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 2009  settembre 10 Giovedì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 28 DICEMBRE 2009

«Meglio dieci tombe che un bambino in più». uno dei tanti slogan che hanno accompagnato la politica del figlio unico varata nel 1978 da Deng Xiaoping per frenare il boom demografico cinese. In trent’anni l’applicazione della legge è stata sostenuta con ogni tipo di mezzo: multe e distruzione della casa per i trasgressori, sterilizzazioni forzate, aborti coercitivi fino al nono mese di gravidanza ecc. (per un’analisi dettagliata si può leggere il libro Strage di Innocenti, La politica del figlio unico in Cina - Guerini e Associati - autore Harry Wu, animatore della Fondazione Laogai). [1]

L’idea di contenere l’incremento demografico nacque quando il censimento del 1953 rivelò che la popolazione cinese toccava i 600 milioni. Marco Del Corona: «L’economista Ma Yinchu, studi a Yale e accesso a Mao Zedong, tentò di sensibilizzare il leader sulla necessità di frenare le nascite. La sua previsione (un miliardo e mezzo di cinesi in mezzo secolo) non era poi così fuori misura, visto che la popolazione raggiunse il miliardo nell’81. Tra fine anni Settanta e primi Ottanta, Deng Xiaoping impose la politica del figlio unico, che tuttavia prevede eccezioni, dalle minoranze etniche alle coppie di figli unici, da chi svolge mestieri pericolosi alle famiglie rurali cui il primo parto abbia dato una femmina». In trent’anni le restrizioni avrebbero fatto nascere 300-400 milioni di cinesi in meno. [2]

«C’è uno stretto legame tra demografia e clima, noi puntiamo allo sviluppo coordinato e sostenibile di economia, società, risorse e ambiente», ha detto il viceministro cinese Zhao Baige al recente vertice Onu sul clima di Copenaghen. [3] Presto però le cose potrebbero cambiare: la Cina si avvia a diventare un paese con troppi vecchi e troppi uomini, dunque più povero. Nel 2050 tre cinesi su dieci (parliamo di 400 milioni di persone) avranno più di 60 anni e saranno privi di pensione e assistenza sanitaria, ha stimato il 14 dicembre un rapporto dell’ufficio statistiche di Pechino. [4]

Nell’82 i cinesi sopra i 65 anni erano il 4,9%, nel 2005 il 7,6%, nel 2026 dovrebbero arrivare al 28,4%. [2] Massimo Livi Bacci: « vero che verso quella data la quota degli anziani in Europa sarà intorno al 30 per cento, ma quel che da noi si sarà compiuto gradualmente, nel corso di oltre un secolo, in Cina viene compresso in pochi decenni: poco tempo per metabolizzare un cambiamento di tal fatta. In Cina, nelle aree rurali (che comprendono il 70 per cento della popolazione) il sistema sanitario cooperativo basato su una rete di presidi gratuiti si è disintegrato con le riforme economiche degli anni ”80, ed i costi delle cure mediche sono diventati insostenibili per gran parte della popolazione anziana». [5]

In Cina solo 15 anziani su 100 possono contare su una pensione. Silvia Guidi: «Le case di riposo cinesi possono ospitare solo 1,5 milioni di persone, a fronte di una domanda di 7 milioni di posti. Prima degli anni Novanta, i pensionati ritiravano il denaro dalle aziende dove avevano lavorato. Ma poi, con l’economia di mercato, alcune aziende hanno chiuso, altre si sono fuse o si sono trasformate, e non sono state in grado di sostenere più a lungo i pagamenti delle pensioni. Per questo nel 1991 Pechino ha deciso di creare un sistema di assicurazione di base per gli anziani che avrebbe integrato programmi d’assistenza sociale comune con i contributi dei privati. Parecchio ha fatto anche la corruzione. I fondi per gli anziani hanno subito un saccheggio sistematico: negli ultimi anni oltre 700 milioni di euro sono stati rubati ai pensionati dalle autorità». [6]

