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 2010  gennaio 01 Venerdì calendario

ANTONIO ROSSITTO PER PANORAMA 1 GENNAIO 2010

Indagini anno zero Dopo l’assoluzione di Alberto Stasi si è aperta una dura polemica sui metodi dell’inchiesta. Ma il delitto di Garlasco è solo l’ultimo di una serie di casi dove i pm hanno investito grandi risorse per concludere poco.

sfilato verso il fondo dell’aula a testa bassa, evitando d’incrociare gli sguardi degli avvocati, dei colleghi e dell’imputato. Era il 17 dicembre. Qualche minuto prima Stefano Vitelli, il giudice del tribunale di Vigevano, aveva seppellito le indagini sul giallo più controverso degli ultimi anni: quello di Garlasco. Alberto Stasi va assolto perché gli indizi contro di lui sono insufficienti e le prove contraddittorie. Così un giudice di 35 anni, jeans e barba incolta, è diventato un eroe. Tutti hanno tributato onore al suo coraggio. Ha fatto giustizia, dicono. Non tanto per il proscioglimento di Stasi, ma per avere cassato un’istruttoria lacunosa e parziale. Qualche giorno prima, l’8 dicembre, altri giudici sentenziavano sull’omicidio di Perugia. In quel caso però il verdetto è stato opposto:Amanda Knox e Raffaele Sollecito sono colpevoli e hanno ucciso la studentessa inglese Meredith Kercher. Una severità che non ha però risolto perplessità e misteri.
E il punto è proprio questo. Sempre più spesso le inchieste alimentano dubbi più che risolverli. Molti casi degli ultimi anni sono stati segnati da controversie: i fratellini scomparsi a Gravina, il delitto di Cogne, la morte per percosse della piccola Matilda, i bambini molestati di Rignano Flaminio, Unabomber... Tutte storie legate dallo stesso difetto: le indagini, invece che offrire certezze, sono diventate un thriller dal finale imprevedibile. Instillando nell’opinione pubblica l’idea di un sistema incapace di conclusioni certe, e dal quale non escono tanto verità processuali quanto tesi azzardate.
Insomma, indagini all’anno zero. Proprio com’è accaduto a Garlasco. Chiara Poggi, 26 anni, viene uccisa in casa sua il 13 agosto 2007: la trovano lungo le scale della cantina con la testa fracassata. Gli accertamenti partono male. A cominciare dai sopralluoghi sulla scena del crimine: gli investigatori lasciano impronte ovunque. Ma lo scivolone più grave arriva il 24 settembre: Stasi viene arrestato perché i carabinieri del Ris hanno trovato su un pedale della sua bicicletta tracce di sangue: è della fidanzata, si dice. Dopo pochi giorni, però, le certezze cadono: il sangue potrebbe non essere sangue. Stasi viene scarcerato.
La procura allora si concentra su altro. Sul computer del ragazzo, innanzitutto: per l’accusa è stato usato in un orario tale da non rappresentare un alibi. Poi ci sono le scarpe dell’indagato. Hanno calpestato il soggiorno dei Poggi, pieno di macchie di sangue. Ma le suole sono immacolate. Com’è possibile? Particolari e indizi apparentemente schiaccianti si affastellano sui giornali. Fino al 30 aprile 2009, quando Vitelli deve decidere sul «biondino dagli occhi di ghiaccio». Il giudice però esce dalla camera di consiglio con molte perplessità: «Emergono incompletezze» e «scorrettezze metodologiche» nelle indagini, scrive nell’ordinanza. Il verdetto viene procrastinato e l’inchiesta deve ripartire. Viene nominato uno stuolo di periti per riesaminare gli indizi. Il 17 dicembre Stasi viene assolto dopo 27 mesi di gogna mediatica.
A Perugia è andata diversamente. Il 5 dicembre 2009 la Corte d’assise ha deciso: 26 anni per la studentessa americana Amanda Knox e 25 per l’ex fidanzato, l’ingegnere pugliese Raffaele Sollecito. Assieme all’ivoriano Rudy Guede, già condannato a 30 anni, hanno ucciso Meredith Kercher, la studentessa inglese trovata sgozzata il 2 novembre 2007 in un appartamento per fuorisede.
Ma la sentenza non ha ridotto lo scetticismo che ha circondato le indagini. Opinione pubblica e mass media americani, indispettiti per la condanna della concittadina, hanno accusato i magistrati. Si è mossa perfino Hillary Clinton, segretario di Stato Usa. Partigianerie a parte, la decisione del tribunale di Perugia non è proprio incontrovertibile. Il movente sessuale non è mai stato chiarito. L’arma è il coltello sequestrato a Sollecito? Forse. Il processo si è basato soprattutto sulle risultanze scientifiche. Ma il reggiseno di Meredith, dov’è stato trovato il dna del ragazzo, è stato repertato un mese dopo il delitto. E le tracce di Amanda in bagno per la difesa potrebbero essere state lasciate in un altro momento.
