Linda Grilli, Panorama, 1 gennaio 2010, 1 gennaio 2010
LINDA GRILLI PER PANORAMA 1 GENNAIO 2010
Videogiochi? Tutta salute Le ultime ricerche riabilitano i videogame: usati con moderazione, non solo migliorano le prestazioni cognitive e l’organizzazione del pensiero, ma funzionano da antistress e fanno bene al cuore. E sono anche un potente collante sociale.
Ma chi l’ha detto che i videogiochi sono nocivi? Non la scienza, che anzi sta accumulando sempre più studi per dire che i videogame fanno bene alla salute. A spezzare una lancia in loro favore ha pensato per prima la rivista Scientific American, pubblicando già lo scorso febbraio i risultati di alcuni studi, secondo i quali si possono migliorare sensibilmente le proprie capacità cognitive non solo con una sana alimentazione e un costante esercizio fisico (questo si sapeva), ma anche dedicandosi ad attività come la meditazione e, appunto, i videogame.
Merito di come è fatto il nostro cervello, capace anche in un adulto di essere plastico e di dare vita a nuove cellule nervose, se adeguatamente stimolato. La rivista americana cita un esempio singolare: i chirurghi che impegnano 3 ore del proprio tempo impugnando un joystick, una volta in sala operatoria commettono un terzo degli errori in meno rispetto ai colleghi non giocatori. Il motivo? Allenarsi con videogame come First person shooter (in cui la visuale di gioco simula il punto di vista del personaggio principale) migliora le abilità cognitive, rafforzandone il coordinamento occhio-mano e la percezione della profondità.
Le ricerche illustrate da Scientific American non sono le uniche a sostegno dell’effetto salutare dei videogame. A maggio Nature Neuroscience ha pubblicato i risultati di un’indagine di ricercatori del dipartimento di psicologia del Neuroscience institute di Princeton (Usa): giocare con alcune tipologie di videogame, in particolare quelli d’azione, potenzierebbe notevolmente la capacità visiva legata alla sensibilità al contrasto. In altre parole, giochi come Assassin’s Creed II, il seguito della saga ambientata fra le bellezze di Firenze, Venezia, Roma sul finire del XV secolo, allenerebbero gli occhi a distinguere meglio gli oggetti quando la luce scarseggia, all’imbrunire o in caso di nebbia.
Le sorprese non finiscono qui. In occasione del meeting annuale dell’American heart association, tenutosi lo scorso novembre a Orlando (Florida), alcuni ricercatori del National institute of health and nutrition di Tokyo hanno reso note le conclusioni di un’analisi sui benefici per il cuore dei videogame «attivi»: quei giochi che, telecomando alla mano, permettono di mimare attività sportive saltellando su apposite pedane. La ricerca (finanziata dalla Nintendo e condotta su 12 uomini e donne tra 25 e 44 anni) ha dimostrato che giocare con Wii Sport o Wii Fit equivale a compiere un esercizio fisico di intensità moderata, ideale per mantenere in salute il sistema cardiocircolatorio.
Non tutti gli esperti concordano sulle proprietà benefiche dei videogiochi, soprattutto nel caso dei teenager. Esiste, per esempio, il pericolo di epilessia da videogiochi: una particolare forma stimolata (nei soggetti predisposti) dall’esposizione prolungata a monitor e immagini luminose. «Colpisce quasi 1,1 bambini su 100 ed è provocata dalla fotosensibilità» spiega Federico Vigevano dell’ospedale Bambino Gesù di Roma. «Quando ci avviciniamo allo schermo, il cervello percepisce una frequenza che è la metà di quella del televisore: più pericolosa per chi è fotosensibile. Per ridurre il rischio è bene preferire schermi ad alta frequenza o a cristalli liquidi».
Fra i timori più diffusi, epilessia a parte, l’insorgere di comportamenti aggressivi provocati dalle scene di violenza di alcuni giochi. Tutti ricorderanno la levata di scudi in seguito all’uscita in Italia di Rule of Rose, accusato di contenere scene di sadismo a danno di una ragazzina di 19 anni. Senza contare le polemiche suscitate dal videogame Doom quando, nel 1999, i due ragazzi americani responsabili del massacro della Columbine High School dichiararono di essere grandi fan del titolo.