Mancando un sistema pensionistico, gli anziani cinesi si mantengono lavorando o col sostegno dei familiari o con i risparmi accumulati. Livi Bacci: «Da un’indagine del 2004 risulta che dei 155 milioni di persone con più di 60 anni, 34 milioni avevano come risorsa principale il lavoro, 41 milioni (soprattutto nelle aree urbane) una pensione, ed i residui 80 milioni un trasferimento privato (quasi sempre da familiari). Tradizionalmente il sostegno degli anziani ricadeva sui figli maschi, ma coloro che supereranno i 60 anni a partire dal 2020, di figli maschi ne avranno avuto uno oppure nessuno». [5] Ciò detto, si capisce perché se normalmente il rapporto fra maschi e femmine dovrebbe essere di 107 a 100, in Cina la proporzione è saltata: nel 1982 era di 108,5, nel 2000 era salita a 117. [2]

Nella provincia di Hainan (la più meridionale della Repubblica popolare) oggi si arriva a 135 maschi ogni 100 femmine. A Lianyungang, una città del Jiangsu, regione costiera a nord di Shanghai, si è toccato il record di 160 contro 100. Yuan Xin, direttore dell’Istituto statale della popolazione: «Poco meno di 40 milioni di femmine sono state eliminate con l’aborto, o appena nate». Più che di legge del ”figlio unico”, sarebbe insomma corretto parlare di legge del ”maschio unico”. Fatta una media di 121 maschi ogni 100 femmine, secondo le proiezioni dell’istituto per la pianificazione familiare nel 2020 gli uomini in età da matrimonio (20-45 anni) saranno 30 milioni più delle donne, nel 2030 il deficit sarà di almeno 46 milioni. [7]

Gli studiosi spiegano che se lo squilibrio coinvolge una o due generazioni la situazione si può raddrizzare, oltre no. Del Corona: «Milioni di giovani maschi senza donne spaventano: disordini sociali, l’armonia teorizzata dal presidente Hu Jintao ne verrebbe travolta, e con essa il miracolo economico. Un ratto delle Sabine made in China è una storia che a Pechino non vorrebbero rivivere». [8] La prospettiva di un’ingovernabile nazione di maschi, vecchi e soli, ha costretto i vertici del Partito comunista ad annunciare la marcia indietro. Il consigliere presidenziale Hu Angang: «La norma sarà adeguata con il dodicesimo piano quinquennale 2011-2015. L’obiettivo della legge ”un bambino per coppia” è stato raggiunto. La nuova politica demografica terrà conto della necessità di ”due bambini per coppia”». [4]

Tra gli esperti non mancano i contrari all’abbandono della legge sul figlio unico: il paese infatti cresce ancora ad un ritmo di 8-10 milioni di persone all’anno. [9] L’economista Cheng Enfu, presidente dell’Istituto di ricerca sul marxismo all’Accademia di Scienze sociali: «Bisogna insistere ed essere più severi». L’ex viceministro Wang Guoqiangha ha calcolato che solo il 36% dei cinesi è effettivamente vincolato al figlio unico. Del Corona: «Gli escamotage non mancano. I ricchi delle città pagano le multe e figliano senza troppi patemi, sborsando dai 247 mila renminbi di Pechino (circa 25 mila euro) ai 160 mila di Shanghai. Chi può, magari con l’aiuto di organizzazioni illegali, va a partorire a Hong Kong, città esentata dai controlli in quanto dotata di forte autonomia». [2]