Garlasco e Perugia: i due omicidi sono il simbolo dello strapotere assunto dalle indagini scientifiche. Che sempre più spesso si rivelano fallaci. O discutibili. Carlo Torre, medico legale, è deciso: «La scienza non risolve mai niente» dice «è solo un supporto ai metodi tradizionali, che sembrano paralizzati». La colpa sarebbe anche dei pubblici ministeri: «Dovrebbero studiare le tecniche scientifiche e non subirle: solo così potrebbero discernere il materiale buono dagli scarti».
Torre è stato perito di parte anche nel processo di Cogne: un altro caso dove le indagini hanno subito accuse. Annamaria Franzoni è stata condannata in via definitiva il 24 maggio 2008: la mattina del 30 gennaio 2002, per i giudici, ha ucciso il figlio Samuele Lorenzi, di 3 anni. La giustizia non ha tentennato: colpevole in ogni grado di giudizio. Ma la coerenza giudiziaria non ha fugato le perplessità. L’arma non è stata individuata. E l’ora della morte mai fissata. Manca anche il movente: perché una donna sana di mente ha massacrato il figlio in quel modo?
Annamaria Franzoni è stata condannata sulla base di contestati esami del Ris sul pigiama e sugli zoccoli che avrebbe indossato. Ma dalle investigazioni tradizionali non è emerso nemmeno un labile indizio. «L’idea che non si sappiano più fare le indagini è legata all’uso incontrollato delle prove scientifiche: ormai c’è un affidamento acritico» sostiene l’avvocato milanese Oreste Dominioni, presidente dell’Unione delle camere penali.
Esito diverso da quello di Cogne ha avuto un caso analogo: quello che ha coinvolto Elena Romani, accusata di avere ucciso la figlia Matilda, di 22 mesi. Le contestazioni sembravano granitiche. L’arma del delitto era una scarpa rosa. E la confessione era contenuta in un’intercettazione. Ma in aula le certezze si sono sgretolate: calzatura non compatibile con le ferite, telefonata confusa. Romani è stata assolta anche in appello, il 15 dicembre 2009. La corte ora ha chiesto verifiche sul convivente: si ripartirà da zero.
Esattamente quel che si dovrà fare per scoprire Unabomber: il misterioso dinamitardo che dal 1994 al 2006 ha terrorizzato il Nord-Est. Anche qui l’indagine è costellata da storture. Nel 2003 fu addirittura creato un pool. Seguirono cinque anni d’investigazioni: costose, titaniche e sempre inefficaci. Il sospettato, l’ingegnere Elvo Zornitta, è stato scagionato all’inizio di quest’anno. Nel frattempo, in luglio, è stato condannato il poliziotto Ezio Zernar per avere manomesso un lamierino: incolpato dagli stessi magistrati con cui collaborava per dare un volto al dinamitardo.
Epilogo simile ha avuto l’inchiesta sulla sparizione di Ciccio e Tore: i fratellini di Gravina, in Puglia, scomparsi nel giugno 2006 e ritrovati morti 18 mesi dopo in una vecchia cisterna. Unico indagato è stato il padre, Filippo Pappalardi. rimasto in carcere 4 mesi, accusato di averli uccisi e di avere nascosto i corpi. Anche per colpa di un errore: sul verbale che lo incriminava, un poliziotto ha scritto la data sbagliata. Sbaglio o dolo? Chissà. Intanto procura e squadra mobile di Bari non hanno ancora finito di polemizzare sugli errori compiuti.
Perché tanti errori? L’avvocato Franco Coppi, che insegna diritto penale alla Sapienza di Roma, ha una teoria: «C’è uno squilibrio troppo forte a favore dell’accusa. Le prove a favore spesso il magistrato non le vede nemmeno: imbraccia una tesi e va avanti. Se la difesa potesse vigilare sulle indagini, alcune potrebbero anche essere raddrizzate».
Coppi difende due dei cinque inquisiti per i presunti abusi sessuali su 21 alunni della scuola materna di Rignano Flaminio. In luglio il pm di Tivoli, Marco Mansi, ha chiesto il rinvio a giudizio. Le evidenze però non sembrano granitiche.
Sui bambini non sono stati trovati segni di violenza. Nessun dipendente della scuola ha riferito di allontanamenti dalle classi. E la «casa degli orrori» non è stata individuata. L’inchiesta si basa solo su discordanti testimonianze. Alcuni alunni hanno parlato anche di un «uomo nero» che partecipava ai giochi erotici. Due bambini hanno creduto di riconoscerlo in Kelum Da Silva, un benzinaio cingalese. L’uomo si è fatto 14 giorni di carcere per poi essere prosciolto. Dopo le accuse lo hanno licenziato ed espulso dall’Italia. Tornato in patria, racconta sgomento ai concittadini di non avere capito perché gli hanno rovinato la vita.