Giuseppe Sarcina, Corriere della Sera 28/12/2009, 28 dicembre 2009
Famiglie e imprese, il sole diventa un affare di Giuseppe Sarcina per il Corriere della Sera - Senza incentivi pubblici la «green economy all’italiana» sarebbe ancora confinata nei convegni e nei libri degli accademici
Famiglie e imprese, il sole diventa un affare di Giuseppe Sarcina per il Corriere della Sera - Senza incentivi pubblici la «green economy all’italiana» sarebbe ancora confinata nei convegni e nei libri degli accademici. Anche in Italia, come in Germania o in Spagna, la prova più chiara è quella del fotovoltaico, la tecnologia che consente di ricavare energia dai pannelli solari installati sui tetti di case, aziende e uffici. Dal settembre 2005 a oggi il governo ha stanziato 356 milioni di euro, prelevandoli direttamente da una voce sulle bollette di luce e gas e girandoli alle famiglie, alle imprese, ma anche a scuole e ospedali, che si sono dotati di una centralina alimentata dal sole. Sono soldi spesi bene? Sicuramente la risposta non può venire dai numeri correnti del bilancio energetico. In Italia sono attivi 58.584 impianti fotovoltaici, che forniscono alla rete 740 megawatt, più o meno l’1,5% del fabbisogno nazionale di elettricità. Quasi niente. Ma la scommessa della politica, come hanno dimostrato le discussioni e anche i contrasti al vertice di Copenaghen, vale per un futuro che in parte, però, è già cominciato. In Italia si comincia nel 2003, con il recepimento della direttiva europea del 2001 che promuove gli investimenti nelle fonti alternative. Gli incentivi del «conto energia» diventano operativi nel settembre del 2005 (governo Berlusconi) e poi vengono confermati con il decreto del 19 febbraio 2007 (governo di centrosinistra). Oggi la filiera del fotovoltaico, ancora fragile, totalizza nel complesso un giro d’affari di 3,5 miliardi di euro, con 250-260 mila occupati (diretti e indiretti). Per stare in piedi deve appoggiarsi alla stampella pubblica. I primi a riconoscerlo sono gli stessi imprenditori e i manager che si trovano nelle posizioni di avanguardia. Come Alessandro Sotgiu, 43 anni, laurea in economia e commercio, amministratore delegato di Solarday, una delle aziende italiane leader, 60 milioni di fatturato, uno stabilimento a Mezzago (106 dipendenti), in Brianza, alle porte di Milano. Il meccanismo degli incentivi funziona così: chi si fa montare un impianto può vendere l’energia prodotta al Gestore dei servizi energetici (Gse) che riconoscerà un prezzo fisso per 20 anni. La quotazione varia a seconda della potenza e del grado di «integrazione» del sistema solare nell’edificio: si va comunque da un minimo di 39 centesimi a un massimo di 49 centesimi al kilowattora. Naturalmente il proprietario non paga l’energia consumata e, grazie ai soldi del governo, è in grado di ammortizzare il costo dell’installazione in sette-otto anni (intorno ai 13 mila euro per i 3 kilowatt a uso familiare). «Ancora non sappiamo se e come il governo intenderà rinnovare il decreto sugli incentivi che dovrebbe raggiungere l’obiettivo prefissato (1.200 megawatt installati, ndr) verso la metà del 2010’ dice Sotgiu ”. Senza quei contributi, che si spalmano su tutto il settore, sarebbe quasi impossibile andare avanti. Nel 2009 i prezzi dei pannelli fotovoltaici sono crollati da 3 euro a 1,7. Nonostante questo, nel primo semestre dell’anno la domanda in Italia si è fermata. Noi della Solarday abbiamo retto, perché diversifichiamo le vendite anche su mercati esteri. Ma ora in Italia è forte quello che chiamiamo il rischio normativo. Nel 2009 la nostra azienda ha prodotto impianti per 35 megawatt. Per il prossimo anno, contando anche sul rinnovo degli incentivi, potrebbe arrivare a 60 megawatt. Per noi sarebbe un salto enorme, anche se rimarremmo a grandissima distanza dai colossi cinesi che, in Italia, vendono almeno 10 volte più di noi». Anche Roberto Salis, 50 anni, amministratore delegato della Buderus di Assago (Milano), migliaia di artigiani, antennisti, specialisti in caldaie o condizionatori, che si propongono (e talvolta si improvvisano) come