Anche nelle campagne la politica non funziona già da alcuni anni: con mille espedienti e risorse i contadini arrivano da avere tre o quattro figli. [10] Francesco Sisci: «Il secondo o terzo figlio spesso vengono registrati a nome di parenti, senza eredi, oppure semplicemente il funzionario locale chiude un occhio, in cambio del dono di un paio di capponi». [11] Che la composizione demografica del Paese stia mutando è però innegabile. A Shanghai, dove tre abitanti su dieci hanno più di 65 anni e c’è meno di un figlio per famiglia, la politica del figlio unico è già stata abbandonata. Risultato: si prevede che nel 2010 nasceranno 165 mila bambini, pochi più di quest’anno e meno che nel 2008. Feng Juying, capo dell’ufficio di pianificazione familiare: «La gente non ha soldi per due bambini. Mancano sicurezza sociale, asili e scuole, case adeguate. Chi per la prima volta ha conquistato uno standard di vita sostenibile, non vuole più fare rinunce». [4]

La secolare idea che la prosperità si misura anche con il numero dei figli è stata sostituita in fretta dai costumi occidentali: il figlio unico è diventato una scelta, non un’imposizione, e ci sono molti giovani che proprio non ne vogliono. Du Zhenfu, shaghaiese di 28 anni: «I miei genitori vogliono che abbia un bambino, ci tengono per la continuazione del nome, della famiglia. Ma io non sono d’accordo. Io e mia moglie dobbiamo lavorare, non c’è tempo». [10] Di questo passo, nel 2030 la popolazione cinese dovrebbe cominciare a diminuire. Ancora prima, in un anno tra il 2025 e il 2028, la Cina sarà superata dall’India nella classifica mondiale della popolazione. [5]

Dei quattro Paesi del ”Bric” (Brasile, Russia, India, Cina, gli stati emergenti destinati a dominare l’economia mondiale nel prossimo mezzo secolo), solo l’India continua a fronteggiare l’emergenza demografica in termini di contenimento. Dall’indipendenza, nel 1947, la popolazione è triplicata arrivando a un miliardo e 200 milioni, con un aumento medio di 18 milioni di abitanti all’anno. Risultato: a New Delhi pensano di cominciare con il controllo delle nascite. Alessandra Muglia: «L’idea di premiare con dei bonus il rinvio della maternità nasce da un progetto pilota avviato nel distretto di Satara, nello Stato del Maharashtra: le autorità hanno dato una ricompensa di 5 mila rupie (poco più di 72 euro) alle donne che rinviano la gravidanza di due anni. Se poi si prolunga l’attesa di ulteriori 12 mesi, arrivano altre 2.500 rupie» (nelle aree rurali una buona paga giornaliera sfiora a malapena le 70 rupie, più o meno un euro). [12]

Il primo programma di pianificazione familiare indiano risale al ”52. Muglia: «Visti gli scarsi risultati nel 1976 Sanjay Gandhi (figlio dell’allora premier Indira) lanciò una campagna di sterilizzazione di massa. Il governo mise in atto delle misure che favorivano la vasectomia e i centri medici pubblici si videro attribuire delle quote di sterilizzazioni molto elevate. Nel giro di due anni più di otto milioni di indiani furono sterilizzati spesso a loro insaputa, a volte in cambio di compensi. Questa politica ha colpito soprattutto i più poveri e ha lasciato un segno tra la gente rendendo impopolare la pianificazione familiare in un Paese dove molti continuano a vedere i figli come un investimento per la vecchiaia. ”Chiedere alle persone di fare meno bambini in India è come chiedere loro di cambiare religione” dice Neeraj Singh, a capo di un’associazione che educa le giovani coppie alla pianificazione familiare». [11]

Per contrastare la tradizione c’è chi auspica la linea dura: il ministro della Sanità dello Stato del Karnataka, 64 milioni di abitanti, nella giornata mondiale della popolazione ha proposto di mettere in prigione le coppie con più di due figli. Più soft l’idea del ministro del Welfare indiano Ghulam Nabi Azad, che contro l’alta natalità propone l’aumento dei programmi televisivi notturni. Primo obiettivo della sua campagna, portare l’elettricità in tutti i villaggi: «Dove non c’è elettricità, non c’è altro da fare che procreare. Se portiamo la corrente elettrica in ogni villaggio, la gente guarderà la tv fino a tarda notte e poi si addormenterà». [12]