Marco Del Corona, Corriere della Sera 23/12/09, 23 dicembre 2009
La Cina mette l’università sotto accusa - Quando al capezzale di Qian Xuesen, riverito padre del programma missilistico e spaziale della Cina maoista, è apparso Wen Jiabao, lo scienziato novantottenne non è stato meno micidiale delle traiettorie che studiava: compagno primo ministro, perché le nostre scuole non riescono a produrre talenti eccellenti? Morto Qian lo scorso 31 ottobre, la domanda ha cominciato a vorticare
La Cina mette l’università sotto accusa - Quando al capezzale di Qian Xuesen, riverito padre del programma missilistico e spaziale della Cina maoista, è apparso Wen Jiabao, lo scienziato novantottenne non è stato meno micidiale delle traiettorie che studiava: compagno primo ministro, perché le nostre scuole non riescono a produrre talenti eccellenti? Morto Qian lo scorso 31 ottobre, la domanda ha cominciato a vorticare. Neanche due settimane dopo, undici professori universitari della provincia dell’Anhui hanno scritto una lettera aperta al nuovo ministro dell’Educazione, Yuan Guiren. «La gente medita sulle parole di Qian, che ha posto una questione pesante ma ineludibile». I docenti riconoscono imeriti del sistema educativo cinese, ma non si nascondono «i molti problemi preoccupanti, alcuni profondi». Eccoli: formazione mirata esclusiva - mente al superamento degli esami, corruzione, plagio delle tesi di laurea. «Occorre valutare a mente fredda – hanno scritto – se, nel formare i talenti, la nostra educazione corrisponda davvero alle necessità sia dello sviluppo economico e sociale sia dello Stato». La franchezza degli undici ha portato allo scoperto rovelli che da tempo agitano la leadership di Pechino o almeno la parte più illuminata di essa. Il sospetto è che, a fronte delle magnifiche sorti e progressive dello sviluppo economico, il sistema educativo e soprattutto universitario non riesca a tenere il passo, a parte alcune istituzioni d’eccellenza. Qualche tentativo pilota di aggiornamento delle metodologie nelle scuole inferiori si registra, sì, magari attingendo alle risorse del «pensiero laterale». Però è l’accademia che vacilla. Intervistato dall’ufficialissimo China Youth Daily, un ex vicerettore della Peking University, Wang Yiqiu, ha provato a circoscrivere l’allarme: « alla prossima generazione che dobbiamo chiedere talenti straordinari. Il miracolo della crescita economica dipende soprattutto dalla densità del lavoro. In questa fase non occorrono talenti straordinari. Quando serviranno, faranno la loro comparsa». Ma ha ammesso che «gli studiosi amano fare i funzionari per avere privilegi e risorse. Se quest’atteggiamento andrà avanti le nostre scuole patiranno». Il ministero ha lanciato, con una certa discrezione per non dare l’idea di un’educazione elitaria, un «piano Everest»: scegliere subito, da 11 università scientifiche d’eccellenza, una crema di 500 studenti, da portare poi a 2 mila e coltivare come il meglio delle giovani intelligenze cinesi. Il panorama che spesso affiora anche sui media giustifica le inquietudini. Le università non sono indenni dai giri di corruzione e malaffare che corrodono i poteri locali. Uno dei casi recenti più clamorosi è avvenuto a Wuhan, città importante, capoluogo dell’Hubei dove l’ex vicepresidente della Wuhan University e l’ex vicesegretario del Partito comunista nell’ateneo sono stati arrestati per corruzione, in una vicenda che interessa’ ovvio… – anche un’impresa della zona. Quanto alle lotte interne alle facoltà, al potere dei baroni, la Cina non fa eccezione, l’accademia è un mondo opaco. Che a Yan Lianke – il cui «Servire il popolo» rivisitava in chiave grottesca l’apice del maoismo – ha ispirato un romanzo satirico che dopo gli strali della censura gli ha guadagnato quelli dei docenti universitari. L’innalzamento della qualità della vita, il più agevole accesso agli studi alimenta il proliferare di college e università. Classifiche delle istituzioni migliori orientano le famiglie, che esercitano una pressione quasi insostenibile sul figlio unico. E sia i meccanismi di ammissione agli atenei sia le procedure per ottenere buoni risultati nel rating delle università finiscono con il moltiplicare i rischi di corruzione. In ottobre le 9 istituzioni accademiche più prestigiose si sono federate in quella che è stata orgogliosamente definita la «Ivy League» cinese, evocando il circuito delle grandi università americane. L’élite garantisce sì controllo e qualità, ma al contempo esaspera la competizione per entrarvi, con meccanismi dai risultati a volte eccentrici. Vedi la vicenda della quattordicenne Hong Xige, di Wuxi, indicata dai suoi dirigenti scolastici come possibile matricola alla Peking University e approdata al clamore delle prime pagine. Una laurea in una delle università di punta – dalla Fudan di Shanghai alla Tsinghua di Pechino – non mette al riparo dalle complicazioni del mercato, inaspritesi con la crisi. Esemplare la parabola di Wu Xiaofeng. Ammesso brillantemente alla Peking University, laureatosi, nel 2006 vendeva frutta caramellata per le strade del suo paesello natio in Liaoning, una sorte che un suo professore definì «una vergogna per il nostro ateneo». Wu riuscì a trovare un lavoro decente nella città di Anshan, ma nelle sue condizioni sono ora decine di migliaia di laureati che, con un mercato incapace di assorbirli, si mettono a disposizione per impieghi modesti. Vigili o badanti, purché sia un lavoro. Della tendenza si è fatto in parte carico il governo, che nella primavera del 2008 aveva calcolato di inviare in 5 anni 100 mila laureati nelle campagne come funzionari. Una via di uscita al corto circuito è offerta dalle università straniere (e adesso ci si pone anche la questione di come far rientrare in patria i cervelli che scelgono di rimanere all’estero). Si vola oltreconfine per studiare, dall’Australia all’Europa, dove ciclicamente affiorano notizie di truffe imbastite sui falsi certificati per accedere agli atenei. Migliaia di euro spillati a famiglie cinesi piene di speranze (beffate) per i loro rampolli. L’America continua a sedurre. Negli Usa nel 2008-09 sono arrivati quasi 100 mila studenti, altrettanti Barack Obama ne vorrebbe mandare nella Repubblica Popolare, mentre al momento sono meno di 20 mila. La laurea statunitense è il sogno proibito, compendiato in un libro che in Cina ha fatto epoca, Harvard Girl, tra l’autobiografia e ilmanuale di una madre che ha saputo forgiare la figlioletta, farne una macchina da studio, una Lang Lang non del pianoforte ma dei libri. Finché, ragazza, non è riuscita a farsi ammettere nel celebre campus, conquistando l’agognata laurea. Liu Yiting è diventata celebre, la madre pure, il libro ha venduto milioni di copie e ha dato il via a un vero genere editoriale. Ma non per tutti le aule potranno essere quelle dell’America. Chi resta spera che lo scienziato Qian Xuesen avesse torto: che in Cina ci sia posto per tante eccellenze.