«In realtà, i videogame sono assai meno pericolosi di molte immagini propinate ai ragazzi da tv o telegiornali» replica Francesco Antinucci, direttore della sezione Processi cognitivi e nuove tecnologie all’Istituto di psicologia del Cnr. «Abbiamo testato sperimentalmente questo effetto sui giovani e i risultati sono stati sorprendenti: più la violenza delle scene mostrate è esagerata, più resta in un contesto irreale, implausibile. E quindi percepita come innocua. Passando invece a situazioni più vicine alla realtà, l’impatto sui ragazzi è molto più forte, addirittura spaventoso».
Una cosa è certa: le ore passate dai giovanissimi davanti ai videogiochi sono in aumento, mentre cala l’età in cui si inizia a giocare. Un’indagine condotta dal Movimento italiano genitori (Moige) traccia un quadro completo delle abitudini dei giovani videogamer italiani. Emerge così che il 46 per cento dei ragazzi gioca almeno una volta al giorno, il 12 per cento anche in più riprese; una sessione di gioco dura mediamente un’ora, ma una quota di appassionati, pari al 20 per cento, dedica a questa attività fino a 2 ore al giorno.
Si registra inoltre una tendenza sempre più marcata da parte delle bambine: se la quota di ragazze che ama i videogiochi costituisce appena un quarto dei giocatori nella fascia 13-17 anni, si arriva a punte del 30 per cento tra le più piccole (7-12 anni). In generale, un bambino su quattro inizia a giocare già a partire dai 3 anni, mentre il 30 per cento dei ragazzini tra i 7 e i 12 anni ha imparato in età prescolare, contro appena il 10 per cento di quanti hanno oggi dai 13 ai 17 anni.
Ma quali rischi corre un ragazzo che passa molto tempo con i videogame? «Il gioco è un’attività che l’evoluzione umana si è inventata per permettere l’apprendimento» prosegue Antinucci. «Un bambino che gioca simula comportamenti che possono servirgli da adulto: più gioca, più apprende, senza esporsi agli stessi rischi che tale attività comporterebbe nella realtà. Un videogame ha caratteristiche potenziate, che permettono di esercitarsi in un modo non consentito dalla realtà. In questo senso è uno strumento più coinvolgente, ma c’è il rischio di perdere il controllo. Del resto, anche giocare a calcio all’aria aperta 24 ore al giorno sarebbe deleterio, perché impedirebbe a un ragazzo di sperimentare altre attività».
Anche un recente studio commissionato dall’Europarlamento sembra assolvere i videogiochi dalle tradizionali accuse: in base ai dati raccolti non ci sarebbero prove concrete di collegamento tra videogiochi e comportamenti devianti o violenti. Al contrario il gaming contribuirebbe allo sviluppo di importanti fattori, tra i quali i riflessi, la strategia, il senso dell’innovazione e la creatività. In ogni caso, l’Unione Europea è impegnata da tempo nella diffusione del Pegi (Pan European game information): un sistema di classificazione in base all’età che permette ai consumatori di verificare l’adeguatezza del contenuto del gioco in termini di protezione dei minorenni. Il sistema è impiegato in oltre 30 paesi europei e riceve il supporto dei principali produttori di console (tra cui Sony, Microsoft e Nintendo), oltre che degli editori e degli sviluppatori di giochi interattivi di tutta Europa.
«Il problema» conclude Antinucci «non sono i videogiochi in sé, ma cosa si apprende giocando con essi. Grazie a un progetto europeo sviluppato con l’Istituto provinciale per la ricerca, l’apprendimento e la sperimentazione educativi del Trentino (Iprase), abbiamo preparato videogiochi di matematica e italiano da sperimentare con i bambini». Il gruppo di studenti che ha usato questi giochi ha ottenuto risultati migliori rispetto al gruppo di controllo, dal punto di vista sia dell’apprendimento sia della motivazione.
«Sui videogiochi esistono molti miti da sfatare. Il mio consiglio ai genitori è di usare il buonsenso: partecipare in modo attivo alla scelta dei giochi per i propri figli, giocare con loro ai videogame e soprattutto sorvegliarne il comportamento davanti al computer, per accorgersi tempestivamente di eventuali problemi».