installatori di pannelli. In Italia, però, il ruolo pubblico ha diverse varianti. Oltre ai contributi, contano i permessi regionali. Così c’è la Moncada Energy, guidata da Salvatore Moncada, che il 21 dicembre scorso ha aperto a Campofranco (Caltanissetta) il primo stabilimento italiano per la produzione di pannelli fotovoltaici «a film sottile» (la tecnologia più avanzata). E ci sono i toscani Mario e Paolo Campinoti, padre e figlio, titolari della Pramac (società con sede a Siena e quotata in Borsa) che uno stabilimento con le stesse caratteristiche sono andati a costruirlo a Locarno, in Svizzera. «Lo abbiamo realizzato lì perché in Italia i tempi di attesa sono quattro volte più lunghi – spiega Paolo Campinoti, 42 anni, amministratore delegato ”. Abbiamo investito 80 milioni di euro. Il mercato va troppo veloce e non potevamo aspettare. La Pramac Swiss è attiva da luglio e dà lavoro a 180 persone». Se la burocrazia è un ostacolo, la concorrenza dei cinesi può diventare una barriera insormontabile. Sono stati loro i più rapidi a correre nelle praterie dei mercati mondiali della «green economy». L’Italia non fa eccezione. Luciano Brandoni, 54 anni, titolare della Brandoni solare, stabilimento a Castelfidardo (Ancona), racconta: «Nel 2006 sono stato in Cina con una delegazione di imprenditori e, tra le altre cose, sono rimasto profondamente colpito da quello che stavano realizzando nel fotovoltaico. Quando sono tornato a casa, la mia azienda di radiatori da arredamento mi sembrava improvvisamente invecchiata. Nel futuro vedevo solo pannelli solari. Ho cominciato a ragionare, anche se all’inizio molti pensavano che fossi diventato un pazzoide. Alla fine mi sono detto: se ci dobbiamo fare male, almeno puntiamo al massimo della qualità, perché è l’unico modo per togliere un po’ di spazio ai cinesi. Ora ci prepariamo a triplicare il fatturato nel 2010, passando da 20-25 milioni a 60-70 milioni, aumentando da 25 a 40 il numero dei dipendenti» Alla base della piramide sono in grande fermento imicrocosmi di artigiani e piccoli imprenditori, con forte concentrazione soprattutto in Lombardia (prima regione per numero di impianti), ma anche in Puglia (al primo posto per potenza installata). Ancora una volta i risultati sono alterni. Franco Bianchi, 60 anni, titolare della Bianchi Franco snc di Bologna, ha deciso quattro anni fa di affiancare alla sua attività di installatore di impianti elettrici e di sistemi di allarme anche quella di montatore di pannelli fotovoltaici: «A noi le cose stanno andando bene. Lavoro con i miei due figli, più tre soci e quattro dipendenti. Ho puntato sul terziario, i miei clienti sono soprattutto uffici e negozi. Se faccio due conti vedo che per noi il fotovoltaico copre già il 20% del nostro fatturato, su un totale di un milione di euro. Ed è una quota che crescerà ancora». Giosuè Rosano, 46 anni, di Senago, in provincia di Milano, sta pensando, invece, di fare un passo indietro. «Ho cominciato da elettricista, andando in giro con la cassetta degli attrezzi. Oggi sono titolare di una piccolissima impresa familiare, la Gecry sas: siamo io e mio figlio, più il progettista che è un ingegnere. Lavoro spesso in subappalto e, se devo comprare io i pannelli, cerco di starci dentro con le spese. Quelli che compro arrivano dalla Repubblica Ceca, ma non saprei dire dove sono fabbricati. In ogni caso, non so se andrò avanti, finora non ho guadagnato molto». I dati di Unioncamere, fanno notare alla Cna (Confederazione nazionale artigianato), riflettono il «dualismo» nelle microimprese del fotovoltaico: il 70% delle società iscritte in questo comparto è formato da 1 o 2 persone. « un mestiere difficile’ osserva ancora Franco Bianchi – se cala la domanda, vedo che ad andare sotto sono i miei concorrenti più piccoli, quelli meno strutturati». Evidentemente nella parte bassa della filiera i margini di guadagno non sono ancora consolidati. Segno che l’ombrello dei contributi pubblici, per quanto sia grande, non può mettere tutti al riparo. (PRIMA PUNTATA, LA SECONDA, SULLA CASA ECOLOGICA, DEL 4/1/2010).