate Pickett (La misura dell’anima. Perché le disuguaglianze rendono le società Feltrinelli, pp. 304, 18) al quale Michele Farina ha già dedicato una bella recensione su questo giornale il 21 novembre scorso: 250 mila riferimenti su Google nei dieci mesi dalla sua pubblicazione in inglese testimoniano un interesse straordinario e che non accenna a diminuire. La tesi è molto semplice: se si considerano i Paesi ricchi – grosso modo, tra il reddito pro capite del Portogallo e degli Stati Uniti’ quelli in cui il reddito è distribuito in modo più diseguale mostrano sistematicamente risultati peggiori per una serie ampia e significativa di indicatori sociali di benessere/malessere. Per citare i principali: disagio mentale (inclusa la dipendenza da alcol e droghe); speranza di vita, mortalità infantile e molte malattie; obesità; rendimento scolastico di bambini e ragazzi; gravidanze in adolescenza; omicidi; tassi di incarcerazione; mobilità sociale; fiducia/sfiducia nel prossimo e nelle istituzioni. Tranne l’ultimo, che riguarda percezioni soggettive rilevate mediante indagini campionarie, tutti gli altri sono indicatori oggettivi, fenomeni e comportamenti rilevati dalle autorità statistiche sul totale della popolazione. I Paesi più diseguali mostrano risultati peggiori anche se si tratta di Paesi più ricchi, nei quali il reddito pro capite è più alto, spesso molto più alto: gli Stati Uniti, ad esempio, sono un Paese molto ricco, con un reddito pro capite molto elevato, eppure soffrono dei problemi sanitari e dei disagi sociali prima ricordati assai più della Spagna o della Grecia (e anche dell’Italia), che hanno un reddito pro capite assai inferiore. Questo è ilmessaggio centrale del libro, ribadito e qualificato con un impressionante ammontare di dati per ognuno dei problemi che abbiamo menzionato e per altri ancora: i due autori sono epidemiologi e hanno cominciato a lavorare trent’anni fa sulle cause delle grandi differenze nella vita media e nell’incidenza di varie malattie tra individui appartenenti a diversi strati della società, sul perché le condizioni di salute peggiorano via via che si scende nella scala sociale. Da allora essi hanno esteso le loro non è per nulla correlato alla diseguaglianza? Da ultimo un passaggio che merita la massima cautela: il passaggio dalle analisi alle raccomandazioni, dall’evidenza scientifica alla politica. Nella prefazione gli autori confessano serenamente che’ prima di optare per il titolo prescelto’ avevano pensato di intitolare il loro libro «La politica basata sull’evidenza», in analogia con la «medicina basata sull’evidenza», che denomina il principio per cui i trattamenti medici dovrebbero essere basati sui migliori risultati scientifici disponibili circa l’efficacia delle diverse cure. Non potrebbe valere lo stesso per la politica? Non sarebbe il caso di togliere i grandi obiettivi della politica’ quelli che definiscono i cardini di un ordine sociale benefico, più egualitario’ dalle mani dei politici e degli ideologi, e affidarli agli scienziati? Ho esagerato un poco nel rappresentare le intenzioni ultime degli autori, ma è impossibile non scorgere nella parte finale del libro una buona dose di ingenuità. Sia i poveri che i ricchi sarebbero avvantaggiati «oggettivamente» da una maggiore eguaglianza: di conseguenza non dovrebbe essere difficile spiegare loro come stanno realmente le cose e determinare un radicale cambiamento nell’opinione pubblica, che induca i politici di tutte le tendenze a tenerne conto. in questo spirito che gli autori hanno creato un sito web (www.equalitytrust.org.uk) per divulgare materiali e creare scambi e legami che favoriscano quel cambiamento. Non vorrei che i miei richiami all’attenzione critica del lettore sminuissero l’interesse per questo libro: la mia intenzione era anzi quella di accrescerlo, di sottolineare la straordinaria importanza dei dati e delle riflessioni che i due autori hanno accumulato. Che una eguaglianza maggiore di quella oggi prevalente in molti dei Paesi più ricchi faccia bene alla società e ai singoli è una convinzione che esce molto rafforzata dalla lettura, anche in coloro che vi erano arrivati attraverso percorsi differenti, meno «scientifici» e più ideologici. E anche nei più scettici, in coloro che temono che una maggiore eguaglianza possa andare a discapito della libertà e dell’iniziativa individuale. E siccome il libro, per quanto leggibilissimo, è pur sempre impegnativo, in questo clima di vacanza lo accompagnerei con un bel romanzo di fantascienza di Ursula Le Guin, The Dispossessed del 1974 ( I reietti dell’altro pianeta, Tea edizioni, 2002), dove si racconta di due società, una su un pianeta e l’altra su un suo satellite; una povera e rigidamente egualitaria, ma triste e noiosa; l’altra ricca e con differenze di reddito e status amplissime, ma dinamica e molto piacevole per chi sta dalla parte giusta della distribuzione del reddito. Ogni riferimento al lavoro scientifico che abbiamo appena segnalato, o più in generale al rapporto tra libertà ed eguaglianza, è da intendersi come puramente casuale.