Angela Calvini, l’Avvenire 23/12/2009, 23 dicembre 2009
«A 90
anni do l’addio al teatro» -
«Basta col teatro: compio novant’anni e mica posso andare in scena col bastone. Come diceva Oscar Wilde la tragedia della vecchiaia non è quella di essere vecchi, ma quella di essere ancora giovani». Uno spirito corrosivo, un’intelligenza lucida (ha anche un blog su internet) e una grande presenza scenica, il mattatore e regista Mario Scaccia dà l’addio al teatro ma in realtà, confessa, continuerà a lavorare in qualche recital. E il 26 dicembre, data del suo novantesimo compleanno, sarà protagonista di una grande festa in suo onore organizzata dall’Eti al Teatro Valle nella sua Roma.
Maestro, come si prepara a questo traguardo?
«In realtà sarà un compleanno molto triste: vivo con mia sorella che da due anni è malata di alzheimer. Per fortuna ho tanti amici, colleghi e allievi che mi vogliono bene e che mi telefonano».
E che festeggeranno anche i suoi oltre 60 anni di carriera teatrale: come è iniziata?
«Debuttai a tre anni nei panni di una bambina nella filodrammatica di mia zia. stata la guerra, però, a farmi scegliere il mestiere d’attore: a vent’anni ero ufficiale in Sicilia, sbarcarono gli americani e mi fecero prigioniero portandomi in Marocco. Vi rimasi tre anni e lì, tra i miei commilitoni, cominciai a recitare sul serio. Tornato a Roma, abbandonai gli studi di Pedagogia ad un passo dalla laurea e nel 1945 mi iscrissi all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica».
Da subito lei ha avuto dei grandi compagni di viaggio.
«A scoprirmi fu il grande attore Besozzi che mi volle subito in compagnia. In accademia avevo come compagni di corso Tino Buazzelli, Paolo Panelli, Rossella Falk, Nino Manfredi. Nel 1961 creai con Franco Enriquez, Valeria Moriconi e Glauco Mauri la Compagnia dei Quattro, poi recitai con Gassman. In effetti, una gran bella compagnia».
Lei che è stato regista e anche insegnante, come trova i giovani attori d’oggi?
«Allora c’erano più possibilità. Oggi in tanti vogliono fare l’attore: io dico loro di avere pazienza, ma è vero che occorre fortuna. E poi oggi la situazione è difficile, il teatro viene osteggiato ».
Perché, secondo lei?
«In tanti anni, passando dalla rivista a Shakespeare, da Miller a Goldoni, ho visto il teatro cambiare in peggio. Allora il teatro era un fatto vivo. Oggi vedo la gente distratta dai telefonini, da internet. Il palcoscenico ha perso la sua qualità più bella: quella di riunire le persone intorno a un fatto, un’idea».
Lei ha, però, fatto anche molta tv.
«Albertazzi ed io siamo stati fra i primi attori teatrali ad essere chiamati in televisione. La Rai mi scritturò per un anno per ben 75mila lire la settimana, una pacchia, per recitare in commedie, romanzi sceneggiati, spettacoli leggeri. Certo, era un’altra tv, ho interpretato grandi sceneggiati da L a pisana del 1960 a Le avventure di Pinocchio di Comencini».
Comencini, Blasetti, Zampa, Campanile, Petri: lei non si è fatto mancare neanche il cinema importante.
«Dalle telecamere alle cineprese per me è stato facile, ed ho avuto la fortuna di incontrare grandi registi. Ho pero un solo rimpianto: di non aver mai lavorato per Fellini. Pensi che eravamo amici da prima che diventasse regista. Io ero molto amico di Mastroianni e della Masina, con cui recitavo nella compagnia universitaria, e Federico veniva tutte le sere a prendere la sua fidanzata. Fellini era un genio, ma lavorava solo quando era ispirato, per la disperazione dei produttori e degli attori. Un giorno mi disse: ’Creo un personaggio solo per te, nel mio Casanova. Se non lo fai tu, lo cancello’. Ovviamente, quando si decise a girare il film io ero in tournée e il personaggio saltò».