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 2009  dicembre 22 Martedì calendario

INTERVISTA AD ALBERTO STASI

«Ora chiedo all’assassino: dimmi, perché lo hai fatto?» -

«Quelli con lei sono stati gli anni più belli della nostra vita. Lo ha detto anche la mamma di Chiara». Esile nel maglioncino blu strizzato, jeans, gli occhiali sottili con la montatura blu che tutta Italia ha imparato a conoscere. Più giovane dei suoi 26 anni. Alberto Stasi lavora al computer. Mani piccole, minute. Prima immagine che si offre. A pochi giorni dall’assoluzione. Il sorriso ha mantenuto qualcosa di infantile, la voce è appena velata.

Alberto Stasi, sta tornando alla normalità?
«Piano piano ma è un processo lento. Sto riprendendo orari, abitudini, le cose della vita quotidiana».

Cosa manca a questa normalità?
«Ci sono ancora i giornalisti che mi inseguono. Ci sono le banalità che diventano pettegolezzi. Come quando una mia amica è venuta ad aspettarmi in tribunale per la sentenza e me l’hanno subito attribuita come fidanzata».

L’assoluzione è una vittoria.
«No, non lo è. E’ stata quello che doveva essere perché io non ho fatto nulla alla mia fidanzata. Sa cosa vuole dire nulla? Non è come vincere al Superenalotto. E’ il riconoscimento di quello che ho sempre detto. Anzi, il secondo riconoscimento. Il primo è venuto dalla dottoressa Pravon, il gip che mi ha scarcerato. Non capivo perché mi avessero messo dentro. Infatti il perché non esisteva».

Cosa le hanno lasciato quei quattro giorni nel carcere di Vigevano?
«Sono rimasto tranquillo e fiducioso. Ero a posto con la mia coscienza. Ero consapevole che mi veniva fatto un torto e mi sentivo come una persona che subisce un torto».

Perché fin dal primo momento non le hanno creduto?
«Andrebbe chiesto al pm. Ho dato subito la massima collaborazione. All’epoca ero uno studente di Economia. Non so spiegare perché non mi hanno creduto. E’ una domanda da rivolgere a qualcun altro».

C’è stato un momento di disperazione, un momento in cui ha pensato di non farcela?
«Di non farcela in assoluto no. Mai. Certo ci sono stati momenti di difficoltà».

Quando va in giro come si sente guardato dalla gente?
«Sono finito anche sulle riviste, vicino a Coco e alla Arcuri. Non mi sono mai fermato a chiedere come mi guardano. C’è chi ha l’aria di dire ”Povero ragazzo, guarda cosa gli è capitato’ oppure chi sembra dire ”Chissà cosa ha fatto’. Tanti mi fermano per strada. In corso Buenos Aires a Milano mi sono sentito gridare ”Forza Alberto’ da un signore. Molti mi hanno dato il loro conforto per quello che potevano. Ha ricevuto molte lettere, tutte carine. Parole di circostanza ma le ho apprezzate, c’era gente che voleva essermi vicina».

Chi le è stato accanto in questi due anni e mezzo?
«I miei genitori, naturalmente. I miei amici che erano anche gli amici di Chiara. Anche loro mi hanno creduto perché avevano una conoscenza diretta di me come persona. Le loro famiglie, le famiglie di Serena, Chiara, Paolo. I miei difensori, il professor Giarda, Giuseppe e Giulio Colli, le ragazze dello studio, la segretaria Federica».

Alberto Stasi freddo, distaccato, sempre padrone delle sue emozioni anche quando telefona al 118 per chiedere soccorsi.
«Non so come si fa a considerare fredda la telefonata al 118. In questi anni non ho mai voluto mettere in piazza i miei sentimenti, le mie emozioni. Questo può avere fatto pensare che non li provassi. Falso. Sbagliato. Certe cose le tieni per te e per le persone che ti sono vicine, che ti conoscono. E’ chiaro che se non esterni nasce il fraintendimento. E poi i giornalisti ci hanno messo del loro».

Alberto dagli occhi di ghiaccio.
«Ho gli occhi verdi e non azzurri, tengo a precisarlo. E non sono di ghiaccio».

La madre di Chiara continua a ritenerla colpevole.
«La mamma di Chiara ha detto che ho dato a sua figlia gli anni più belli della sua vita. Credo che non l’abbia dimenticato».

Qualcuno può avere invidiato la vostra unione, la vostra felicità al punto da volerle distruggere?
«Non so. Certamente nessuno dei miei amici».

Chiara, oggi.
«Un ricordo continuo. Quasi tutte le cose che faccio, che dico me la ricordano. La pizzeria dove si andava, al mare, la gelateria. Le cose più piccole sono quelle che più si collegano al ricordo di una persona».

Come vede il suo futuro?
«Non lo so ancora bene. Lo credo e lo desidero normale come quello che avevo davanti. Niente di eccelso, niente di eccentrico».

Non teme di rimanere per chissà quanti anni ancora il ”biondino di Garlasco’?
«Il biondino, il bocconiano. I giornali mi chiamavano così per non ripetere sempre Alberto Stasi. Non mi sento addosso un peso da trascinare per gli anni che verranno».

Il 9 marzo sarà ancora davanti al giudice per la storia delle immagini pedopornografiche nel suo pc.
«Sono pronto a fare chiarezza. Come ho fatto prima che il giudice disponesse una nuova perizia. Non ho mai conservato, non ho mai divulgato. Il mio è un computer del 2001».

Chi è oggi Alberto Stasi?
«Sono sempre io, sempre me stesso. Con alle spalle una esperienza che nessuno vorrebbe vivere e che non si potrà cancellare. Quindi rimarrà».

Cosa le ha lasciato tutto questo?
«Non si può descrivere».

Ha davanti l’assassino di Chiara. Cosa vorrebbe dirgli, chiedergli prima di saltargli alla gola.
«Gli chiederei: ”Perché?’».