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 2010  gennaio 01 Venerdì calendario

GIANNI POGLIO PER PANORAMA 1 GENNAIO 2010

Gabriel: benvenuti nel mio mondo nascosto «Mai più con i Genesis: non voglio tornare adolescente». Alla vigilia di «Scratch my back», il suo primo album di cover, il grande cantante parla a ruota libera di vita, arte e morte. Del rapporto ritrovato con il padre di 97 anni. Del suo buen retiro in un hotel sardo. E di quella volta che a cena lui, Nelson Mandela, Jimmy Carter, Desmond Tutu e Kofi Annan...

«Vorrei offrirle un caffè, ma oggi la macchina dell’espresso non vuole lavorare. Mi aiuta a convincerla?». Inizia così l’incontro con Peter Gabriel in una tiepida mattina d’inverno a Londra. La lettura a quattr’occhi del manuale d’istruzioni non produce risultati. «Schiacciamo tutti i tasti, qualcosa succederà» dice Gabriel senza tradire impazienza. Niente da fare. La sconfitta davanti alla moka tecnologica sembra inevitabile, quando l’imbarazzante verità viene a galla: il marchingegno non è collegato alla presa elettrica.
«Racconti tutto senza censure: quel giorno che Peter Gabriel fece flop» dice, tra le risate, l’ex cantante dei Genesis mentre, con calma olimpica, tenta di accoppiare due tazze da cappuccino con i relativi piattini. «Forse non sono quelle giuste. Se mi dà mezz’ora, potrei trovare quelle da espresso...».
Sembra che lei non abbia mai fretta. Nella vita come nel lavoro. Tra un disco e l’altro passano come minimo cinque o sei anni. Non la spaventa lo scorrere del tempo?
L’ansia da «oddio come sto invecchiando» non aiuta la creatività e trasforma la vita in un tragicomico conto alla rovescia. Il pensiero ossessivo blocca l’azione. Sempre. Non si può fare un disco con il calendario in mano. Ovviamente mi riferisco alla musica con un impatto emotivo, un valore artistico. Se invece parliamo di canzoni da sottofondo ai grandi magazzini, allora basta poco.
Qual è il vero motivo per cui ha sempre detto no a una reunion dei Genesis? abbastanza ricco da non aver bisogno di tornare a suonare con i suoi vecchi compagni di gruppo?
Non ho problemi di soldi e questo mi aiuta a non avere tentazioni nostalgiche. So che i fan non aspettano altro, ma a volte i desideri del pubblico non coincidono con il percorso umano e psicologico di un artista. Riformare i Genesis sarebbe come tornare sui banchi di scuola e, francamente, a quasi 60 anni, non ho voglia di rivivere l’adolescenza.
Meglio occuparsi del suo hotel nel nord della Sardegna.
In quel resort mi sono sposato. Quando ho scoperto che i proprietari lo stavano vendendo a un’impresa che lo avrebbe abbattuto, per costruirne uno più grande, ho chiamato il mio manager e gli ho detto: è ora di mettere mano al portafoglio, c’è un pezzo della mia vita che sta per essere demolito. Lo sto rifacendo a mia immagine e somiglianza con stanze più grandi e un arredo essenziale. Voglio che si respiri un’atmosfera da primi anni Sessanta, senza megaschermi e telecomandi, utilizzando molto materiale usato o riciclato. In un’era dove si butta tutto e non si ripara più niente, ho fatto una scelta in controtendenza.
Saggezza da sessantenne o retaggio dell’educazione familiare?
L’uomo nella stanza qui a fianco è mio padre, ha 97 anni e una brillante carriera di ingegnere elettronico alle spalle. Sta riparando un vecchio televisore da tre giorni ed è quasi alla fine del suo lavoro. Per buona parte della vita l’ho combattuto, ho cercato di dimostrargli quanto fossi più avanti di lui. Poi, 10 anni fa, abbiamo fatto una passeggiata in un bosco con un maestro di yoga. Ci siamo seduti uno di spalle all’altro, tenendo incollate le spine dorsali, e ci siamo detti tutto. Senza sconti o ipocrisie. Abbiamo anche pianto molto...
Da quel momento, siete tornati in armonia?
All’immagine del padre avversario si è sovrapposta quella dell’uomo solido, della guida morale e spirituale. Mi viene un nodo alla gola se penso a quello che mi ha detto qualche settimana fa.
Discorsi sulla vita e la morte?
Mi ha chiesto senza mezzi termini di cantare al suo funerale. Sarà la performance più difficile e dolorosa della mia vita, ma non posso tirarmi indietro. Mi auguro che quel momento arrivi il più tardi possibile, ma so che arriverà. E io soffrirò molto.
A febbraio uscirà «Scratch my back», il suo primo album di cover. Da «Heroes» di David Bowie a «Street spirit» dei Radiohead, a «Philadelphia» di Neil Young... Non aveva più niente di nuovo da incidere?
Ho voluto fare un disco di buona musica lavorando su materiale altrui. Mi sono regalato il piacere di dedicarmi a canzoni fatte e finite, concentrandomi sulla qualità del suono e dell’interpretazione. Ci tengo a dire che non è un cd furbo che ripropone pezzi noti in una versione radiofonica. Anzi, le mie versioni di questi brani sono piuttosto oscure e molto rispettose. Gli artisti di cui ho interpretato le canzoni ricambieranno gentilmente, incidendone poi una delle mie. Un meraviglioso patto tra gentiluomini.
Quando lei parla di musica, la parola rispetto ricorre spesso.
L’arte è preziosa e va trattata con la cura che merita. Non ho un pregiudizio verso i talent show. Di fatto, i cantanti che emergono in questo tipo di gare televisive rappresentano il 50 per cento del music business, ma ci sono canzoni che richiedono interpreti all’altezza della sfida. Non è che si può prendere un pezzo di Bob Dylan e farlo cantare da un tizio vestito come uno degli Abba, magari con una scenografia da villaggio turistico alle spalle.
Vuole esporsi alla critica di non essere al passo con i tempi e di non capire il valore della contaminazione totale?
Guardi, io ho fatto della contaminazione tra generi musicali una delle ragioni della mia carriera. Ho preso elementi di musica etnica e li ho innestati in brani rock e pop. Ma c’è contaminazione e contaminazione: rendere ridicolo o banale un grande classico non rende un buon servizio alla musica e nemmeno a chi la interpreta. Non si può storpiare tutto in nome della modernità e non sempre quello che appare rivoluzionario lo è poi davvero.
Si piace nei panni del grande saggio?
Mi piaccio, ma non mi sento né grande né saggio. I veri saggi sono quelli che io e Richard Branson, il fondatore della Virgin Records, abbiamo messo insieme nella stessa stanza: Jimmy Carter, Nelson Mandela, Desmond Tutu e Kofi Annan. Si sono seduti a un tavolo e hanno detto: «Se la nostra esperienza può servire a risolvere uno qualsiasi dei problemi del mondo, contate su di noi».